Mi perdoni, Monsignore
reverendissimo, se nello stato di turbamento ineffabile nel quale mi trovo,
ardisco rivolgermi a lei, chiedendo aiuto e consiglio. Prima di confidarmi ad
altri, che forse riderebbero di me trattandomi d'allucinato e di visionario,
dalla sua carità paterna imploro quella pace al mio Spirito che altri non
saprebbero darmi; e nel nome di Nostro Signore Gesú Cristo l'imploro fiducioso,
in memoria della benevolenza tutta speciale onde lei si compiacque onorarmi per
tanti anni, e che fu il tesoro della mia adolescenza e della mia giovinezza,
fin dal giorno che, per grazia divina indegnamente ascritto alla milizia della
Chiesa, tremando e giubilando, offersi la prima volta il santo Sacrifizio.
Padre, padre mio, mi ascolti e mi
illumini. Colla mente mi inginocchio ai suoi piedi e le apro tutta l'anima mia.
Che talvolta, per altissimi fini
imperscrutabili della sua giustizia e della sua misericordia, Iddio interrompa
le leggi naturali, servendosi di mezzi che la nostra vana scienza e il nostro
orgoglio e la nostra miseria non possono comprendere né spiegare, la fede ce lo
insegna, come ce lo insegnano le Sacre Scritture e innumerevoli esempi anche
attuali, sotto i nostri stessi occhi: ma non è men vero che pure il demonio, quaerens
quem devoret, non di rado usa in danno delle anime artifici meravigliosi,
che hanno l'apparenza di miracoli e dai quali facilmente i deboli o gli
ignoranti restano affascinati e indotti al peccato: prova ne siano le vite dei
santi, che ad ogni passo riboccano di simili tentazioni stupefacenti, e anche
al giorno d'oggi i fenomeni dello spiritismo che menano tanto scalpore perfino
fra i dotti, e che la «Civiltà Cattolica» negli ultimi fascicoli di questi mesi
combatte vittoriosamente, smascherandone la nequizia, rivelandone l'origine
diabolica. Ora, se io fossi giuoco del maligno? Per quanto negli avvenimenti
strani che sto per raccontarle - e dico strani, poiché altro vocabolo piú
significativo in questo momento non mi soccorre - io non sia capace nella mia
ignoranza di ravvisare l'insidia, chi mi dà la certezza che, in penitenza forse
dei miei falli, Iddio non voglia sottopormi a una terribile tentazione?
Penso con terrore che la notte si
approssima. Ho pregato e pianto ai piedi del Crocifisso. Padre mio, preghi per
me e mi illumini e consoli. Stamattina nel celebrare la santa Messa, usai
invano ogni sforzo per espellere dall'anima mia i pensieri insistenti che la
turbavano; non fu se non durante il Canone, che alla presenza reale di Nostro
Signore, annientandomi nell'adorazione eucaristica, si dissiparono per pochi
minuti, come se le anime che tormenta il fuoco di purificazione, mi avessero
ottenuto di poter intercedere per esse con fervore nel memento dei morti.
In nome di Dio, ella che tante
volte e con ammonimenti paterni mi aiutò a trionfare degli scrupoli che mi
assalivano, non mi creda vittima di una allucinazione prodotta appunto da
scrupoli o da soverchi esercizi di pietà: ho perfetto criterio del mio stato
d'animo, la mia memoria è limpida, senza intervalli e senza lacune, tanto limpida
e netta che di queste ultime quaranta ore rivedo lo specchio minuto per minuto,
e nel riaffacciarsi alla mente d'ogni mio atto, ad una ad una torno a provare
le medesime sensazioni.
