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Paolo Mantegazza L'arte di prender marito IntraText CT - Lettura del testo |
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IL MARITO FANNULLONE.
Per quanto so e posso, figliuola mia, ti prego, ti riprego e ti scongiuro, magari mettendomi in ginocchio: non dar mai la mano di sposa a un fannullone. E ciò pur troppo ti può capitare facilmente, se sposi un uomo molto ricco. Fra noi il far nulla è un dovere di chi può vivere delle proprie rendite, e mentre si ride di cuore dei nobili della Cocincina, che custodiscono le unghie delle loro mani in astucci di avorio, d'oro o d'argento per dimostrare a tutti che essi non le prostituiscono al lavoro; non ridiamo di molti nostri nobili, che si vergognerebbero di avere un diploma di ingegnere o di giurisprudenza. Per me gli artigli lunghissimi degli Annamiti valgono il pregiudizio dei nobili italiani. E dico italiani, perchè in molti paesi d'Europa e d'America, che sono assai più avanti di noi, il far nulla non è titolo di nobiltà; ma è vergogna, di cui anche i più ricchi arrossiscono. A Londra per esempio vi sono signori, che hanno molti milioni e che lavorano nel commercio, nell'industria, o fanno della scienza o dell'arte o della letteratura, o viaggiano continuamente per distrarsi o per istruirsi, o alla peggio amministrano i loro beni, occupandosi di agricoltura. Io conosco invece in Lombardia alcuni signori, che non hanno mai veduto le loro terre! È vero però, che più d'una volta i loro fattori o i loro fittabili diventano i loro padroni ed essi muoiono crivellati di debiti e uccisi dalla noia e dai vizi. In Inghilterra, in America nessuno porta le unghie annamite, nè alle mani, nè nell'anima. Figliuola mia, prima di dire il sì fatale e inesorabile, che lega la tua vita a quella di un uomo, guardagli le unghie.
Il ricco fannullone mena una vita, ch'io non vorrei per un giorno solo, anche col compenso di centomila lire di rendita. Se è giovanotto, alle undici del mattino è sempre a letto e dorme ancora. Poveretto è andato a letto così tardi! Il cameriere ha l'ordine di svegliarlo a quell'ora e alle undici egli ha bussato timidamente alla porta della camera da letto: - Signor conte, sono le undici! Una voce sonnacchiosa e un po' indispettita risponde: - Sta bene, Carlo, ritorna fra mezz'ora. Alle undici e mezzo il giovane conte si è di nuovo addormentato e un secondo picchio all'uscio lo risveglia una seconda volta. - Sta bene, sta bene, mi alzo. Ma alle undici e tre quarti il cameriere non ha ancora udito il campanello, che deve chiamarlo a vestire il giovane patrizio. La colazione è già servita. La famiglia è tutta a tavola, ma il conte non si vede. Ha dovuto alzarsi di furia, vestirsi di furia, lavarsi male, e con un quarto d'ora di ritardo finalmente è seduto a tavola anche lui, salutato freddamente con un'aria di rimprovero generale. Egli però è abituato da un pezzo a quei muti rimproveri. Mangia con poco appetito, sbadiglia ancora fra un piatto e l'altro e non si risveglia del tutto, che dopo aver preso il caffè. Ciarla, fuma, scherza, e se non è troppo stanco, passa nella sala da bigliardo per fare una partita con uno dei suoi. - Bisogna cercare di far venire le tre. E le tre vengono lentamente, noiosamente. Fa attaccare la carrozza e va in città a far qualche visita, per lo più a gente noiosa, o annoiata come lui; a meno che non sia a qualche donnetta allegra, che gli svuota le tasche e il cervello. Intanto o bene o male son venute le cinque; ed egli va al club. Fino alle sette la noia è scongiurata, perchè egli parla coi suoi eguali dei pettegolezzi della città o giuoca alle carte. Le sette son suonate: la carrozza lo attende alla porta del club, e in un quarto d'ora è a casa, dove si veste e va a tavola. L'appetito non è buono, benchè egli abbia preso un fernet o un vermut. In ogni modo il pranzo è finito e da capo un altro caffè e altri sigari fanno venire ben presto l'ora del teatro o del ballo o della serata in casa del marchese B. o del duca C., quando egli non ritorni al club per giuocare fino al mattino, passando d'angoscia in angoscia, quando perde troppo; e dovrà il giorno dopo battere alla porta dell'usuraio per far dei debiti a babbo morto. Molti e molti giovani passano la vita a questo modo o con poche varianti. Sanno però parlare il francese e l'inglese e hanno una vernice molto sottile di coltura letteraria e in società si fanno ammirare per la loro toeletta inappuntabile ed anche per un certo spirito. E questi aborti della civiltà moderna osano prender moglie. Dopo aver lasciato più che mezza la loro animuccia grama e il loro corpiciattolo nevrosico nelle sale da giuoco o nei boudoirs delle ballerine, aspirano al matrimonio, alla funzione massima di far felice una donna e di mettere al mondo degli uomini. Essi non devono lasciar morire un gran nome, essi devono ristaurare con una buona dote le loro finanze logorate profondamente dal tappeto verde e dai vizii. E si maritano e danno la mano ad una signorina buona, gentile, pura; che nello sposo spera trovare un amante e nell'amante un poema di estasi deliziose e di sognate idealità. Il marito fannullone non perde di certo l'abitudine dell'ozio a 35 o a 40 anni, e nella noia della famiglia, tramontata ben presto la luna di miele, trova un nuovo e più potente pretesto per ritornare al club e al giuoco, che solo può dargli una forte emozione, che gli dà la coscienza di vivere. La sposina lo ama, lo invita al pianoforte o alla lettura in due o alle intime delizie dell'amore; ed egli la lascia fare; ma a un tratto sbadiglia, sbadiglia a lussarsi le mascelle e ad ogni sbadiglio cade una doccia ghiacciata sul cuore della povera sua compagna, che invano tenta di convertire un'oca in un'aquila o di stillare del sangue caldo nelle vene di un rospo.
