Nessun dubbio che i fenomeni
d'occultismo esposti otto o dieci anni fa dal professor Zamit e da madamigella
Alma nel teatro Marrucino di Chieti fossero strani e incomprensibili, specie
quelli che si riferivano alla trasmissione del pensiero, ma se il pubblico
rimaneva stordito e c'era da scommettere che piú d'uno sarebbe venuto una volta
o l'altra coll'acquasantino in saccoccia per scongiurare l'influsso diabolico,
alcuni ufficiali della guarnigione non si adattavano cosí presto ad accettarli
senza benefizio d'inventario.
Nella sala grande dell'albergo
del Sole, dove si raccoglievano a cena terminato lo spettacolo, le
discussioni non finivano piú, e quantunque io non voglia affermare che fossero
tutti concordemente scettici, l'opinione trionfante non attribuiva altro valore
a cotesti fenomeni se non quello d'un'abile ciurmeria. Ipnotismo? sentir caldo
o freddo, mostrarsi in preda a un accesso di spavento o di gioia o di
devozione, camminare o star fermi o inginocchiarsi a beneplacito
dell'operatore, era una commedia bell'e buona rappresentata con discreta arte
dai pretesi suggestionati, i quali, chi sa dopo quante prove, obbedivano
da onesti compari alle istruzioni ricevute; o perché il signor Zamit sceglieva
i suoi soggetti a gusto suo, quasi sempre tra il pubblico della piccionaia,
studentelli o artigianelli o straccioni vagabondi, non certo superiori al
sospetto d'essere stati scritturati a mezza lira per sera, invece di degnarsi
d'invitare sul palcoscenico persone conosciute, persone a modo e sopratutto
degne di fede? quanto alla trasmissione del pensiero, se madamigella Alma,
nello stato di sonnambulismo piú o meno accertato e cogli occhi bendati piú o
meno, suonava sul pianoforte un pezzo di musica imposto mentalmente da uno
spettatore, ripeteva parola per parola una frase scritta seduta stante e
suggellata dentro una busta, indicava con precisione il recondito nascondiglio
di qualche oggetto ovvero si recava essa stessa a rintracciarlo, siffatti esperimenti,
volere o no, in sostanza non erano che i soliti giochetti delle sonnambule di
piazza, ridotti a miglior lezione e perfezionati con garbo.
E siccome ad ogni salmo non deve
mancare il gloria, cosí il gloria d'ogni discussione si
riassumeva nel panegirico di madamigella Alma, la quale coi suoi occhi
tenebrosi che scintillavano esercitava una suggestione di tutt'altro genere da
quella promessa sui cartelloni, allorché davanti al pubblico compariva
sorridente, il volume dei capelli tenebrosi abbandonato giú per le spalle a
guisa di un manto ieratico, le spalle e le braccia candidissime emergenti dalle
tenebre di velluto nero che la serravano fino ai piedi. Rare volte la desolata
monotonia teatina era stata interrotta da un maggiore avvenimento d'ammirazione
e di curiosità: in origine le conferenze, come annunciava il cartellone,
dovevano esser due, dopo la quinta l'emulo di Donato si lasciava indurre a
concederne ancora un'ultima definitiva a richiesta generale, e assai piú degli
esperimenti ipnotici, sempre gli stessi con poche varianti, era l'attrattiva
della Sibilla il vero richiamo. Grandi discussioni nel caffè Barattucci: da
taluno si pretendeva che fosse figlia del professore, altri la dichiarava
moglie, dalla mano destra o sinistra poco importa, ma comunque si volesse
qualificare, nessuno degli eterni gazzettieri e degli ostinati frequentatori
del palcoscenico aveva avuto agio d'avvicinarla e di dirle mezza parola; non
bastava poter penetrare nelle quinte durante gli intervalli ed essere accolti a
braccia aperte dal signor Zamit: madamigella rimaneva invisibile nel suo
camerino; fosse virtú sua o gelosa vigilanza del custode, nessuno poteva
vantarsi d'aver ottenuto da lei la grazia d'uno sguardo o d'un sorriso
speciale, per quanto fossero molti coloro che l'imploravano tutte le sere, e in
prima riga, agitandosi e scalmanandosi dai loro posti per farsi osservare,
aspettandola all'uscita, i nostri ufficiali del distaccamento di Parma
cavalleria.