A questo tavolino dove adesso le
sto scrivendo, ier l'altro a sera terminavo di recitare l'Uffizio. Erano da
poco suonate le undici. Mio fratello, che è medico assistente all'Ospedale
Maggiore e dorme nella stanza attigua alla mia le notti che non è di guardia,
da circa mezz'ora aveva spento il lume, contro il suo solito di vegliare,
studiando, fin dopo il tocco. Appena un momento era entrato da me per dirmi che
la visita di Sua Eminenza il nostro Arcivescovo all'ospedale avrebbe avuto
luogo la mattina seguente in forma solenne, e andando con lui mi sarebbe stato
facile unirmi agli altri ecclesiastici del corteggio; poi si era subito
ritirato affranto dalla fatica e assai commosso per la morte avvenuta quella
sera d'un'inferma del suo riparto, una povera giovinetta tedesca, orfana e
abbandonata, alla quale per un sentimento di compassione grandissima aveva
dedicato in modo speciale tutte le sue cure, fin dal primo giorno che l'aveva
vista vaneggiante nel delirio d'una febbre tifoidea senza perdono.
Ero giunto all'ultimo versetto
del Benedictus: illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent, e
rammento che quelle parole di consolazione le ripetei due volte come un
suffragio all'anima dell'estinta, cui il delirio continuo aveva impedito di
riconciliarsi con Dio; nella ferma fiducia che anche a costo di un prodigio, la
misericordia infinita l'avrebbe salvata attraverso le tenebre della morte,
quando udii repentinamente, nel gran silenzio, uno squillo al campanello della
porta di casa. Chi poteva essere a quell'ora? Mi alzai e con ambe le mani
reggendo la lampada a petrolio, andai ad aprire. Nessuno. Non ne feci
meraviglia; già altre volte, massime in campagna, mi era occorso di udire dei
falsi suoni o delle false voci nel cuore della notte, proprio dentro la camera
mia, sulla mia testa, all'orecchio, e pronto a giurare d'avere realmente e
distintamente udito; dover poi riconoscere che l'immaginazione mi aveva
ingannato. Tranquillo, tornai a riprendere da capo la recita del salmo, ma pure
avendo il breviario aperto sotto gli occhi, a tutta prima non seppi
raccapezzarmi, la memoria mi falliva e non trovavo il testo sul libro,
offuscato da un velo di nebbia. La lampada agonizzava; alzai il lucignolo e
stetti qualche momento in contemplazione della fiamma risuscitata, come davanti
a un simbolo. Illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent. Nei
giorni precedenti avevo purtroppo inteso da mio fratello chi fosse colei che da
Vienna era venuta in Italia a morirvi nell'abbandono, e perché fosse venuta e
di quali ghirlande profane avesse infiorato la sua misera giovinezza. O Signore,
non c'era piú dunque per lei speranza di risurrezione? Non soltanto dagli
uomini era stata abbandonata, anche da voi, Signore, anche da voi, o
clementissimo e misericordioso, umanato per lei, crocifisso per lei? Un attimo
le sarebbe bastato per conoscervi e impetrare la sua remissione, e quest'attimo
di luce voluto dal vostro sangue sparso, non le sarebbe stato concesso mai piú,
per tutta l'eternità, se incosciente era trapassata dall'agonia nella morte
senza averlo potuto ottenere?
Padre, un nuovo squillo risuonò
nel silenzio, piú acuto del primo ed altrettanto inaspettato. No, questa volta
non era una illusione della mia fantasia. Tuttavia non mi mossi subito:
quand'ecco spegnersi la lampada all'improvviso, come fulminata da un soffio
d'uomo. Tra il sonno e la veglia, mio fratello chiamò: «Pietro, vai tu ad
aprire? hanno suonato due volte»; segno che lui pure aveva udito la prima e la
seconda scampanellata. Risposi: «Vado io, dormi tranquillo» e levatomi in
piedi, cercai a tentoni sull'inginocchiatoio accanto al letto i fiammiferi e un
pezzetto di candela che mi serve ogni mattina per vederci a scender le scale.
