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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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L'udite voci e i ferventi amori, la mira bellezza e l'angelico suono con nota mai più da lui non sentita, ciascuna per sé e tutte insieme oltre modo d'ammirazione riempiono Ameto, il quale fra sé disiderava d'essere Affron, lui sopra tutti gli altri amanti felicissimo reputando. E dice che molti meno prieghi a tirare lui bisognati sarieno, anzi più tosto, s'elli credesse che gli giovasse, porgerebbe alla ninfa de' suoi. Ella nel suo avvento gli piacea molto; ma ora vie più gli piace e giudica in sé medesimo, se possibile fosse dal cuore disciogliere il piacere di Lia, che egli il faria per servire a Mopsa: ma ciò non sente fattibile. Ma non per tanto, con quella forza che puote, riceve con Lia insieme la bella donna, e dove in prima passionato per una, ora per due si sente trafiggere. E quinci levato il viso e vòlto in cerchio, lodate le parole e la canzone dell'ubidiente donna, examina a cui il secondo mandato imponga. E ad una che allato alla prima di sanguigno vestita sedea, disse:

- O giovane, a voi ora di seguitare s'appartiene -.

Quella con atto vezzoso, bassata un poco la fronte e per vergogna arrossata, disse sé apparecchiata ad ubidire; e quinci con voce più espedita così cominciò a narrare:




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