- Se l'invitassimo a cena per
domani? - scappò fuori ad un tratto il tenente Regesta la sera della penultima
rappresentazione - mi assumo io
l'incarico; conosco il professore e conosco il suo debole; domani mattina al
caffè lo piglio dal lato della scienza, gli espongo i nostri riveriti dubbi, lo
metto colle spalle al muro: non si scappa: se i suoi fenomeni sono lisci e
sinceri, senza tranelli, senza fantasmagorie e giuochi di prestigio, perché non
accetterebbe di ripeterli alla buona, quasi in famiglia, tra cinque o sei amici
che non domandano altro che d'essere illuminati e convertirsi dalla loro
incredulità? Venendo lui, naturalmente deve condurre la sua ausiliaria, e per
geloso che sia, sfido! non saremmo piú noi se durante gli esperimenti, o prima
o dopo, non riuscissimo a decifrare la sciarada di cotesta sfinge e averne il
cuor netto circa la sua virtú. Potrebbe anche darsi che con un pretesto egli
non accettasse: d'accordo! e allora pazienza, ma in questo caso farebbe male i
suoi conti e domani sera a subissare il teatro ci pensiamo noi; birba chi
manca, non vi dico altro.
Qualunque fosse la proposta del
tenente, fatta sul serio oppure una delle sue solite uscite strampalate,
raccolse subito per acclamazione i voti dei presenti, tranne quello del giovine
principe di Rocca Imperiale, venuto fresco fresco dalla scuola di Pinerolo e
ancora novizio nell'arte di passar mattana in una piccola guarnigione, che per
scrupolo d'etichetta non giudicava conveniente invitare a cena una signorina
alla quale nessuno di loro era stato presentato; non gli diedero retta; corsero
pure delle scommesse: Zamit non accetterà, Zamit accetterà, e il domani, dopo
colazione, si trovarono puntuali da Barattucci, impazienti di sapere come ne
sarebbe stato accolto l'invito.
Manco dubitarne: Zamit pareva che
non aspettasse altro. Chi aveva sparso la voce ch'egli era geloso? accettò
subito senza complimenti, per sé, prima di tutto, e quel che piú monta, per la
sua compagna, promettendo e impegnandosi tra il mistero e la celia di
convertire gli increduli con prove palmari ai miracoli delle scienze ermetiche.
Solamente, finita la rappresentazione d'addio in un visibilio di battimani e di
fiori alla Sibilla, quando fu l'ora di sedersi a tavola e il tenente Regesta,
che si era messo in quattro pei preparativi della cena, non vedendolo cominciava
a masticarsi i baffi, eccolo arrivare piú che mai ilare e disinvolto, ma senza
Sibilla!
Se affermassi che la famosa cena,
massime sul principio, fu addirittura un banchetto di Baldassarre per
l'allegria e la festività dei commensali, piú d'uno vorrebbe metterlo in
dubbio: pareva piuttosto d'essere in un refettorio di Cistercensi. Regesta, il
caporione, borbottava piano dei paternostri selvatici, schizzando fiamme e
veleno peggio d'un basilisco per essersi lasciato burlare da quel ciarlatano
maltese, e col naso nel piatto scansava le occhiate maligne dei quattro
colleghi che non gli presagivano niente di buono. Per esempio, uno che aveva
saputo indovinarla meglio di tutti era stato quello sbarbatello di Rocca
Imperiale: colla sua timidità, colle sue paure d'offendere l'etichetta classica
imparata nei salotti napoletani, dopo il teatro era sparito senza dir niente a
nessuno, e cosí il solo che avesse diritto di pigliarli in giro tutti quanti,
messi nel sacco dal mago, era lui, un sottotenentino venuto ieri, ancora col
latte sulle labbra!
Mago o non mago, non c'era
bisogno di saper divinare il pensiero per accorgersi che la scusa
d'un'improvvisa emicrania sopraggiunta a madamigella Alma otteneva tacitamente
l'unanime suffragio dell'incredulità e per dedurre dall'accoglienza glaciale
degli anfitrioni che piú presto si fosse sciolta la seduta meglio sarebbe
stato. Il professore non fu di questo avviso: poiché gli altri tacevano,
discorreva lui per tutti, tra un boccone e l'altro diluviato con appetito
invidiabile, raccontando non senza brio e vivacità aneddoti piccanti delle sue
peregrinazioni nei due emisferi e come un giorno, quand'era ancora studente di
medicina a Londra, la lettura delle opere teosofiche di Swedemborg l'avesse
catechizzato all'occultismo.