Senonché, urtando colla mano, feci cadere un piccolo Crocifisso, quello stesso,
Monsignore, che ebbi da lei in prezioso dono il giorno della mia ordinazione;
lo raccattai da terra all'oscuro, mi accorsi che nella caduta se n'era staccato
il piede, e senza pensare a posarlo, accesa la candela, tornato nel vestibolo,
adagio adagio, per non isvegliare mio fratello che certamente si era riaddormentato,
apersi di nuovo la porta. Nessuno! Chiesi nel buio: «Chi è là?» Nessuno
rispose. Non c'era dubbio: qualche biricchino maligno, introdottosi di straforo
su per le scale, che si pigliava il pessimo gusto d'una burletta; e poiché
s'era messo all'opera, non vedevo ragione che si stancasse cosí presto, se da
parte mia gli lasciavo piena libertà di sbizzarrirsi alle mie spalle. Salii ai
due piani superiori, ridiscesi, e un gradino dopo l'altro mi trovai abbasso in
fondo alla scala, senza essermi intoppato con anima viva. La portineria era
deserta, ma il portone rimasto socchiuso, attraverso il quale penetrava dalla
strada il riverbero d'un fanale, indicava abbastanza che l'amico aveva avuto
agio, distrattamente e a passi leggerissimi, di darsela a gambe, appena
subodorata la mia intenzione. Fuori, come se ci fosse un uomo in agguato contro
il muro, mi parve di scorgere, per la breve apertura, un'ombra immobile sulle
lastre bianche del marciapiede.
Ella non mi crederà, padre
reverendo, e non credetti io stesso ai miei occhi, quando nell'uomo che
aspettava riconobbi mio fratello. Volli interrogarlo: perché era disceso anche
lui? come aveva fatto in cosí breve a vestirsi e passarmi davanti, invisibile?
Non rispose. Eppure era lui, Claudio, Claudio mio fratello, nei medesimi panni
che indossava un'ora prima in camera mia; e se anche avessi potuto sospettare
la piú strana delle rassomiglianze con un ignoto, il suo sguardo mi avrebbe
tolto ogni dubbio. L'interrogai di nuovo, pieno d'ansietà: perché era sceso e
come mai non l'avevo veduto? si sentiva male? voleva che io l'accompagnassi?
Non rispose o meglio, io non lo compresi: dal movimento delle labbra, forse
parlava, ma la sua voce non aveva metallo e le sillabe svanivano in un soffio,
mentre, d'un pallore algido, mi fissava immobilmente e le sue pupille, fatte
d'acciaio, mi penetravano nel midollo delle ossa. Atterrito, non dubitando piú
che fosse stato colto da un malore subitaneo, feci per afferrargli la mano e
ricondurlo in casa; ma quantunque vicinissimo a lui, le mie mani non lo
raggiunsero, caddero nel vuoto, quasi avessero tentato di stringere un'ombra.
C'era una volontà nei
suoi occhi. Senza una parola, senza un gesto, fissandomi sempre, si mosse verso
un vicolo oscuro, di rimpetto alla nostra casa. Gridare, perché alcuno lo
trattenesse? Ad onta di sforzi inauditi per chiedere soccorso ai passanti, la
mia voce ribelle si raggruppava quasi soffocata nella strozza, come in un sogno
penoso, quando non ci riesce di prorompere in quel grido supremo che sarebbe la
liberazione. I pochi solitari che transitavano, correndo pel loro cammino,
taluni passandoci accosto, non si volgevano neppure. E da quella volontà mi
sentivo soggiogato inesorabilmente, trascinato, ossesso, nella plenitudine
della mia coscienza. Non era tempo d'aver paura né angustia, bensí di obbedire al
mistero: Claudio s'inoltrava nelle tenebre e voleva che io lo seguissi!