Mi dirai, fanciulla adorata, che io esagero, che io ti faccio una caricatura e non un ritratto; ma ti assicuro che anche il ritratto è brutto e ributtante. Non tutti i fannulloni sono di questa ideale perfezione, ma anche i fannulloni volgari sono insopportabili e spandono intorno a sè una nebbia di noia, che smorza ogni fuoco d'entusiasmo, che appanna ogni luce di poesia. E senza poesia che cosa è la vita? Lo so anch'io: vi sono dei fannulloni innocenti, buoni, che amano le loro mogli, che non sono neppur giuocatori; ma che della noia hanno fatto la loro atmosfera, e non sanno escirne per respirare un'aria più vitale, più fresca, più inebbriante. Essi non sono mai stanchi che d'una sola stanchezza, quella dell'ozio; mentre l'uomo per sentirsi vivere, per godere della vita deve provare ogni giorno un'altra stanchezza, l'unica salubre, l'unica umana; quella del lavoro. Sia pure lavoro di sport, a cavallo o sul velocipede o sopra un yacht o a caccia, o lavoro di pensiero nel gabinetto, nello studio, tra i campi, nel vagone o sul piroscafo del viaggiatore. Il lavoro ha tante vie, che a percorrerle tutte un uomo dovrebbe vivere cento vite. E l'uomo che lavora, quando ritorna a casa e cerca la moglie e sorridendo le narra il frutto dei suoi travagli, trova un altro sorriso, che risponde al suo; e prova l'ebbrezza di chi entrando in un giardino è salutato dai fiori, che per lui esalano il profumo delle loro corolle; e l'amore lo riposa dalla stanchezza, e la coscienza di non aver vissuto invano gli fa tener alta la fronte e gli fa brillar l'occhio di gioia. Senza fatica, nessun riposo; senza travagli nessuna gioia. È in alto che fioriscono i fiori più belli, che si godono i più larghi orizzonti, e per salire convien sudare. Infelici, tre volte sciagurati coloro che non hanno mai sudato che di calore. Figliuola mia, non sposare mai un uomo ozioso. Oso dire per lunga esperienza, che il marito fannullone è il peggiore di tutti i mariti. E tu nella tua mente poetica, nella tua fede nel bene non sperar mai di potere colla tua influenza trasformarlo in un lavoratore. Lo stesso sarebbe pretendere di mutare una tartaruga in una rondine o di trasformare un gufo in un'aquila!
Le professioni rispetto alla felicità nel matrimonio.
Caro tesorino mio, niña de mis ojos (come ti direi in Spagna), tu non sposerai di certo nè un contadino, nè un fabbro, nè un falegname; ma un ingegnere, un medico, un avvocato o, come si suol dire, un possidente. Si dice tutti i giorni che siamo tutti eguali, e menzogna più bugiarda non fu mai pensata da cervello umano, e lo vo ripetendo in ogni mio libro, come la mia Delenda Carthago. Eppure quella bellissima parola è scritta fin sui soldi e sui biglietti di banca d'una grande nazione, sulle sue bandiere, e nelle leggi di tutto il mondo civile. Anche nei nostri tribunali sta scritto, che tutti sono eguali davanti alla legge; ma siccome i giudici non possono leggere quelle parole, perchè sono scritte dietro le loro spalle, non hanno l'obbligo di ricordarsene sempre. Gli uomini non sono eguali che in una cosa sola: davanti alla morte; ma anche qui, quanta differenza nel modo di morire! Si può morire appena nati o a cent'anni, si può morire in uno strazio di dolori o sorridendo; a gocciole o di schianto; maledicendo o benedicendo la vita. Ma il più bello è questo; che più la civiltà avanza e i rapporti sociali si complicano e le leggi si affinano, le disuguaglianze individuali aumentano e aumenteranno sempre col progresso. I socialisti ignoranti vorrebbero affogare l'individuo in un gran pantano di collettività; ed io invece son sicuro, che nel mondo dell'avvenire l'individuo sarà tutto e la società poco o nulla. Perdonami, cara figliuola mia, se la penna mi trascina fuori delle rotaie e se ti faccio della filosofia sociologica molto inopportuna. Ma era per dirti il perchè non potrai sposare un uomo di condizione troppo diversa dalla tua. La condizione sociale è il clima in cui siam nati, e accanto a noi e con noi non possono vivere bene che altri nati sotto lo stesso cielo morale. Metti un po' a vivere insieme in una stessa serra un abete e un'orchidea del tropico. O l'una o l'altra pianta morrà di certo.
