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Giovanni Boccaccio Comedia delle ninfe fiorentine IntraText CT - Lettura del testo |
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[XXVII] La graziosa e bella mia Pomena, fuggente l'acque frigide peligne, da lor si scuda e dal pian che le mena; e con gli effetti suoi lega e ristrigne le furibonde corna di Lieo, se forse oltre dovere in fuor le pigne, lieta porgendo ciò che di Pelleo la moglie regge alla sete vegnente, sì ch'appetito giusto non fa reo. Dal costei viso ciascuna dolente lonza che tira il carro di colui presta si fugge e trista nella mente; e simil fauno i serpenti da cui tirato è quel di Cerere, la quale umile vien, come piace ad altrui. Quinci si fugge quella che del male del padre nacque nell'onde salate, ristando sol nel toro geniale. Minerva le sue fila, compilate con artificio ad uso non villano come le piace, le presta ordinate. Il modo abominevole e istrano del viver simigliante a Palemone di costei nel cospetto è nullo e vano. Ristrigne e dà quanto vuolsi il sermone; e 'l passo lungo o corto altrui disegna secondo i tempi o movente cagione. La 'mprese furibonde vieta e sdegna, disponendo a' pensier gli atti futuri dentro alle savie menti ov'ella regna. I pensati consigli dà maturi agli occhi ben disposti, aperti e chiari, e a' contrarii, ruvidi e oscuri; e ove spander vuolsi, non ha cari i suoi tesor, ma con degna misura li spande, aprendo gli avuti ripari. E com'io dissi, già alla cultura degli orti suoi sollecita si muove, non obliando la debita cura, col cuore amando sempre il sommo Giove. |
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