Dove? Camminando alla mia
destra, rigido, quasi statuario, egli mi precedeva d'alcuni passi. Se mi ero
arrischiato in principio a un tentativo di resistenza, poi, goccia a goccia,
piovendomi dentro il cervello il fluido igneo del suo sguardo mi aveva
debellato; era compiuto l'esorcismo, e stretta la gola da un collare di ferro,
la suggestione si risolveva in una forza meccanica, alla quale acconsentivo per
abbandono, cane al guinzaglio, sebbene non piú sotto l'immediata impressione
del fascino. Un labirinto di vie strette e tortuose, tutte eguali, tutte
dormenti, che non sapevo riconoscere da verun indizio, e dove mi sembrava di
non essere passato mai; ogni tanto il noto profilo di una chiesa o d'un
monumento o d'un palazzo si disegnava confuso nell'oscurità. Ma come avevo
perduto il criterio dei luoghi, cosí siffatte apparizioni fugaci e saltuarie,
balzanti fuori scompigliate, in tutt'altro ordine topografico da quello che mi
aspettavo, invece d'essermi guida non facevano che maggiormente sviarmi. A capo
scoperto, senza mantello, tremavo e battevo i denti sotto l'aria gelida di
queste notti di novembre; e per una inconcepibile astrazione mentale, piú
del freddo e piú del
mistero onde ero trascinato all'ignoto, era il rispetto umano che m'angustiava,
il timore d'esser visto a quell'ora, io, prete, a quell'ora, vagabondo per le
strade in simile arnese! Come avvenne che di quanti trovammo sul nostro
cammino, non uno, passando, ebbe curiosità di darmi un'occhiata, e giunti a un
crocicchio poco piú largo di questa stanza, nell'attraversare una comitiva di
schiamazzatori nottambuli, che cantavano a squarciagola in crocchio sotto un
lampione, non uno, fra tanti avvinazzati, volse il capo dalla nostra parte ne
fece atto d'essersi accorto del prete? fu nel momento in cui m'attendevo senza
fallo ai loro frizzi ed anche alle loro contumelie, che mi sovvenni del
Crocifisso, e non so dire se per salvaguardia ovvero per nasconderlo, lo
strinsi al petto.
Quanto a mio fratello, ei
badava a camminare sempre, senza voltarsi a guardare se veramente io lo
seguissi. Piú ora ci penso, meno so rendermi conto della mia dedizione cosí
plenaria alla sua volontà, da non preoccuparmi punto dove tendeva quella
scorribanda notturna, quando sarebbe finita, come sarebbe finita, e da non
avvertirne l'anomalia, se non rispetto alle cose esteriori. Dopo infinite
giravolte, di botto Claudio si fermò davanti a una porticina dissimulata nello
zoccolo di un fabbricato immenso che fiancheggiava tutta quanta la via; ne
spinse l'uscio col semplice appoggio delle palme, entrammo in una specie
d'andito, alla cui estremità, lontanamente, appariva un lume in cima a una
scala che salimmo. Non rammento bene se fu nel percorrere il braccio di un
cortile a grandi arcate, traversando un altro andito piú lungo e chiaro del
primo, che due uomini ci si fecero incontro, vestiti alla stessa foggia, d'una
palandrana, e tirarono dritti, senza guardarci, come se non ci avessero veduti.
Cosí avvenne d'un terzo che, nell'ultimo corridoio, chiusa a chiave una porta,
si allontanò canticchiando, mentre Claudio anche quella porta riapriva col
semplice appoggio delle palme.
E dietro a Claudio affrontai il
buio che si parava davanti, fitto, impenetrabile; e appena varcata la soglia,
un buffo di vento freddo mi schiaffeggiò il volto. Procedetti senza veder nulla
attorno a me; procedetti d'alcuni passi a casaccio, invano aguzzando le pupille
per discernere la mia guida. Subitamente ebbi l'impressione che il collare di
ferro onde sentivami stretta la gola, si fosse spezzato; mi sentii sciolto dal
guinzaglio, libero dei miei atti e della mia volontà. Chiamai Claudio due volte
e nessuno rispose: lo chiamai nell'angoscia d'essere stato abbandonato da lui
in quel mare di tenebre dove mi aveva trascinato, e la mia voce rimbombò sonora
come dentro una caverna ed ebbi paura della mia voce. Unico partito, tornare
indietro e guadagnar l'uscio, ma le braccia protese per istinto nella
caliggine, toccarono quasi subito la parete.
