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Giovanni Boccaccio Comedia delle ninfe fiorentine IntraText CT - Lettura del testo |
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[XI] Nasce del buon voler di questa diva, ne' sacrifici della qual cantiamo divoti quanto può la voce attiva, tutto quel ben che noi con noi tegnamo; il qual se cessa nel nostro operare, semo oziosi o indarno facciamo. E, ben che io non possa appien mostrare nel canto mio la sua benevolenza, parte nel verso ne farò sonare. Quando ne' cuor di noi la sua potenza discende intenta, prima ogni rozzezza caccia, mutando in ben la nostra essenza; la quale, adorna d'etternal bellezza, e lei disposta a ben, fa eloquente, umile dando a sua voce chiarezza, e fuggir falle ogni luogo eminente, in pietra ferma riposando altrui, acciò che di cader non sia temente. Soave e sanza furia è colui là dov'ell'entra e 'l suo operar piano, grazioso e piacevole ad altrui. Né è negli occhi mai d'alcun villano suo portamento angelico e soave, con tutti lieto, pietoso e umano. E fallo liberal di quel ch'egli ave, a ricevere ardito, non sentendo nelle sue cose aver vòlta la chiave. E 'l suo sommo diletto è pur servendo, in quanto puote, a chi servigio chiede e a' tementi andarlo profferendo. Fontana il fa di pietosa merzede, non cupido di più ch'e' li bisogni; ma soperchio tener sempre si crede né aspettante ch'altri il suo agogni; anzi pertratta sì l'utili cose ch'a quelle ben non cal ch'alcun vi sogni, a tutti dando delle virtuose opere exemplo e regola verace, rendendo vane sempre le viziose. E quivi dove il raggio d'esta giace, calcati i ben mondan con lo 'ntelletto, sollecito si sale all'alta pace; e Bacco in lui, sì come dio sospetto, e ancor Cerer prende con misura, temendo il lor disordinato effetto. Negli ornamenti ha sollecita cura ched e' non passin la ragion dovuta, fuor ch'adornar la divina figura; sempre fuggendo, quanto può, l'arguta voglia del generare al qual s'accende quanto concede la regola avuta. E dov'ell'entra, da' furor difende della fredda ira, lei con lieto foco cacciandol fuor del loco ove s'aprende. Né lascia dare orecchia assai o poco alle parole vane, e veritate udendo in sé con bene, ha sommo gioco. E sempre dell'altrui prosperitate con laude pia ringrazia il donatore, la sua cercando in guise non vietate, degli altrui danni sentendo dolore, a chi l'offende ognora perdonando, come ad amico faccendoli onore. L'animo suo in alto sollevando magnanimo diventa, giusto e saggio, a tutti equale, ciascuno onorando, quanto virtù e abito e legnaggio e tempo e luogo e stato lui fa degno: prima di sé, d'altrui poi, cessa oltraggio. Con questo poi al suo beato regno tira chi segue lei, la qual seguire con ogni forza e con ciascuno ingegno ci dobbiamo sforzar; sì che salire, quando che sia, possiamo alle bellezze del regno suo, le qua' non posso dire, e in etterno usar quelle ricchezze che non si lascian vincere a disio, prestando sempre liete lor chiarezze, manifestando, a chi l'acquista, Iddio.
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