- Niuno di voi, signori, conosce
Swedemborg! me ne duole, ma non mi stupisce; vi consiglio di leggerlo:
venticinque volumi in-quattro, a un dipresso di cinquecento pagine l'uno,
scritti in latino e stampati in carattere minutissimo da perderci gli occhi.
Capisco, non avete tempo: la piazza d'armi, i cavalli, le corse... tutte
occupazioni assai piú importanti; ciò non toglie che dopo le aberrazioni
demonologiche del medio evo, sia Swedemborg l'inventore della teurgia moderna e
Mesmer e Crookes e Christian e Allan Kardec procedano da lui, concordi in
questo grande principio: non solo l'anima è distinta dal corpo, ma conserva la
propria individualità nello stato del sonno e della morte e può comunicarsi a
noi tanto nell'uno come nell'altro. I materialisti fanno come voi altri in
questo momento, ridono; ma quando si trovano in presenza d'un fenomeno di
divinazione e di visione nell'ordine intellettuale ovvero di altri fenomeni
meccanici, contrari alle leggi di natura nell'ordine fisico, si stringono nelle
spalle e non potendo per ora spiegarli invocano in un avvenire piú o meno
remoto la lanterna della scienza: ho paura che la scienza puramente umana non
avrà mai olio per cotesta lanterna. Tornando a Swedemborg, volete sentire in
quali circostanze gli ho parlato e mi spiegò a viva voce il suo dogma degli
angeli? notate ch'egli morí nel 1772, circa settant'anni prima che io venissi
al mondo: mi trovavo a Middlettown negli Stati Uniti...
L'esordio prometteva una storia
da manicomio; in fondo non si trattava che d'una semplice comunicazione
spiritica, non dissimile da quelle che le gazzette americane e inglesi
registrano quasi ogni giorno, ma sebbene l'uditorio continuasse a mostrarsi
ribelle affettando per progetto un'indifferenza astiosa e beffarda che
rasentava la scortesia, a poco a poco si lasciava prender la mano
dall'imperturbabile illuminato. Grandi e grossi, con tanto di sciabola
al fianco, siamo sempre bimbi: quello stesso incubo di curiosità, d'ansia e di
paura che ci teneva immobili nelle serate d'inverno sulle nostre scranne ad
ascoltare trepidanti la fiaba del Mago Merlino e di Bellinda abbandonata nel
bosco, anche adesso ci opprime e ci affascina, noi spiriti forti, se c'è chi si
sogna di pagarci con altrettante panzane lo scotto della cena che abbiamo avuto
la dabbenaggine d'offrirgli.
Questo pensava il tenente
Regesta, e lui pel primo era già fuori di carreggiata quando alla narrazione
del colloquio con l'ombra di Swedemborg tenne dietro una sequela d'altri fatti
piú meravigliosi, interpolata da scorribande trascendentali nei limbi della
metafisica. Non lui solo, tutti accennavano a brancolare, chi piú chi meno,
deposto il broncio sotto la tavola e madamigella Alma sparita dalla memoria. In
breve la discussione si accese e fu generale, chi obbiettava ricalcitrante, chi
piú modesto, non celando la sua ignoranza e attratto da una curiosità
irresistibile e da un desiderio nuovo d'istruirsi, cumulava domande a domande;
alle frutta, non dirò che fossero già tutti neofiti e giurassero in verbo
magistri, ma se il professore Zamit aveva al mondo degli amici, i piú
sinceri e i piú entusiasti si trovavano in quel momento a Chieti, all'albergo
del Sole.
Non credevano alla suggestione,
per lo meno li soccorreva tale e tanta fiducia nella loro energia da ritenersi
refrattari, e incoscientemente ne subivano il dominio. Era la suggestione della
dottrina ermetica o piuttosto dell'altrui volontà? Perché non gli levavano gli
occhi d'addosso a Zamit, quest'uomo dal colore bruciato del volto che tradiva
l'origine saracena, dai capelli ispidi e ritti sulla fronte come un'aureola di
spine, e ogni volta che lo sguardo d'uno di loro s'incrocchiava col suo, non
potevano sostenerne l'acciaio? Anche la discussione era finita: ascoltavano.
