I DRAMMI DEL MIO GIARDINO
La giornata era caldissima. Le
abitatrici del gran formicaio giacevano inoperose e assonnate nelle loro
piccole celle.
Poco dopo il tramonto del sole,
Febbrajola - una grande formica, per età e per senno autorevolissima - dava la
sveglia ad una delle sue figliuole predilette.
- Su! andiamo!... Usciamo dalla
città!... L'aria si è rinfrescata, e una breve escursione fuor dalle mura ci
farà bene alla salute.
Apriletta, la giovane formicuzza,
non si fece pregare. Di là a poco, madre e figlia si dirigevano conversando
verso la serra dei limoni.
Esse attraversavano una bella
aiuola tutta in fiori. I moscherini e i piccoli ragni si agitavano fra le
pianticelle in cerca di nutrimento. Dappertutto un gran moto, una gran gioia,
una gran festa nell'assalirsi, nello schermirsi, nel divorarsi a vicenda.
Apriletta si arrestava tratto tratto a contemplare quegli episodii della
distruzione e della morte, dai quali perpetuamente si genera e si mantiene la
vita dell'universo. Giovane, inesperta, fidente nelle proprie forze, ella non
poteva rassegnarsi a frenare i suoi istinti aggressivi in presenza di quella
ricca cacciagione.
Per giungere alla serra, conveniva
sorpassare un muricciuolo coronato da una ventina di geranii. Compiuta la
salita, Febbrajuola si adagiò colla figlia sull'orlo di un vaso, e all'ombra
delle foglie olezzanti così prese a parlare:
- Che bella prospettiva! Quale
incantevole paesaggio! Come sono cresciuti questi alberi, dall'ultima volta che
ho traversato la foresta! Qualche giorno, se Iddio mi tiene in vita, torneremo
qui colla intera famiglia. Faremo un buon pranzerello sotto una di queste
foglie. Porteremo con noi quattro bei capponi verdi del gran rosaio. Le nostre
schiave troveranno ben modo di trascinarli fin qui.
- Ah! sono pur deliziosi a
mangiarsi quei cari capponi verdi! Ma credi tu, cara mamma, che noi potremo
sempre trovarne sul grande rosaio? Ogni anno i nostri ne fanno tanta strage!...
Non è a temersi che la specie venga costrutta?
- Ciò non potrà accadere, risponde
gravemente Febbrajuola; quel Dio che ci ha create e costituite regine
dell'universo, non cesserà di provvedere ai nostri bisogni ed ai comodi nostri.
Benediciamo il Signore, figliuola mia! Benediciamolo in ogni ora, in ogni
istante della vita! Questo bel sole, che ogni anno ricomparisce sull'orizzonte
per illuminarci; questa meravigliosa varietà di alberi così ricchi di dolci
frutti e di sughi corroboranti; questa infinita famiglia di animali; infine,
tutto quanto ne circonda, tutto non fu creato per l'utile nostro?...
- Ma perchè? ma perchè? replicava
Apriletta con quell'insistenza curiosa che è propria dei fanciulli...
- Perchè noi, a differenza degli
altri animali, siamo dotati della ragione che è un riflesso della divinità...
- Ma cos'è questa ragione?... Come
si fa a provare che tutti questi animali, più grandi, più belli, più forti di
noi?...
- Le son domande coteste?.... Sta a
vedere che il tuo piccolo cervello è già guasto dalle mostruose, esecrabili
teorie di quei nostri filosofanti, i quali pretenderebbero degradare la
formica, l'essere superiore, l'essere pensatore ed immortale, al livello dei
bruti irragionevoli!... Vergognati, figliuola!... E quando ti si affacciano di
tali dubbi, volgi uno sguardo alle opere gigantesche, ai monumenti imperituri
creati dal nostro genio... Le nostre città, le nostre strade, le gallerie
sotterranee, gli acquedotti, i magazzeni delle vettovaglie, tutto attesta la
supremazia della specie formicola, tutto riflette la luce di una intelligenza
animata dalla favilla divina. Quanto ordine nei nostri rapporti civili! quanta
sapienza nelle nostre leggi, nelle nostre istituzioni! Spontaneamente
consociate e vincolate da patti sapientissimi, l'unione ci fornisce una forza a
cui nulla può resistere. Noi dominiamo gli elementi, noi soggioghiamo le belve
più feroci. Jeri... non hai veduto la bella fine di quell'immane e mostruoso
grillo che osò sfidarci nel formicaio?... In meno di un'ora ei rimase
spolpato.... Ma è tempo, figliuola mia, di rimetterci in cammino; la notte è
vicina.... Mi fu detto che al di là della montagna è venuta a stabilirsi da
qualche tempo una colonia di formiche rosse... Profittando del numero, quelle
selvaggie potrebbero assalirci e noi avremmo la peggio. - Dunque: occhi in
avanti e piede lesto!... Andiamo, figliuola!
- Sono dunque ben cattive le rosse!
- riprese Apriletta, stringendosi ai fianchi della madre.
- Tristi come la polvere persiana!
È ben vero che esse pure fanno parte della grande famiglia degli animali
ragionevoli - ciò non può mettersi in dubbio - ma siccome il loro intelletto è
di un grado inferiore a quello della nostra razza, noi dobbiamo, quando il
numero e le circostanze ci favoriscano, combatterle e sterminarle. Gli è ciò
che fecero i nostri valorosi antenati allorchè vennero a stabilirsi in questo
bell'angolo di terra, così fertile e propizio alla speculazione commerciale. La
piccola tribù di indigene rosse che da tempo immemorabile occupava la
provincia, fu distrutta dai nostri eserciti al grido di libertà e di
progresso!... Noi rimanemmo padroni del campo - la civiltà trionfò delle
barbarie, e i simboli della nostra religione presero il posto degli idoli
abbattuti.
