TESTO
PIO
VESCOVO
Servo dei Servi di Dio
a perpetua memoria
La Chiesa, Sposa di Cristo, fin dai primi inizi della sua storia, non
solo dimostrò con ripetute manifestazioni i sensi di stima e di materno amore
di cui soavemente circondava le vergini consacrate a Dio, ma le confermò con
importantissimi documenti.
Nè ciò desta meraviglia giacchè le vergini cristiane, « parte più eletta del
gregge di Cristo », mosse dall'amore, non facendo conto di tutte le
sollecitudini del mondo e superando la connaturale divisione di affetti piena
di pericoli, non solo si dettero totalmente a Cristo, vero Sposo delle anime,
ma consacrarono integralmente la loro vita, adorna delle gemme di tutte le
virtù, in perpetuo al servizio di Cristo Signore e della Chiesa.
Questa mistica consacrazione delle vergini a Cristo e questa dedizione alla
Chiesa, nei primi secoli del cristianesimo s'andava svolgendo spontaneamente, e
più ancora nei fatti che nelle parole. Quando poi le vergini formarono non solo
una classe, ma uno stato ben definito e un ordine riconosciuto dalla Chiesa, la
professione della verginità cominciò a emettersi pubblicamente, e ad essere
sempre più rafforzata da un vincolo ancora più stretto. In seguito la Chiesa,
quando accettava il santo voto o proposito di verginità, consacrava la vergine
come persona unita inviolabilmente a Dio e alla Chiesa con un rito così
solenne, che giustamente viene classificato tra i più belli dell'antica
liturgia; e la distingueva chiaramente da quelle che si offrivano a Dio solo
con vincoli privati.
La professione della vita verginale veniva conservata con vigilante e severa
ascesi, e nutrita e incrementata con ogni esercizio di pietà e di virtù. Nella
dottrina tanto dei primi Padri greci e degli altri orientali quanto dei Padri
latini, ci si profila dinanzi una immagine fedele e bellissima della vergine
cristiana. Nei loro scritti, tutto quanto potesse in qualche modo riguardare,
internamente come esternamente, la santità e la perfezione delle vergini, fu in
maniera accuratissima e con grande amore illustrato e vividamente descritto.
Fino a che punto l'angelica vita delle vergini cristiane, in questo suo
primo periodo di storia, risponda alle esortazioni e alle descrizioni dei
Padri, e di quante gemme delle più alte ed eroiche virtù cristiane ci si
dimostri adorna, in parte lo conosciamo direttamente e con certezza dai
documenti e dai monumenti storici; in parte poi indubbiamente possiamo
congetturarlo, e anzi dedurlo, anche da altre sicure fonti.
Specialmente dopo la pace concessa ai cristiani, sull'esempio degli Eremiti
e dei Cenobiti, la consacrazione a Dio della verginità, cominciò sempre più
frequentemente a essere completata e confermata coll'esplicita e pubblica
professione dei consigli di povertà e di più stretta obbedienza.
Le donne professanti la verginità, le quali sia per amore della solitudine,
sia per difendersi dai gravissimi pericoli dovunque in agguato nella corrotta
società romana, già si erano indirizzate verso una forma di vita comune,
separata, quanto più fosse possibile, dal consorzio degli uomini, favorendolo
le circostanze, quasi subito, dietro l'esempio della immensa moltitudine dei
Cenobiti, e lasciata generalmente agli uomini la forma di vita eremitica,
imitarono la vita cenobitica, e quasi tutte vi si rifugiarono.
La Chiesa raccomandava, generalmente, alle vergini la vita comune intesa in
senso lato, ma, per lungo spazio di tempo, non volle rigorosamente imporre la
vita monastica neppure alle vergini consacrate, le quali, con tutto l'onore
loro dovuto, lasciò libere nel secolo. Tuttavia queste vergini liturgicamente
consacrate che abitavano a casa propria o in una più libera vita comune,
andarono sempre più diminuendo finchè in molti luoghi scomparvero di diritto e
dappertutto di fatto; e anzi, sebbene generalmente non fossero più ricomparse,
in seguito furono anche proibite.