- Tenente, se non le spiace,
favorisca chiudere tutte le porte di questa sala e custodirne le chiavi per
maggior sicurezza - disse il maltese ad uno degli astanti, poi che i camerieri
ebbero terminato di sparecchiare la tavola - non saremo importunati da
estranei.
Levatosi in piedi, fece alcuni
passi per isgranchirsi le gambe, si avvicinò alla finestra e appoggiata la
fronte contro i vetri, stette immobile un buon minuto come se volesse
discernere qualche cosa nell'oscurità della notte. Ripigliò il discorso
tornando al suo posto ma senza sedersi:
- Questa mattina nell'accettare
il vostro invito avevo pure accettato a nome della signorina Alma, e vi do la
mia parola d'onore che non solo non avevo alcuna ragione di rifiutare e tanto
meno di promettere con intenzione di non mantenere, ma mi sentivo molto
lusingato per me e per lei della vostra gentilezza squisita; non fu colpa mia
né colpa della signorina se all'ultimo momento un malore improvviso, a cui
purtroppo va soggetta, le vietò di venire in persona a ringraziarvi e passare
due o tre ore in vostra compagnia come avrebbe desiderato. Mi teneste il
broncio, me ne accorsi e non voglio farvene carico, però avreste torto di
conservarmi rancore, perché sebbene venuta in ritardo, madamigella Alma è con
noi.
Silenziosi, gli ufficiali
seguitavano a guardarlo e non capivano cosa intendesse di dire.
- Madamigella Alma è con noi -
ripeté Zamit spiccando le sillabe ad una ad una - è presente in questa stanza,
ci vede e ci ascolta. Non vi ho detto poco fa e non ho cercato di dimostrarvi
che nella dualità dell'anima e del corpo, se il corpo è soggetto alle leggi
fisiologiche, l'anima obbedisce ad altre leggi sconosciute, affatto
indipendenti, e l'abbandono della vita corporale, sia momentaneo o definitivo,
nel sonno o nella morte, non implica punto la cessazione d'ogni rapporto cogli
uomini? Voi non la vedete, madamigella Alma, come non la vedo io, ma credete
che basti di non vederla per poter negare la sua presenza? Tenente Regesta, non
sentite ch'essa è al vostro fianco e vi stringe la mano?
Se Regesta non provò
materialmente la stretta d'una mano invisibile, ebbe tuttavia la sensazione
certa che tra lui e il suo vicino di destra una persona invisibile si era
frapposta e questa persona lo fissava negli occhi! Voltò il capo dall'altra
parte, colle due mani stese riparandosi d'un moto istintivo, come avrebbe fatto
davanti a uno scoppiettio di scintille per non rimanerne acciecato.
Le labbra del professore si
atteggiarono a un sorriso sardonico:
- L'avete tanto desiderata,
madamigella, e ora che essa gradisce la vostra compagnia e vuole dimostrarvi
d'esservi riconoscente, voi ne avete terrore? Non viene dall'altro mondo e
tanto meno può dirsi un'intrusa: è la vostra invitata! Debbo fare io gli onori
di casa?
Scostò alquanto a capo della
tavola una sedia rimasta vuota e inchinatosi galantemente come se davvero
offrisse posto a una signora, andò ad aprire il pianoforte, strumento e vittima
tutte le sere delle crudeltà musicali di Regesta.
L'invitata! Non solo Regesta,
pure gli altri la sentivano presente in mezzo a loro, sentivano il suo sguardo,
sentivano la sua ombra, e immobili, fissi gli occhi nello stesso punto,
tacevano, aspettando da un momento all'altro la rivelazione della voce. Chi
aveva spento ad un tratto le fiamme del gas, salvandone una sola, laggiú
nell'angolo, moribonda? Tacevano: nel silenzio, veniva dalle lontananze
notturne il latrato d'un cane.
La voce non si rivelò, ma come se
ad un tempo Regesta e i suoi compagni avessero percepito distintamente lo
stesso soffio o lo stesso sospiro di sillabe dall'ospite vivibonda nell'immaterialità,
si guardarono tra di loro, interrogandosi cogli occhi, mentre Zamit tornava
verso la tavola rotonda. Nessuno aveva nominato Rocca Imperiale e tutti cinque
l'avevano scordato fino dai primordi della cena: per quale divinazione
magnetica uno leggeva nel pensiero dell'altro il nome di Rocca Imperiale,
balenato subitaneo alla loro mente, e muti si comunicavano l'impressione
d'averlo inteso proferire?
