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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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[V]

Ameto, poi che de' cani gli fuggì la paura e l'angelica voce ebbe ricominciata la bella canzone, con timido passo a quelle si fece vicino; e poggiato in terra il noderoso bastone, sopra la sommità di quello compose ambo le mani, e sopra esse il barbuto mento fermato, come se quivi non fosse, fiso la cantante, alienato, mirava; la quale, poi che ebbe posta fine alle sue note, dopo lungo spazio, cotale in sé si mosse quale colui che da profondo sonno è a vigilia subito rivocato, il quale, gli occhi volgendo sonnolenti in giro, quasi appena conosce dove si sia; di che le compagne di Lia, vedutolo, a forza ritennero le vaghe risa agli occhi già venute per dimostrarsi. Egli appena, aiutandolo la forte mazza, in piè rimase, ma pur si sostenne; e poi che tutto fu del preso stordimento uscito, quivi, sanza niente parlare a quelle, si pose sopra l'erbe a sedere; e, rimirando la bella ninfa con l'altre sopra gli ornati prati sollazzevolmente giucante, la vede di quel colore nel viso lucente, del quale si dipigne l'Aurora, vegnente Febo col nuovo giorno, e i biondi capelli, con vezzose ciocche sparti sopra le candide spalle, ristretti da fronzuta ghirlanda di ghiandifera quercia discerneli; e rimirandola tutta con occhio continuo, tutta in sé la loda, e insieme con lei la voce, il modo, le note e le parole della udita canzone; e in sé con non falso pensiero reputa beato chi di sì bella giovane la grazia possiede; e in cotale pensiero dimorando, sé medesimo mira, quasi dubbio fra 'l sì e 'l no d'acquistarla; e alcuna volta, sé degno di quella estimando, in sé si rallegra; poi, con più sottile investigazione ricercandosi, danna la rozzezza della sua forma con l'avuta letizia, e indegno si reputa della ninfa; ma dopo questo pensiero riforma il primo, e dopo il primo nel secondo ricade, ora dannando, ora sé lodando nella sua mente. E così in continui combattimenti s'accende del piacere di colei la quale mai più non aveva davanti veduta; e quanto che elli imagini il nuovo disio non dovere al disiderato fine arrecare, cotanto più di quello l'appetito s'affuoca.

Egli, grosso e nuovo in queste cose, non sappiendo onde tal passione si movesse, né chi lo stimoli, mirando la ninfa, alli mai non sentiti amori apre la via e già conosce il suo disio dagli occhi di colei ricevere alcun conforto: per la qual cosa, più e più fiso mirandoli, credendosi forse porre fine a quello col riguardarla, più forte gli apparecchia principio e più l'alluma, e, non sappiendo come, bevendo con gli occhi il non conosciuto fuoco, s'accende tutto. E sì come la fiamma si suole nella superficie delle cose unte con sùbito movimento gittare e, quelle leccando, leccate fuggire e poi tornare, così Ameto, colei rimirando, s'affuoca; e come da lei gli occhi toglie, fugge la nuova fiamma, ma per lo sùbito più mirare, torna più fiera. Né prima di questo si prese il giovane guardia che amore inestinguibile nella calda mente prese etterne forze. Onde egli, in sé molte volte le parole della udita canzone ripensando, tutte le 'ntende, ma solamente chi questo Amore si sia, non conosce; per che così fra sé quivi con voce tacita cominciò a parlare:

- O celestiali iddii, di tutti ho già, co' satiri dimorando, la mirabile potenzia ascoltata e ciascuno in parte m'è noto; ma solamente questo Amore, per cui costei si diletta d'essere seguita e del quale ella cotanto canta, io nol conosco, né le sue vie vidi già mai; per che io voi e lui per li suoi medesimi meriti priego che mi si faccia conoscere, acciò che io sappia in che piacere a costei, gli occhi di cui hanno avuta forza di trarmi dalle mie ombre, di farmi dimenticare la mia preda, d'abandonare l'arco, le saette e i cani miei. Ella sola mi piace: io non so se questo si chiama Amore o se cotale effetto muove dalla colui deità, nome prendendo dal suo motore. S'egli è così, sopra ogni altra cosa m'è caro, e se così non è, ella pur piace. -

E, dette queste parole, la riguardava da capo; ma come ella verso lui i vaghi occhi volgeva, così i suoi, da sùbita vergogna vinti, bassava, e in sé follia estimava da lui sì bella cosa, da disio mosso, esser mirata. Ma poi, dallo occulto fuoco sospinto, da capo alzava gli occhi, dicendo:

- O qualunque deità negli occhi di costei dimori, che così mi stimoli, perdona: non prendere con più forza ch'e' si convenga il non usato animo, se ti piace che io a' suoi piaceri mi disponga: molte minori forze ti bisognano a strignermi. -

Poi appresso fra sé dicea:

- Deh, a che mi dispongo io? Or non ho io già udito quanto grave cosa siano gl'imperii delle giovani le quali niuna quiete vogliono ne' lor suggetti? Chi mi reca a volere il bene sempre tenuto sommettere, cioè la libertà? Le tenebre e le luci sono mie, com'io le voglio usare: e a me sta il risparmiare il lento arco e le mie saette e a prendere a mia posta l'ombre e lasciarle; e la preda, per mia sollecitudine acquistata, dono come mi piace. Dunque che vo' fare? Io mi voglio mettere a seguitare, e non so che. Onde, o pietosi iddii, questo furore, venuto non so donde nella mia mente, fuggasene: e' non si conviene alla mia forma seguire sì fatta giovane. Io in abito rozzo, ne' boschi nato e nutricato, debbo lasciare queste cose più convenevolmente usare a coloro che più volte l'hanno usate. Io non sono Giove a cui sì bella cosa si confaccia, il quale è da credere che le sue parole infino di sopra le stelle nota; e, più presto di me, con molta più arte s'ingegnerà di piacere a costei; e a lui è, ciò che a me si disdice, dicevole. A me non è la forma d'Adone né le ricchezze di Mida né la cetera d'Orfeo né la milizia di Marte né la sagacità d'Atlanciade né la tirannia de' Ciclopi; per le quali cose, o per alcuna d'esse, io possa, piacendo o per forza, nell'animo entrare a lei con sollecitudine, com'ella s'ingegna d'entrare a me con la sua bellezza. Ella ancora, nata di dio, vorrà di dio avere figliuoli, e non d'un semplice cacciatore. Lascerò adunque queste cose e, a' vecchi ufici tornando, la incominciata vita in quelli con quelli recherò all'ultimo fine. -

Poi, alquanto verso Lia rivolto, muta proposito, come la forma di lei entra negli occhi suoi, e in tutto si dispone nelle sue rozze opere di piacere, ogni altro pensiero contrario abbattuto. Per che, rimossi alquanto i suoi capelli non stanti in alcuno ordine dinanzi al viso, l'irsuta barba costrigne di stare in piano, e a suo potere cuopre i difetti del non sano vestimento, già cominciandosi a vergognare se alcuna cosa in sé forse conosceva deforme, e così dice:

- La bella ninfa, nuovamente a' miei occhi apparita, nel suo cantare, se io ho bene udito, non invita più altrui che me alle sue bellezze: perché dunque, divenendo vile, non ardirò io di tentare quello da che io ancora non sono stato cacciato? Chi può sapere le cose future? Assai ne furono già di quelle che per li pastori abandonarono gl'iddii: e chi è certo se costei farà il simigliante o il contrario? A me non costa nulla il provare: se io piacerò, consolazione etterna riceverò nell'animo; se io, provando, non piaccio, assai tosto potrò fare quello che ora, sanza avere provato, di fare disponea. E certo io pure dovrei piacere; e se il mio viso non darà che io piaccia, la mia operazione il supplirà. Questa ninfa segue le cacce; e io il quale, cresciuto nelle selve, sempre con l'arco e con le mie saette ho seguite le salvatiche fiere, né alcuno fu che meglio di me ne ferisse, a me niuna paura è d'aspettare con gli aguti spiedi li spumanti cinghiari, e i miei cani non dubitano d'assalire i fulvi leoni, e ne' boschi alcuna parte è sì occulta che nasconda animali, che io non la sappia; né nullo meglio di me giammai conobbe dove le reti più ragionevolmente si spieghino; né niuno inganno a ritenere i volanti uccelli si può fare, che io non l'abbia già fatto e fare lo sappia. Queste cose tutte a' suoi servigi disporrò, e oltre a ciò me medesimo. Io fortissimo le porterò per gli alti boschi l'arco e la faretra e le reti, e di quelli scenderò sopra i miei omeri la molta preda. Io, presto, correrò agli strabocchevoli passi dove a lei, tenerissima e paurosa, non si conviene d'andare. Io le mostrerò gli animali e insegneròlle le loro caverne; io l'apparecchierò le frigide onde, presto a qualunque ora; e le ghirlande della fronzuta quercia, ritenenti al bellissimo viso l'accese luci di Febo, leverò dagli alti rami, porgendole ad essa, e di molte altre cose ancora co' miei servigi la soverrò. Le quali cose se alcuna grazia meritano, io l'avrò, però che appena mi si lascerebbe mai credere che d'ingratitudine fosse sì nuova bellezza macchiata. E certo, se ella pure de' suoi guiderdoni avara verso me fosse, sì non poss'io guari da lei essere gabbato, però che ella non mi leva dalle usate cacce; anzi, là dove solo andava, ora con graziosa compagnia cercherò le folte selve; e il vedere sì bella cosa come costei è, fia non picciolo merito de' miei affanni. Seguirò adunque quello che piace agli occhi miei. -

Questo avendo in sé Ameto diliberato, cerca nell'animo qual via sia da pigliare nelle nuove cose, e più volte, da pronta volontà sospinto, volle con pietose parole piene di prieghi, s'egli l'avesse sapute dire, tentare il nuovo guado. Ma la natura del novello signore, a cui ignorantemente avea pur testé l'anima data, nol consente; onde egli, indietro tirandosi, rimane vergognoso. E se il viso, più rosso per lo sole che per quella, il sostenesse, aperta la mostrerebbe; ma mosso da altro consiglio, quindi levandosi, per li caldi campi ritorna alla sua preda. E poi che la sopravenuta polvere ebbe con chiarissime acque dal suo viso cacciata, caricatasi quella sopra i forti omeri, con essa venne dinanzi alla ninfa. E ancora che copiosa di ciò la vedesse, con pronto viso e timido cuore le presentò la sua, e con quelle poche e non composte parole che egli dir seppe, nel grazioso coro si mescolò delle donne; né quindi per motteggevoli parole né per atti, le quali forse non intendeva, né per altro accidente cessò quel giorno infino che la sopravenuta ombra alle sue case richiamò ciascuna e lui.

 




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