Giunte le cose a questo punto, la Chiesa rivolse la sua materna attenzione
soprattutto a quelle vergini, che, eleggendo la parte migliore, davano l'addio
al mondo, si consacravano ad una vita di completa perfezione cristiana,
aggiungendo al voto di verginità anche la professione di stretta povertà e di
totale obbedienza. La Chiesa ebbe cura di difendere esternamente la professione
di vita cenobitica di queste vergini mediante leggi di clausura sempre più
severe. Dal punto di vista interiore, poi, ordinò la loro vita in maniera tale,
da delineare a poco a poco, chiaramente e precisamente, nelle sue leggi e
nell'ascesi religiosa, il tipo della Monaca dedita alla vita contemplativa,
sotto una rigida e regolare disciplina.
Quasi all'inizio del medioevo, quando cioè le vergini consacrate che
vivevamo nel secolo erano scomparse del tutto, le Monache, aumentate in modo straordinario
di numero, fervore e varietà, furono considerate come le sole eredi universali
che succedevano alle antiche vergini; e non solo, eredi e continuatrici, ma
fedeli conservatrici del patrimonio ricevuto e fautrici industriose che, dotate
di cinque talenti, ne fecero fruttificare altri cinque. Riti liturgici,
documenti canonici, testimonianze storiche di ogni genere, scritti, sculture,
pitture, comprovano e rivendicano tale origine, dignità, meriti e santità delle
Monache.
Le Monache furono le uniche, fra le donne, che, unitamente ai Monaci e ai
Canonici regolari, per molti secoli, fino alla fine del medioevo - come si
deduce abbondantemente dalle Decretali e anzi da tutto il Corpo del Diritto
Canonico - ebbero uno stato di perfezione, già accettato solennemente e
pienamente riconosciuto come quello che fino allora perfettamente rivestiva
natura pubblica.
Successivamente, e dopo aver superato non poche e non lievi difficoltà, in
un primo tempo tutti i Fratres che si chiamarono o Mendicanti, o Ospitalieri,
o Redentori o con altro nome, e similmente, quasi dopo tre secoli, anche i
Chierici che si chiamarono Regolari, furono annumerati tra i veri religiosi e
regolari, insieme coi Monaci e Canonici regolari; le Monache invece, sia quelle
che aderivano all'antico monachismo o vita canonicale, sia quelle che facevano
professione nei secondi Ordini dei Frati Mendicanti, seguivano, per quello che
era il diritto canonico, un unico nobile e antico istituto, e professavano uno
stesso modo di vita religiosa.
Fino alle prime Congregazioni femminili, sorte nel secolo XVI o XVII, erano
ritenute come Monache solo quelle che di fatto e di diritto professavano
legittimamente la vita religiosa. Anzi, anche dopo che le Congregazioni furono
tollerate, e successivamente pure riconosciute prima di fatto e poi, in un
certo senso, anche di diritto, fino alla promulgazione del Codice di Diritto
Canonico, solo le Monache, furono ammesse, di pieno diritto, come vere
Religiose e Regolari.
Se a questo punto volessimo introdurci nei profondi segreti della vita
monastica, chi potrebbe enumerare e valutare i tesori di perfezione religiosa
nascosti nei monasteri? chi i fiori e i frutti di santità che questi orti
chiusi portarono a Cristo e alla Chiesa? chi l'efficacia della preghiera, l'abbondanza
di dedizione, i beni di ogni genere, con cui le Monache, con tutte le loro
forze, adornarono, sostennero, confortarono la loro Madre Chiesa?