Nel languore dell'unica fiamma
rimasta, pareva che su tutti pesasse un'oppressura. Incrocicchiate le braccia,
ritto dietro la sedia da lui offerta un minuto prima all'invitata, pure Zamit
taceva. Forse non era trascorso un minuto dacché durava l'eternità di quel
silenzio. Ma se gli altri non acconsentivano che loro malgrado alla crescente
suggestione e non avevano ancora smarrito del tutto ogni energia ribelle di
volontà, Regesta, piú debole, si era dato per vinto: cogli occhi sbarrati, le
pupille immobilmente fisse, senza dubbio vedeva l'imaginaria; quasi obbedisse a
un invito di lei, si alzò, camminando a passi lenti d'automa o piuttosto di
sonnambulo, le porse la mano, l'accompagnò verso il pianoforte.
- Ascoltate - disse Zamit a voce
bassissima, come se parlasse nella stanza d'un agonizzante.
In piedi, vicino allo sgabello e
alquanto curvo sulla tastiera, Regesta aveva l'attitudine di chi si tien pronto
a voltare sul leggio le pagine della musica, ma i suoi rari movimenti, duri e
angolosi, sembravano determinati da un ordigno meccanico, al quale ottemperava
nella vedovanza di sé medesimo, e rimaneva impassibile la maschera del suo
volto.
Zamit non lo perdeva di vista;
tendendo l'orecchio e col dito accennando verso il piano, ripeté:
-
Ascoltate!
Suprema illusione o realtà
maggiore d'ogni ipotesi umana, dalle caverne dell'istrumento vibrò un accordo,
preludio d'una melodia immemoriale che adagio adagio, appena percettibile e
pure linda e spiccata, cominciò a svolgersi sotto le dita dell'apparizione
ermetica: nasceva a quattro passi di distanza e si sarebbe detto che veniva dai
limbi, tanto era lontana: appena percettibile: anziché una musica, il sogno
d'una musica, il riverbero d'una musica, le cui note giungevano man mano
estenuate e recavano forma e suono di parole, in un linguaggio che non si
traduce e non si rammenta piú, né tristi né liete.
Quanto abbia durato, niuno degli
ascoltanti lo sa: ad occhi aperti, si erano come assopiti in quella
mansuetudine di ritmo, scordando l'ora del tempo e la prima paura del mistero.
Improvvisamente, si scossero: parecchi colpi ripetuti tempestavano l'uscio, dal
di fuori la voce convulsa di Rocca Imperiale li chiamava per nome, ora l'uno
ora l'altro, e mentre Zamit si volgeva irritato verso la porta, ecco Regesta
avventarglisi contro d'un salto, alle spalle, afferrarlo pel collo,
stramazzarlo a terra e mantenervelo con tutta la forza delle sue mani e con un
ginocchio sullo stomaco. Fu un attimo. Di fuori raddoppiavano i colpi e sempre
piú affannosa la voce di Rocca Imperiale:
- Aprite! aprite!
Balzarono in piedi tutti quattro,
gli ufficiali, ma brancolanti sulle gambe, non liberati dal torpore
dell'incantesimo, e prima che avessero avuto tempo di ben comprendere ciò che
accadeva e dar soccorso all'aggredito, videro madamigella Alma partirsi dal
pianoforte e attraversare la sala; coi loro occhi la videro bianca e discinta
- non quale la conoscevano in teatro nel
suo abito nero di velluto - tutta
bianca, passare rapidamente, a mezz'aria, come se non toccasse terra, le
braccia levate e i capelli sparsi, luminosa nella penombra, guadagnar l'uscio e
collocarvisi davanti rivolta verso di essi, a mani giunte facendo il gesto
supplichevole di non aprire.
Un attimo: quando intuirono
l'idea della visione, la visione si era già dileguata. Senonché altrettanto
presto aveva fatto Zamit a svincolarsi prima che si fossero mossi per
agguantare il furioso, e nello sconquasso della porta che cedeva a un urto
violento, rovesciato Regesta sotto di sé, gli intimava:
- Svegliatevi! tenente Regesta,
voglio che vi svegliate!
Rocca Imperiale frattanto
rimaneva sulla soglia, forse pentito della sua audacia: era senza sciabola, la
divisa scomposta, pallido, esterrefatto; voleva dire qualche cosa agli amici,
ma gli tremavano le labbra e la vista del professore gli strozzava la parola.