Febbrajuola era in vena di
sermonare. Lungo il cammino, ella andava descrivendo a sua figlia la vastità
meravigliosa dell'universo, che per lei si comprendeva in quattro pertiche di
giardino. Ricordava uragani, e cataclismi, e terribili pestilenze, e guerre
sanguinose. Apriletta ascoltava con meraviglia e terrore. E tratto tratto le
due viaggiatrici si arrestavano, piegavano le ginocchia, e recitavano un versetto
del Te Deum. Febbrajuola pretendeva che l'essere campata da tanti
pericoli, e l'aver sopravvissuto a tante migliaia di vittime, era una prova visibile
della speciale predilezione accordatale dal supremo dominatore dell'universo.
Fu in una di quelle soste, a metà
di un versetto latino, che Apriletta mandò un grido straziante:
- Aiuto!... Soccorso!...
Febbrajuola accorse, e immemore di
sè stessa, si lanciò dentro un vortice di sabbia dove la figlia si andava
sprofondando. Ma ogni soccorso era vano. Apriletta era già quasi scomparsa. La
sabbia oscillava. Un inesplicabile movimento sotterraneo cospirava ad
inghiottire le due sventurate.
- Madre, mia buona madre! gridava
Apriletta con voce strozzata; una mano di ferro mi stringe il fianco... Io mi
sento morire...
- Noi siamo perdute! rispondeva
Febbrajuola fra i singulti della morte; questo vortice è la tana del fiero
leone, e io pure mi sento trafitta dal suo mortifero dardo. Addio, mia buona
Apriletta! Noi ci rivedremo fra poco nella patria dei beati, ove le nostre
anime vivranno immortali!...
Uno sbruffo violento di polvere
involse le due formiche. Di là a pochi istanti entrambe si giacquero nelle
tenebre, esauste di sangue e di vita.
Il panciuto ragno della caverna,
terminato il suo pasto, si assise fra le due pellicole dissanguate, e
incrociando le zampe in sull'addome, russò beatamente una giaculatoria. E
accingendosi a ricomporre i granelli di sabbia in sugli orli del trabocchetto:
Son pure, esclamava, son pure gli stupidi animaluzzi queste formiche! Fanno
pietà!... Quale disgrazia... nascere irragionevoli!... E qual debito per noi di
render grazie alla provvidenza per averci distinti dagli altri esseri
viventi... col lume divino della ragione!
Così parlando, il ragno-leone aveva
finito di riassettare il suo agguato e già stava per sprofondarsi nelle viscere
della sabbia, allorquando un galletto del Giappone, spiccatosi dal terrazzo,
gli fu sopra col becco, e giù per la gola come un granello di melica.
- Cattivo cuore! esclamò una
gallinetta sentimentale che sedeva poco lungi. - C'è tanto grano al pollaio...
e tu non cessi di incrudelire su questi poveri animaluzzi.... Via, Crestalunga!
se è vero che mi vuoi tanto bene... se brami di conservarti il mio amore, cessa
dal perseguitare, tormentare e distruggere tante creaturine innocenti.
- Sentimenti che ti onorano!
rispose Crestalunga, accarezzando coll'estremo dell'ala la coda della sua
innamorata. - Ma... d'altra parte - permetti che io te lo dica -
pregiudizii!.... Questi animaletti, privi di ragione come tu sai, e dotati di
un'anima tanto inferiore alla nostra...
Ma l'orgoglioso galletto non ebbe
tempo di sviluppare il suo sistema filosofico, che d'un tratto si sentì
agguantare per l'ala da una mano tenace.
- Vieni qua, la mia bella
bestiolina!.... Mi duole proprio di doverti ammazzare... Che vuoi?... Il
padrone mi ha dato degli ordini precisi... Zitto! zitto, carino!... ecco!...
tutto è finito!...
E il mio cuoco gettò sul tavolo il
galletto strozzato, lo coperse di un panno bianco, e accesa la pipa, andò in
giardino a sdraiarsi sull'erba.
Frattanto la notte si avanzava e il
sopravvenire delle tenebre ridestava alla vita le piccole sfingi, i
baccherozzi, le zanzare, le lucciolette, le farfalluccie vespertine, infine
tutti gli insetti nemici della luce.
Strani, misteriosi sussurri
uscivano dagli arbusti e dall'erbe. Due zanzare, partite dai canneti del lago,
volavano verso il giardino. Il loro canto era un saluto alla notte, un
rendimento di grazie al supremo Creatore... delle tenebre.
- Oh! vedi il bel promontorio!...
Moviamo per colà!... Vedrai che troveremo del cibo!
Detto, fatto. Le due zanzare
sforzarono il volo e in men ch'io nol dica toccarono la meta.
- Presto!... non perdiamo tempo!...
si scandagli il terreno!...
- Fuori le pompe!
- Oh! la buona...la deliziosa
sorgente!
- No... non m'inganno.... questa è
veramente la terra promessa. Come è saporito questo latte!
- Come è soave questo vino!...
- Inebbriamoci... Ciò farà piacere
al buon Dio!...
Le due zanzare, gonfie di
nutrimento, si assisero sull'estrema punta del promontorio e sciolsero il loro
inno di grazia.
Il qual promontorio (è bene che i
lettori lo sappiano) era il naso del mio povero cuoco, che dormiva beatamente
sotto un albero di fico.
FINE.
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