Il tipo vero e ben definito delle Monache, precisato nelle leggi canoniche e
nelle pagine dell'ascesi, fu accettato con facilità e, nelle linee generali,
anche con fedeltà, da innumerevoli Ordini, Monasteri, Conventi, che esistettero
in seguito nella Chiesa e fu conservato tenacemente per molti secoli. Da questa
comune fedeltà e costanza, nel sacro istituto delle Monache sorse, tale unità
che resistette, sempre e più fortemente che non in tutti gli altri Istituti
Regolari o religiosi di ambo i sessi, a qualunque innovazione. Questo, entro
certi giusti limiti, è senza dubbio un grande loro merito.
D'altronde questa unità dei Monasteri femminili, che abbiamo lodato, non
impedì, per quanto riguarda l'ascesi e la disciplina interna, che fin
dall'antichità si ammettessero diversi aspetti e varietà di Monasteri, di cui
Dio, mirabile nei suoi Santi, dotò e decorò la Chiesa, Sua Sposa. Questa
varietà delle religiose claustrali, del resto sembra provenire dalla stessa
varietà degli Ordini e delle Religioni maschili, a cui gli Ordini delle Monache
erano in qualche modo uniti. In realtà si può dire che non c'erano Monaci,
Canonici regolari, e soprattutto Mendicanti che non si preoccupassero di
erigere dei secondi Ordini che, pur conservando le linee generali delle
Monache, apparissero come primi Ordini diversi tra loro. Parimenti taluni
Ordini di Chierici Regolari e talune Congregazioni maschili più recenti,
fondarono Ordini di Monache sulla base del proprio Istituto.
La varietà delle Monache, cui abbiamo sopra accennato, sia che si guardi la
storia del loro istituto, sia che si contemplino le comuni interne mutazioni di
esso, merita una speciale considerazione. Senza dubbio, questa varietà messa al
sicuro la forma generale di vita contemplativa, e lasciati intatti alcuni
principi e norme fondamentali di disciplina già approvata, diede come una nuova
forza di santità al vecchio istituto.
In tempi più recenti, specialmente verso la fine del secolo XVI furono
introdotte nuove forme di Ordini di Monache, approvate mano mano dalla Chiesa:
per esempio, l'Istituto di Sant'Orsola, delle Angeliche, la Congregazione delle
Religiose di Nostra Signora, l'Ordine della Visitazione, la Società di Nostra
Signora, le Monache della Beata Vergine della Carità e molte altre. Queste
nuove fondazioni mentre all'inizio della loro istituzione, o successivamente,
venivano spinte o moralmente costrette ad accettare il diritto comune vigente
delle Monache - perchè potessero professare l'unica vita religiosa riconosciuta
allora per le donne - preparavano in vari modi la rinnovazione del diritto
stesso.
Queste nuove forme di Monache, quantunque professassero la vita
contemplativa canonica e avessero ricevuto, malvolentieri ma infine
sinceramente, secondo la dottrina vigente, la stretta clausura pontificia
adattata al loro sistema di vita, tuttavia qualche volta non accettarono la
recita dell'Ufficio divino. Si dedicarono invece, con lodevole sollecitudine, e
come parte del loro dovere, a molte opere di apostolato e di carità consentanee
al loro sesso e al loro stato giuridico.
Col volger degli anni, sia per l'esempio dei nuovi Ordini, sia per il
progresso delle Congregazioni e delle Società che con la vita di perfezione
cercavano di unire feconde opere di carità, di soccorso, di educazione, sia per
il comune evolversi delle cose e delle idee, non pochi Monasteri di molti
Ordini, che per istituzione professavano unicamente la vita contemplativa, in
più luoghi, con l'approvazione e sotto la guida prudente della Santa Sede, si
diedero a opere di apostolato.
Così, quasi insensibilmente, avvenne che non solo il comune istituto delle
Monache contenesse Ordini diversi con Regole e Costituzioni proprie, ma si
venne creando una più profonda distinzione tra gli Ordini e i Monasteri che
praticavano la sola vita contemplativa, e gli Ordini e i Monasteri nei quali
per diritto speciale delle Costituzioni o per successive concessioni della Sede
Apostolica, alla vita contemplativa canonicamente approvata aggiungevano
convenienti opere di apostolato.