- Svegliatevi! - gridò Zamit
un'ultima volta con iraconda energia nella voce, e gli porse la mano, a
Regesta, per aiutarlo ad alzarsi non appena lo vide risorto dall'ipnosi, lo
sostenne trasognato e vacillante, lo fece sedere, benevolmente.
- E cosí? siete persuasi,
signori? - Uno di voi favorisca di riaccendere il gas, ve ne prego. - Siete persuasi? peccato che sul piú bello le
nostre esperienze sieno state interrotte quando forse ci si preparavano altri
fenomeni ancora piú strani... - a proposito, si può sapere cos'è successo di
tanto grave da meritarci l'onore d'un'invasione? è scoppiata una bomba? siamo
circondati dalle fiamme?
Parlava con calma, nella
naturalezza del suo tono sardonico abituale, piano piano asciugandosi col
fazzoletto poche stille di sangue che gli gocciolavano dal collo, dietro l'orecchio,
sulla camicia, e ostentando per Regesta la noncuranza del chirurgo, che
compiuta l'operazione, non si volge piú verso il paziente. Andò incontro al
nuovo personaggio stendendogli la mano, quantunque lo conoscesse solo di vista,
e non si accorse della sua cera stravolta oppure ne attribuí senza dubbio la
causa alla commozione d'essere entrato proprio nel momento critico della lotta
corpo a corpo. Fra parentesi, anche gli altri, ora che la luce era
ripristinata, avevano sul viso un colore d'acqua fresca, impagabile.
- Il principe di Rocca Imperiale,
se non erro? Non vi aspettavamo cosí tardi, troppo tardi, per quanto la vostra
impazienza v'abbia consigliato di sfondarci la porta, visto che nessuno di noi
si dava premura d'aprirla, io specialmente e non per mia volontà; un vero
attacco alla baionetta! Ad ogni modo, se non altro, siete giunto in tempo pel
bicchiere della staffa e non vorrete rifiutarlo, come non lo rifiuteranno i
vostri amici prima di sciogliere la seduta. - Mustafà, portaci due bottiglie di
Valpolicella... e se saranno anche quattro, non fartene scrupolo. - Del resto, avete assistito a una scena
grottesca di pugilato che non era compresa nel programma, ve l'assicuro; è la
seconda volta che mi succede: all'Avana, in pieno teatro, un soggetto mi
saltò addosso per strangolarmi, profittando d'una mia distrazione
involontaria... uno dei migliori soggetti, dei piú obbedienti che il
caso m'abbia fatto incontrare dacché vado girando per il mondo... allora non ci
diedi importanza, oggi il ripetersi dello stesso tentativo, in condizioni quasi
identiche, scompiglia addirittura tutta l'economia delle nostre dottrine e un
nuovo mistero ci si affaccia davanti: mentre noi crediamo che la nostra sola
volontà operi sul paziente, invece egli ci sarebbe disputato da un'altra volontà,
opposta e nemica, che lo suggestiona in senso contrario e strisciando, per cosí
dire negli ipogei della sua anima, lo tenta, lo istiga alla ribellione e ad
aggredirci colla forza brutale per distruggere il nostro dominio? Potremmo
chiederne qualche cosa al signor Regesta, se lui pure non avesse l'obbligo
imprescindibile di non rammentarsi piú nulla. - E di quest'altra volontà che
aspira a sopraffare la nostra e ad annientarla, chi sarebbe l'autore? la psiche
dello stesso paziente, o il demonio - perché io credo al demonio e Swedemborg
ci credeva come credeva agli angeli - oppure lo spirito d'un disincarnato? Ecco
il dubbio: per esempio, se io ho costretto madamigella Alma ad obbedirmi, forse
contro il suo desiderio, a venir qui spiritualmente con noi mentre ella dormiva
e a rivelarci in modo sensibile la sua presenza, chi mi assicura che non sia
stata lei a incitare il tenente contro di me, a scagliarmelo addosso per
liberarsi del giogo che le imponevo? Non dico che ciò sia, è un'ipotesi e
rimarrà allo stato d'ipotesi pura e semplice, perché quando tra poco, tornato a
casa, interrogherò madamigella Alma, anch'essa, naturalmente, avrà smarrito la
memoria di tutto. - Oh bravo, Mustafà! Tenente Regesta, a voi il primo
bicchiere, ve lo siete meritato, e faccio un brindisi alle vostre buone
attitudini e all'eccellenza dei vostri muscoli... un'altra volta, se volete
strangolarmi, ditemelo in tempo, cosí non avrò distrazioni e prenderò meglio le
mie cautele. Signori, bevo alla vostra salute! Coraggio, principe; non avete
visto nulla e siete il piú pallido?