Rasentandola, era
naturale che avrei finito per incontrare lo squarcio della porta. Nulla: prima
a destra poi a sinistra, il muro si allungava interminabile, gocciolante umidità
dalla calce fresca che lo rivestiva; e non sapevo rendermi ragione del come mi
fossi tanto inoltrato, quando ero certo di non aver fatto in principio che
pochi passi. L'ansietà di raggiungere presto l'uscita, scompigliando i miei
calcoli, spegnendo ogni altro pensiero, anche quello di Dio, mi faceva sembrare
eterno il tragitto e aumentava man mano che la piatta superficie, sempre
eguale, senza interruzioni, passava dalle tenebre nelle tenebre. Per quanto
fosse vasto l'ambiente, se non avevo smarrito altresí l'ultima sensazione di
cui ero capace, e nel mio turbamento non m'ingannava la falsa sicurezza della
linea retta, come mai, dopo tanto percorso in uno spazio chiuso circoscritto,
non riuscivo ad uno dei quattro angoli? Imboccai finalmente un'apertura, finalmente!
ma non era purtroppo che il vano profondo d'una finestra nello spessore del
muro; non importa, poteva essere lo scampo. Le mie dita or non sentivano piú il
ruvido intonaco sulla pietra che mi sembrava eterna, bensí scivolavano contro
una lastra levigata, la percussione della quale toglieva ogni dubbio, ancorché
dal di fuori non lasciasse trapelare goccia di barlume, piú opaca e piú densa
che se fosse stata coperta d'un panno. Al postutto, se la spagnolotta resisteva
ai tentativi e agli sforzi convulsi che facevo per aprire il telaio, i vetri
avrebbero dovuto cedere sotto i miei colpi, ridotti in frantumi.
Ma sui vetri ecco apparire un
riverbero luminoso, simile a quello che di notte, in ferrovia, si disegna sui
cristalli dei finestrini, e nell'incerto specchio formarsi a poco a poco una
macchia oblunga, come di persona in letto, che dorme. Pensai dapprima che al di
là ci fosse un'altra stanza, dove tal uno avesse acceso una lampada, ma
facendomi visiera agli occhi con le due mani, la fronte appoggiata ai vetri,
non vidi piú nulla. Nel voltarmi rividi il chiarore dietro di me, e lontana
poche braccia dalla nicchia in cui mi trovavo, una donna giacente.
Supina, coi piedi verso la parte
opposta la mia, la conobbi per donna dal volume dei capelli attorcigliati sotto
la nuca, aggrovigliati, aggrumati, enorme matassa color di ferro. Non le andai
subito vicino, per quanto desiderio avessi di guardarla in faccia e piú ancora
di sapere finalmente dov'ero. Uscito appena dai terrori del buio, la mia
titubanza non proveniva da paura di quella visione e neanche da sorpresa, ma da
uno sgomento nuovo, forse puerile; ho perfetta memoria del mio stato d'animo.
Codesta donna era una tentazione che il demonio m'apparecchiava? E se questo
non era, e alcuno fosse sopraggiunto, come avrei giustificato la mia presenza
accanto al letto della dormiente? E se ella si fosse svegliata?
La curiosità mi vinse o piuttosto un impeto di
ribellione alla forza occulta che faceva scempio di me. Donde piovesse la poca
luce che rischiarava tanto spazio quanto ne occupava il rettangolo del letto,
lo ignoro; so che non rischiarava altro; di qua, di là, nel fondo un'ombra
impenetrabile. Rigidamente, colei stava distesa, non sopra un letto, ma sopra
una specie di tavolato, senza materasso, senza guanciale, fino al mento coperta
d'una tela greggia che non era un lenzuolo; i piedi sporgevano fuori, ignudi,
le braccia s'indovinavano incrocicchiate divotamente sul petto. La guardai in
volto: una giovinetta; forse di vent'anni, o neppure; bianca, bianca, cerea,
piú bianca pel contrasto dei capelli ferruginosi; violaceo il velo abbassato
delle palpebre, le labbra semiaperte, livide, intorno alla chiostra dei denti.