In questo nostro tempo, tutto l'istituto delle Monache sia in quegli Ordini
e Monasteri che sono rimasti fedelmente legati alla vita contemplativa, sia
soprattutto in quelli che per statuto ecclesiastico sapevano associare la vita
contemplativa con le opere di apostolato, ha fortemente risentito la varietà e
il cambiamento delle circostanze e delle cose. Naturalmente questi Ordini occupandosi
di educazione e altre opere del genere, che per introdotte costumanze o per
intervento degli stessi poteri civili, dovevano esercitarsi in modo tale da
essere poco compatibili o del tutto incompatibili con alcune regole classiche
della clausura pontificia, tali regole di clausura, salvo il loro concetto
comune, dovettero essere sapientemente mitigate, perchè si potessero conformare
con quelle opere. Tutto questo certamente era richiesto dall'utilità stessa
della santa Chiesa e delle anime; chè se non si fosse agito così, tali opere o
non si sarebbero potute assumere, o per lo meno non assumerle in quella forma.
La necessità di mitigazione o di più larghe interpretazioni non si è
riscontrata soltanto per gli Ordini apostolici ma anche per gli Ordini soltanto
contemplativi, per le circostanze dei tempi e la grave penuria di cui spesso
soffrono.
Oggi, per esempio, il senso sociale dei cittadini a stento sopporterebbe una
troppo stretta interpretazione del can. 601, anche trattandosi di Monache
contemplative. Per questo la S. Sede, provvede maternamente e sempre più
largamente alle innumerevoli necessità e utilità, che secondo il pensiero di
una volta non erano ritenute così gravi da poter sminuire o addirittura
abolire, la clausura pontificia. Del resto, la sicurezza e la santità del
domicilio, che furono solo una delle tante cause che, attraverso le necessità
dei tempi, resero necessaria la costituzione e l'ordinamento della clausura
pontificia, oggi è più protetta e sicura di una volta.
Proposto per sommi capi l'origine e le glorie del sacro istituto delle
Monache, a questo punto ci vien fatto di distinguere accuratamente gli elementi
propri e necessari che attingono direttamente e in maniera primaria e
principale la vita contemplativa canonica delle monache e il loro fine. A
questi originari e principali lineamenti coi quali viene definita chiaramente
nel diritto la figura canonica delle Monache, ne accedono altri, pur essi di
somma importanza, che, sebbene non necessari, ne completano la figura, rispondendo
assai opportunamente al pubblico fine delle Monache e rendendolo sicuro.
D'altra parte nell'istituto delle Monache troviamo degli elementi che non sono
nè di necessità nè di complemento, ma solo esterni e storici, sorti cioè dalle
impellenti necessità del tempo, oggi profondamente mutate. Sono precisamente
questi elementi che, qualora non servano più, o impediscano il maggior bene,
non hanno più ragione di esistere.
Perciò, salvi tutti gli originari e principali elementi del venerando
istituto delle Monache, tutto ciò che sa di esterno e di avventizio, abbiamo
decretato che venga conformato, sempre con la dovuta cautela, alle odierne
necessità dei tempi, perchè ciò oltre a conferire decoro all'istituto stesso
gli darà anche una più completa efficacia.
A questo moderato aggiornamento dell'istituto delle Monache, ci muovono,
anzi ci costringono le accurate informazioni che su questo punto ci giungono da
ogni parte del mondo e, conseguentemente, il concetto che ci siamo formato dei
gravi bisogni in cui spesso, se non sempre, esse si dibattano. Difatti ci sono
non pochi monasteri che purtroppo soffrono la fame, la miseria, l'inedia; e
molti conducono, per difficoltà domestiche una vita dura e non più oltre
tollerabile. Tal'altri poi, quantunque non vivano nell'indigenza, stando però
completamente separati dagli altri Monasteri, non di rado languiscono. Troppo
rigide leggi di clausura facilmente aprono la strada a non lievi difficoltà.