Uscirono tutti insieme
dall'albergo del Sole, diretti verso la Vittoria dove il
professore stava d'alloggio, ma appena fuori dell'arco magno d'ingresso, Rocca
Imperiale afferrò pel braccio colui dei suoi compagni che gli era piú vicino e
lo tenne indietro per forza, scostandolo dagli altri, lasciando che la
comitiva, allo svolto della cantonata, si perdesse nell'oscurità.
- Vieni a casa mia... vieni a
casa mia... subito! - implorò con voce spezzata, e senza rispondere alle sue
domande, senza dargli tempo, lo trasse con sé in una corsa folle giú per la
discesa, poi attraverso il laberinto buio dei vicoli orfani. Si smarrirono,
tornarono due volte sui loro passi, e durante la corsa, a penosi intervalli, il
racconto agitato, sconnesso, incredibile, di ciò ch'era avvenuto.
Alma... era con lui, Alma, in
camera sua, di lui... era venuta a trovarlo dopo lo spettacolo e non aveva
accettato l'invito alla cena apposta per essere libera e profittare dell'assenza
di suo marito... era suo marito, Zamit. A Rocca Imperiale gli aveva dato
l'appuntamento durante la rappresentazione... fino dalla seconda sera si
parlavano a gesti, un telegrafo d'amore inventato lí per lí, e il pubblico non
se n'era mai accorto, nemmeno gli amici... insomma gli aveva dato
l'appuntamento. Era con lui... stava bene, stava benissimo, allegra... piena di
vita e di salute... ad un tratto... ma ad un tratto, cosí, all'improvviso...
senza motivo... lui credeva che scherzasse... ad un tratto rimane come
istupidita, cogli occhi larghi, invetrati... non parla piú, non risponde...
credeva che scherzasse... la chiama, la scuote... niente! E gli cade nelle
braccia, fredda, rigida... i denti serrati... fredda! Poteva essere uno
svenimento momentaneo, si sarebbe subito riavuta... e le spruzzò la faccia
d'acqua fresca... non sapeva far altro... non c'era nessuno in casa... tutto
inutile! ella non tornava in sé... fredda... rigida... il ritratto della morte!
non tornava piú in sé; gli pareva, a lui, che il polso non battesse piú... non
batteva piú il polso, il cuore non batteva piú... morta! morta a tradimento! in
casa a quell'ora non c'era nessuno... girava per la stanza atterrito, colle
mani nei capelli, si gettava disperato su quel corpo, abbracciandolo
disperato... chiamando: Alma... Alma!... tutto inutile, era morta! e come un
pazzo, a precipizio era corso al Sole, dove sapeva di trovare gli amici,
a domandare aiuto... e sforzata la porta, l'aveva vista, Alma... l'aveva vista
come un lampo, venirgli incontro e fargli segno di tacere, per amor di Dio!
Giunsero. A quattro gradini per
volta, ansanti, furono in cima alla scala: la porta era socchiusa, nella
seconda stanza, quella da letto, ardeva sul tavolino di mezzo la lampada a
petrolio, illuminante i resti d'una cenetta in due, ma sul letto disfatto,
vuoto, non rimaneva che l'impronta recente d'un corpo: viva o morta che fosse,
madamigella Alma era sparita.
La mattina dopo, sulla piazza
grande di S. Giustino, salutati da un mondo, il professore Zamit e la sua
Sibilla prendevano imbarco nella solita diligenza quotidiana che doveva
portarli abbasso alla stazione. I nostri ufficiali c'erano tutti e Zamit li
presentò a un per uno a madamigella:
- Il tenente Regesta... il
tenente Della Guardia...
- È inutile la presentazione
- disse madamigella Alma sorridendo e ad
ognuno stringendo la mano - se è vero,
come mi avete detto, che la notte scorsa io ho conosciuto in ispirito questi
signori all'albergo del Sole.
- Allora vi presento l'unico che
essendo giunto in ritardo, non avete conosciuto: il principe di Rocca
Imperiale.
Milano, 14 aprile 1895.
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