Sospettai, mi corse un gelo su nelle spalle; era morta? Il freddo che sentivo
nelle ossa emanava dal suo corpo. Chinatomi per vederla meglio e ascoltare se
ancora respirasse, riconobbi il pallore cadaverico e non un soffio, benché
tenue, mi sfiorò la guancia. Le posai la mano sulla fronte; nessun dubbio: era
morta.
Mi sovvenni allora di Dio e caddi
in ginocchio, pregando. L'opera del Signore non è mai vana: perché attraverso i
prodigi inesplicabili delle sue vie, egli m'avrebbe condotto faccia faccia a un
cadavere, se non per rivelarmi il miracolo infinito della sua clemenza? Pregai,
non per me, ad alta voce, dinanzi al mio Crocifisso, che tenevo ritto contro la
sponda di quel giaciglio e mi confortava in cosí tragica solitudine. Quanta
pietà per quell'ignota, cosí giovinetta falciata a mattutino! Pregai fra i
singulti, pregai desiderando, sperando, volendo qualche cosa di sensibile e di
attuale, che percepivo come in lontananza e non sapevo determinare, e invece
delle esequie mi sgorgava dall'anima insistente, la preghiera dei moribondi: Respice
propitius, piissime Pater, Deus misericors, Deus clemens, super hanc famulam
tuam in te sperantem, et non habentem fiduciam nisi in tua misericordia, ad
tuae sacramentum reconciliationis admitte.
La creatura aperse gli occhi.
Son dieci giorni, monsignore, che
a pezzi e bocconi vado strascicando questa lettera, dopo le prime pagine,
interrotta da sonnolenze invincibili e fughe istantanee della memoria, e al
sopraggiungere della sera, da una ripugnanza di star solo che somiglia al
terrore dei fanciulli; e son dieci giorni che mi domando in virtú di quali meriti,
io miserabile, io peccatore, fui prescelto da Dio perché assistessi a un
miracolo di risurrezione, e lo vedessi compiersi davanti a me, senza alcuna
meraviglia da parte mia, quietamente, come cosa che non eccede i confini
naturali.
Aperse gli occhi, nuotanti ancora
nella morte, e subito li rinchiuse, ferita da quel simulacro di luce. Dubitai.
Dopo lunga aspettazione, li riaperse nello stupore di chi si sveglia da un
sogno, spaventati e reminiscenti. Balzato in piedi, le posai di nuovo la mano
sulla fronte. A quell'atto ebbe un sussulto per tutto il corpo; le sue pupille
errabonde si fissarono nelle mie, quasi rifugiandovisi, assumendo
un'espressione ineffabile di supplica e di fiducia. Oserei affermare che uscita
dalla visione dell'eterno castigo, quell'anima rediviva riconosceva in me la
potestà di liberarla? Agitate da un tremito, sembrava che le labbra tentassero
uno sforzo per rivelarmi il segreto.
Rispondimi: Credi che il tuo
Redentore vive, e nel novissimo giorno sorgerai dalla terra e lo vedrai coi
tuoi occhi, e le tue ossa umiliate esulteranno al suo cospetto? che Egli è la
resurrezione e la vita e chi crede in Lui, anche fosse morto, vivrà e non morrà
in eterno? Proferii queste parole con voce ferma. La creatura che intanto non
aveva battuto palpebra, tenendo lo sguardo sempre inchiodato nel mio, superò lo
sforzo e dal moto delle labbra divenuto calmo e regolare, indovinai che
articolava la risposta, ma cosí piano che l'udito non la percepiva. Curvo sul
suo corpo, approssimai l'orecchio; non afferravo da principio neppure un
bisbiglio indistinto, poi un sospiro, meno d'un sospiro, un alito che non
avrebbe appannato il cristallo: ma quell'alito aveva suono e forma di sillabe,
e in un linguaggio non mai ascoltato e che pure comprendevo quanto il mio,
netta, spiccata, intera, raccolsi la confessione d'oltre tomba.