Tu dunque sposerai un uomo che esercita una delle professioni, che si chiamano liberali; forse perchè lasciano spesso la libertà di morir di fame. Anche se sceglierai un signore che vive di rendita, spero che non sarà un fannullone, di cui ti ho già tracciato una fotografia poco lusinghiera. Egli sarà un possidente, ma attenderà alla coltura delle sue terre o studierà per piacer suo o sarà artista; in ogni modo sarà anch'egli un operaio della grande officina sociale. Non credere, che sia indifferente sposare un artista o un medico o un avvocato. Il matrimonio è un organismo così delicato, che riceve influenze benefiche o malefiche da ogni cosa che lo circonda o lo tocca. È più sensibile d'una mimosa, d'un galvanometro o d'una lastra fotografica. Nulla che lo guardi o lo tocchi è indifferente alla sua salute e alla sua felicità. La professione è tanta parte di un uomo, che non si può levargliela di dosso senza strappare qualche lembo di pelle; senza lacerarne anche le carni. Ognuno di noi sceglie una professione piuttosto che un'altra per molte ragioni diverse, ora accidentali e fortuite, ora alte e profonde; ma soprattutto la sceglie pei gusti diversi, che sono poi l'espressione delle nostre attitudini, della nostra struttura morale e intellettuale. Felice, tre volte felice, colui che la sceglie trascinato imperiosamente, irresistibilmente dai bisogni del proprio cervello e del proprio cuore. Se vi sono tanti inetti e tanti altri che maledicono la propria professione, è perchè appunto non hanno seguito nella scelta la voce, che non inganna, della propria vocazione; ma son corsi dietro a fantasmi, a fuochi fatui o hanno (ed è ancora peggio) ubbidito a influenze esteriori. Una volta però che abbiamo scelta una professione, essa è un vestito che non si distacca più dalla nostra pelle, facendoci più belli o più brutti del vero. Hai mai veduto come muti aspetto la stessa persona, secondo il vestito che indossa? Or bene una professione è più che un vestito, più che un'uniforme: è una seconda pelle che con noi vive e mentre su noi si modella, ci piega però alle sue esigenze, al suo taglio, alla materia con cui è tessuta. Gli uomini di genio o di ferrea volontà piegano la professione a sè stessi e ne risentono alla loro volta una piccola influenza: ma i più, cioè la gran massa degli uomini, si modella e si piega secondo la professione che ha scelto. Tizio è prima ingegnere e poi Tizio; e Sempronio è prima medico e poi Sempronio; e Caio è prima prete e poi Caio; perchè le deboli individualità, che sono la grande maggioranza, trovano nella professione adottata uno stampo già preparato e unto per benino, per cui vi colano la loro personcina, che vi si adagia, vi si accomoda e vi si rapprende. Vi sono tanti impiegati, tanti medici, tanti preti, tanti soldati così eguali tra di loro, ch'io non sento mai il bisogno di chiederne il nome e il cognome, e vedendoli e conoscendoli mi accontento di dire: È un impiegato! È un medico! È un prete! È un soldato! Se sei persuasa di questa verità, capirai facilmente, quale e quanta influenza dovrà esercitare sulla felicità tua e su quella della famiglia la professione del tuo marito. Lo stesso uomo, collo stesso cuore, colla stessa intelligenza, colla stessa ricchezza sarà un marito diverso, secondo che sarà banchiere o medico, militare o avvocato. Non so, se altri prima di me abbia studiato l'influenza delle diverse professioni sulla felicità nel matrimonio. Io ho osservato molto e meditato moltissimo su questo argomento oscuro e difficile. Ed eccoti il frutto delle mie osservazioni e dei miei studii. Prendilo per quel che vale e in ogni modo metti tutto ciò che ti sto per dire in seconda linea. Pensa prima al carattere, all'intelligenza, a tutto ciò che costituisce l'uomo per sè e in sè, e poi e poi bada un pochino anche alla professione, pensando che anch'essa porterà in casa tua fiori e spine, che influiranno sulla tua felicità domestica.
Le professioni, di cui cercherò di tracciarti il profilo veduto nei suoi rapporti colla felicità domestica, son queste:
Proprietario di terre.
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