Infine, crescendo ogni giorno più le necessità della Chiesa e delle anime, e
dovendo provvedervi con la molteplice opera di tutti, sembra esser giunto il
momento in cui la vita monastica, generalmente, anche tra le Monache dedite
alla vita contemplativa, debba conciliarsi con una moderata partecipazione
all'apostolato.
Questo nostro pensiero è stato più volte confermato dalle testimonianze
degli Ordinari dei luoghi e dei Superiori religiosi, che da alcune nazioni ci
pervennero con consenso del tutto unanime.
Di quanto sarà stabilito più sotto, cioè negli Statuti Generali delle Monache,
sarà bene illustrare alcuni punti affinchè possiamo poi proporre delle regole e
dei principii dai quali facilmente e con sicurezza possano essere rettamente
interpretate le singole prescrizioni. In primo luogo per quanto riguarda la
vita contemplativa delle Monache, si tenga per fermo e inviolato ciò che fu
sempre il pensiero costante della Chiesa e cioè che tutti i monasteri di
Monache devono professare canonicamente, sempre e ovunque, come loro primo e
principale fine la vita contemplativa. Perciò tutti quei lavori e ministeri in
cui possono e debbono esercitarsi, devono essere ordinati e disposti in
maniera, quanto al luogo, al tempo, al modo, che una vita veramente e
solidamente contemplativa, tanto di tutta la comunità quanto delle singole Monache,
sia non solo salva ma alimentata e rinvigorita.
Le prescrizioni e le concessioni che una volta, per circostanze speciali
furono concesse ad alcune regioni, per cui i voti solenni venivano commutati in
semplici, comportano una odiosa dispensa (can. 19 ), tanto più odiosa in quanto
avversa la principale caratteristica delle Monache. Difatti i voti solenni, che
comportano una più stretta e più completa consecrazione a Dio degli altri voti
pubblici, mostrano una nota canonicamente necessaria e principalissima degli
Ordini. Perciò, risultando apertamente e per comprovata esperienza, che in
molti luoghi i voti solenni tanto degli istituti regolari maschili quanto delle
Monache, benchè ignorati dalla legislazione civile, possono essere osservati
con facilità e senza fatica e insieme si può per altra via provvedere
convenientemente alla sicurezza degli altri beni comuni nonostante sia negata,
come in alcuni luoghi accade, la personalità giuridica alle Religioni e ai
Monasteri, le leggi e l'opera della S. Sede già da molti anni mirano a che le
odiose dispense, di cui abbiamo parlato, vengano ristrette e, per quanto si
può, abolite. Del resto non è conveniente privare le Monache dell'onore, del
merito e del gaudio di emettere i voti solenni che sono loro propri.
Per conseguire una maggiore protezione del voto solenne di castità e della
vita contemplativa, e perchè l'orto chiuso dei Monasteri non venga infranto
dall'ardire del mondo, nè violato da astuzie insidiose, nè turbato da contatti
secolari e profani, ma diventi un vero rifugio delle anime, in cui le Monache
passano più liberamente servire Dio, la Chiesa, con sapiente e vigilante
sollecitudine, stabilì una più severa clausura come prerogativa propria delle
Monache, la ordinò diligentemente e la munì in perpetuo di gravi sanzioni
pontificie. Questa venerabile clausura delle Monache che, per l'autorità
suprema da cui procede, e per le sanzioni con cui internamente ed esternamente
viene protetta, è chiamata papale, in questa nostra Costituzione, non solo
viene di proposito e solennemente confermata, secondo le diverse circostanze
dei Monasteri che fino ad oggi vi sono ancora soggetti; ma viene cautamente
estesa anche a quei Monasteri che per legittima dispensa, non vi erano
obbligati.