Appena sulla penitente feci il
gesto della croce, pronunciando la formula sacramentale che l'assolveva nel
nome della Sacrosanta Trinità, le sue pupille non mi videro piú, le sue labbra
non mi parlarono piú, il suo corpo si irrigidí un'altra volta. Piú nulla.
Claudio, che avevo dimenticato, sorto improvvisamente dall'ombra ai piedi del
cadavere, stava guardandomi. Egli si mosse, seguito da me, verso il muro di
tenebre, le quali a destra e a sinistra si aprirono a guisa di cortine sul
nostro passaggio; e come la sua volontà mi aveva condotto in quel luogo, cosí
mi trasse via per lo stesso cammino già fatto sino all'imboccatura della strada
dove abito e che non tardai a riconoscere, tosto che mi accorsi d'essere stato
di nuovo abbandonato dalla mia guida. Salii la scala a tentoni; trovai l'uscio
socchiuso quale l'avevo lasciato nel partire, e allorché fui nel corridoio che
mette alla mia stanza e, inciampando, feci rotolare una seggiola, non fu la
voce di lui, di mio fratello, che intesi gridare dalla sua stanza, come quella
d'un uomo svegliato di soprassalto?
A questo punto, ella dirà, padre,
che non valeva la pena di importunarla, di rubarle un tempo prezioso e stancare
la sua pazienza per narrarle minutamente un sogno da donnicciuola, o piuttosto
una allucinazione inverosimile, prodotta senza alcun dubbio dal turbamento che
nell'animo mio aveva suscitato il racconto di Claudio circa la sua inferma
dell'ospedale. Credetti io pure a un sogno, e volli persuadermene a qualunque
costo la mattina dopo, allorché mi destai, seduto davanti al mio tavolino, col
breviario spalancato sotto gli occhi alla pagina del Benedictus; e con tanta
ingenuità me ne persuasi, da non curarmi, per progetto deliberato, di appurare
talune minime circostanze, e neppure di farne cenno a mio fratello, senza
rendermi conto che questo disegno, spregiudicato in apparenza, non era altro in
fondo che paura bell'e buona di dovermi ricredere. Sebbene rotto e
febbricitante, dopo una misera Messa celebrata sotto l'assedio di continue
tentazioni e di spasimi, non seppi risolvermi a lasciar partire Claudio solo, e
l'accompagnai per trovarmi con lui sulla porta dell'ospedale, all'ingresso del
nostro Arcivescovo e unirmi poi al seguito. Egli era malinconico e di poche
parole. Strada facendo mi domandò: «Questa notte, chi ha suonato due volte il
campanello? Cercavano di me?»
In compagnia del clero, dei
membri del Consiglio d'amministrazione, dei medici primari e assistenti, dopo
aver lentamente percorso ad una ad una le lunghe sale dolorose, fermandosi al
letto degli ammalati piú gravi nell'uno e nell'altro riparto, confortando e
benedicendo, Sua Eminenza reverendissima scese al piano del cortile. Entrammo
tutti in un grande camerone, squallido, rischiarato da immense finestre
coll'inferriata. Domandai dove fossimo, un giovane assistente rispose tra lo
scherzo e lo scherno: «All'Eden». Cinque cadaveri giacevano sul tavolato,
nascosti da una tela greggia; erano i morti della vigilia che aspettavano l'ora
di essere sepolti. Monsignore manifestò il desiderio di vederli e alcuni
famigli rovesciarono quel ludibrio di drappo funebre, lasciando cosí scoperti i
volti, di fronte a noi: quattro uomini e una donna.
Debbo dirle che ravvisai in
quella donna la giovane che io avevo confessata durante la notte, e che vidi il
mio Crocifisso ancora adagiato sul suo petto. Con voce alta e sonora il
Cardinale intonò l'antifona: «Ego sum resurrectio et vita...»
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