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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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[VI]

Legato con nuovo legame si tornò Ameto alla sua casa; e solo alla bella ninfa pensando consuma i tempi suoi: le notti per adietro parute corte alle gravi fatiche da Ameto prese negli alti boschi, ora da' focosi disii lunghissime son reputate. Ameto, da non conosciute cure da lui sollecitato, maladice le troppo lunghe ombre, né prima la luce entra ne' vegghianti occhi, che egli, levato, con li suoi cani ricerca le selve e in quelle o va caendo o truova o aspetta le belle ninfe; le quali ritrovate, lieto alle cominciate cacce le séguita e con intento animo nelle cose loro graziose sapute da lui volonteroso le serve: niuno affanno gli pare grave, niuno pericolo gli mette paura. Egli, quasi più presto che i suoi cani divenuto, vedendolo Lia, con le propie mani prende i più fieri animali. Egli tende loro le reti e quelle stende e quelle ne porta, e quasi nulla pare che alcuna cosa adoperi nella caccia altri che Ameto; il quale poi con loro nelle calde ore, ne' freschi prati posandosi sotto le grate ombre, allato alla chiara riva del fiumicello, con consolazione d'animo somma si contenta d'essere stato ardito, però che di quelle tutte si vede familiare e a Lia massimamente caro.

 




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