I Monasteri che professano unicamente la vita contemplativa, e che non
hanno, entro i confini della casa religiosa, opere stabili di educazione, di
carità, di ritiro o cose del genere, riterranno, o dovranno accettare la
clausura pontificia di cui si parla nel Codice (can. 600-602), la quale sarà
chiamata « maggiore » .
Per quei Monasteri invece che, per istituzione o per legittime prescrizioni
della S. Sede, alla vita contemplativa uniscono l'esercizio di qualche
ministero compatibile con essa nell'interno delle stesse abitazioni monastiche,
la clausura pontificia, ritenuto ciò che le è essenziale e necessario, viene
mitigata in alcune cose che sono impossibili o che difficilmente si possano
osservare; riguardo invece agli elementi non ritenuti tanto necessari alla
clausura pontificia secondo il Codice (can. 599, 604, § 2) sarà perfezionata.
Questa clausura pontificia moderata e adattata alle odierne necessità, e che
per distinguerla dall'antica più rigida si chiamerà « minore », si potrà
concedere anche a quei Monasteri che, pur professando solo la vita
contemplativa, o non hanno voti solenni o mancano di alcune condizioni che
giustamente, secondo la giurisprudenza e lo stile della Curia, si richiedono
per una clausura pontificia maggiore. Un'accurata definizione di tutti gli
elementi di questa clausura pontificia minore sarà data più avanti negli
Statuti Generali, e nelle Istruzioni che saranno emanate a nome e per autorità
Nostra dalla S. Congregazione dei religiosi.
Per quanto riguarda l'autonomia o mutua indipendenza dei Monasteri di Monache,
riteniamo opportuno ripetere qui e applicarlo alle Monache, quanto pensatamente
dicemmo per i Monaci nell'Omelia del 18 settembre del 1947 nella Patriarcale
Basilica di S. Paolo fuori le mura, in occasione del decimoquarto centenario
della morte di S. Benedetto da Norcia. Essendo cambiate le circostanze,
molteplici motivi ormai consigliano, anzi spesso richiedono la consociazione
dei Monasteri delle Monache, onde ottenere una più facile e conveniente
distribuzione degli uffici, un transito temporaneo utile e spesso necessario,
per varie cause, delle Religiose da uno ad altro Monastero, un aiuto economico
vicendevole, una coordinazione di lavoro, una difesa dell'osservanza comune e
altri motivi di questo genere. Che tutto ciò si possa fare ed ottenere senza
togliere la necessaria autonomia, senza sminuire in qualche modo il vigore
della clausura e senza arrecare danno al raccoglimento e a una più severa
disciplina di vita monastica, è provato con certezza e sicurezza tanto dalla
lunghissima esperienza delle Congregazioni monastiche maschili quanto dai non
rari esempi di unioni e di federazioni che tra le Monache furono approvate fino
ad oggi. Del resto l'erezione delle federazioni e l'approvazione degli Statuti
che debbono governarle, saranno sempre riservate alla Santa Sede.
Al lavoro, manuale o intellettuale, sono obbligati tutti, non esclusi gli
uomini e le donne che si dedicano alla vita contemplativa, non solo per legge
naturale ma anche per un dovere di penitenza e di soddisfazione. Il lavoro
inoltre è il mezzo comune con cui l'anima è preservata dai pericoli e si eleva
a cose più alte; il mezzo con cui noi, come è nostro dovere, prestiamo la
nostra opera alla divina Provvidenza, tanto nell'ordine naturale che
nell'ordine soprannaturale; il mezzo con cui si esercitano le opere di carità.
Il lavoro infine è norma e legge fondamentale della vita religiosa fin dalle
sue origini, secondo il motto « prega e lavora ». E senza dubbio, le norme
disciplinari della vita monastica, in gran parte furono stabilite per
comandare, ordinare ed eseguire il lavoro.
Il lavoro delle Monache, se si considera sotto l'aspetto soprannaturale,
deve essere tale che la Religiosa lo assuma con santa intenzione, lo compia
alla presenza di Dio, lo prenda nell'obbedienza e lo congiunga con la
volontaria rinuncia di se stessa. Chè, se il lavoro sarà compiuto in tal modo,
sarà un potente e costante esercizio di tutte le virtù e pegno di una soave ed
efficace unione della vita contemplativa con l'attiva, sull'esempio della
famiglia di Nazareth.
Se poi si guarda la natura del lavoro monastico e le norme che lo devono
regolare, allora bisogna che esso, dalle Regole, dalle Costituzioni e dalle
consuetudini legittime dei singoli Ordini, risulti non solo adatto alle forze
delle Monache, ma anche ordinato e compiuto in modo che, secondo il corso e le
circostanze dei tempi, dia il vitto necessario alle Monache e procuri utilità
ai bisognosi, alla società e alla Chiesa.
Consistendo la perfezione della vita cristiana soprattutto nella carità, e
siccome la carità per la quale amiamo Iddio sopra tutte le cose e in Lui tutti
gli altri, è in concreto una e identica, la Chiesa Madre, da tutte le Monache
che canonicamente professano la vita contemplativa, assieme a un perfetto amore
di Dio esige anche un perfetto amore del prossimo. In forza di questa carità e
del loro stato, è necessario che i religiosi e le religiose sentano di essere
completamente consacrati alle necessità della Chiesa e di tutti i bisognosi.
Le Monache quindi tengano ben presente che la loro è una vocazione
pienamente apostolica, non circoscritta da limiti di luogo, di tempo e di
circostanze, ma sempre e dovunque pronta a zelare tutto ciò che in qualche modo
può riguardare l'onore dello Sposo e la salute delle anime. Questa universale vocazione
apostolica delle Monache, non impedisce in alcun modo che i singoli Monasteri
nelle loro preghiere raccomandino le necessità della Chiesa e dei singoli
uomini, o di ceti particolari.
L'apostolato comune col quale tutte le Monache devono zelare l'onore dello
Sposo Divino e promuovere il bene della Chiesa e di tutti i fedeli cristiani,
si attua soprattutto con questi tre mezzi:
1. Con l'esempio di perfezione cristiana: la vita claustrale infatti, pur
nel silenzio, fa sentire potentemente la sua voce e irresistibilmente conduce i
fedeli a Cristo e alla perfezione cristiana, e come vessillo incita i soldati
di Cristo a combattere la buona battaglia e li attira al premio.
2. Con la preghiera fatta, sia pubblicamente a nome della Chiesa colla
solenne recita delle ore canoniche sette volte al giorno, sia privatamente, da
offrirsi perennemente a Dio in tutte le forme.
3. Con l'immolazione, di maniera che alle penitenze che provengono dalla
vita comune, e dalla fedele e regolare osservanza, si aggiungano altri esercizi
di abnegazione prescritti dalle regole e dalle costituzioni o assunti del tutto
volontariamente, per compiere cioè generosamente « ciò che manca alla passione
di Cristo, per il suo corpo, che è la Chiesa » .
Dopo aver descritta la storia meravigliosa dell'istituto delle Monache e in
quali termini l'istituto stesso possa adattarsi alle odierne necessità, diamo
le norme secondo le quali tale aggiornamento deve praticamente attuarsi. La S.
Congregazione applicherà questa Costituzione e gli Statuti Generali a tutte le
federazioni di Monasteri già fatte o che si faranno nonchè ai singoli
Monasteri; e, per Nostra autorità, per mezzo di istruzioni, chiarimenti,
responsi e altri documenti del genere, potrà fare quanto è necessario per
applicare diligentemente ed efficacemente la Costituzione e per far osservare
fedelmente e prontamente gli Statuti Generali.
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