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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA IIII

 

Carino, Montano, Nicandro, Mirtillo, Choro di Pastori.

 

Car.

Chi vide mai sì rari abitatori

In sì spessi abituri? hor, s'io non erro,

Eccone la cagione:

Velli quà tutti in un drappel ridotti.

Oh quanta turba, ò quanta

Com'è ricca e solenne veramente

Qui si fa sacrifizio.

Mon.

Porgimi il vasel d'oro,

Nicandro, ovriposto

L'almo licor di Bacco. Nic. Eccotel pronto.

Mon.

Così il sangue innocente

Ammollisca il tuo petto, ò santa Dea,

Come rammorbidisce

L'incenerita, ed arida favilla

Questa d'almo licor cadente stilla.

Hor tu riponi il vasel d'oro, & poscia

Dammi il nappo d'argento. Nic. Eccoti il nappo.

Mon.

Così l'ira sia spenta

Che destò nel tuo cor perfida ninfa,

Come spegne la fiamma

Questa cadente linfa.

Car.

Pur questo è sacrifizio,

vittima ci veggio.

Mon.

Hor tutto è preparato,

manca altro che'l fin. Dammi la scure.

Car.

Vegg'io forse, ò m'inganno, un che nel tergo

Ad uom si rassomiglia,

Con le ginocchia à terra?

È forse egli la vittima? Ò meschino,

Egli è per certo, e gli tien già la mano

Il Sacerdote in capo.

Infelice mia patria ancor non hai

L'ira del ciel dopò tant'anni estinta?

C. P.

Ò figlia del gran Giove,

O sorella del Sol, ch'al cieco mondo

Splendi nel primo ciel, Febo secondo

Mon.

Vindice dea, che la privata colpa

Con publico flagello in noi punisci,

(così ti piace, e forse

Così sta ne l'abisso

De l'immutabil providenza eterna),

Poi che l'impuro sangue

De l'infedel Lucrina in te non valse

A dissetar quella giustizia ardente

Che del ben nostro ha sete,

Bevi questo innocente

Di volontaria vittima e d'amante

Non men d'Aminta fido,

Ch'al sacro altare in tua vendetta uccido.

C.P.

Ò figlia del gran Giove,

O sorella del Sol, ch'al cieco mondo

Splendi nel primo ciel, Febo secondo

Mon.

Deh, come di pietà pur'hora il petto

Intenerir mi sento

Che 'nsolito stupor mi lega i sensi.

Par che non osi il cor la man possa

Levar questa bipenne.

Car.

Vorrei prima nel viso

Veder quell'infelice, e poi partirmi,

Che non posso mirar cosa sì fiera.

Mon.

Chi che 'n faccia al sol, ben che tramonti,

Non sia fallo il sacrar vittima humana,

E perciò la fortezza

Languisca in me de l'anima e del corpo?

Volgiti alquanto e gira

La moribonda faccia inverso il monte.

Così sta ben. Car. Misero me Che veggio?

Non è quello il mio figlio?

Il mio caro Mirtillo?

Mon.

Hor posso. Car. È troppo desso. Mon. E'l colpo libro.

Car.

Che fai, sacro ministro?

Mon.

E tu, huomo profano,

Perche ritieni il sacro ferro ed osi

Di por tu qui la temeraria mano?

Car.

Ò Mirtillo, ben mio,

Già d'abbracciarti in sì dolente guisa...

Nic.

in malora, insolente e pazzo vecchio

Car.

Non mi credev'io mai. Nic. Scostati dico

Che con impura man toccar non lice

Cosa sacra agli Dei. Car. Caro agli Dei

Son ben anch'io, che con la scorta loro

Qui mi condussi. Mon. Cessa

Nicandro. Udiamlo prima, e poi si parta.

Car.

Deh ministro cortese,

Prima che sopra il capo

Di quel garzon cada il tuo ferro, dimmi

Perche more il meschino, io te ne prego

Per quella Dea ch'adori.

Mon.

Per nume tal tu mi scongiuri, ch'empio

Sarei se tèl negassi.

Ma che t'importa ciò? Car. Più che non credi.

Mon.

Perch'egli stesso à volontaria morte

S'è per altrui donato.

Car.

Dunque per altrui more?

Anch'io morrò per lui, deh per pietate,

Drizza in vece di quello

A questo capo già cadente il colpo.

Mon.

Amico, tu vaneggi.

Car.

E perche à me si nega

Quel ch'a lui si concede?

Mon.

Perche forestiero. Car. E se non fussi?

Mon.

fare anco il potresti;

Che campar per altrui

Non può chi per altrui s'offerse à morte.

Ma dimmi: chi tu, se pur è vero

Che non sij forestiero?

A l'habito tu certo

Arcade non mi sembri. Car. Arcade sono.

Mon.

In questa terra già non mi sovviene

D'haverti io mai veduto.

Car.

In questa terra nacqui, e son Carino,

Padre di quel meschino.

Mon.

Padre tu di Mirtillo? ò come giugni

A te stesso ed à noi troppo importuno

Scostati immantenente,

Che col paterno affetto

Render potresti infruttuoso e vano

Il sacrifizio nostro.

Car.

Ah, se tu fussi padre

Mon.

Son padre, e padre ancor d'unico figlio,

E pur tenero padre, nondimeno,

Se questo fosse del mio Silvio il capo;

Già non sarei men pronto

A far di lui quel che del tuo far deggio,

Che sacro manto indegnamente veste

Chi, per publico ben del suo privato

Comodo non si spoglia.

Car.

Lascia ch'i 'l baci almen prima che mora.

Mon.

E questo molto meno.

Car.

Ò sangue mio, e tu ancor crudo,

Che non rispondi al tuo dolente padre?

Mir.

Deh padre, omai t'acqueta. Mon. O noi meschini

Contaminato è 'l sacrificio, ò Dei

Mir.

Che spender non potrei più degnamente

La vita che m'hai data.

Mon.

Troppo ben m'avvisai

Ch'a la paterne lagrime costui

Romperebbe il silenzio.

Mir.

Misero qual errore

io commesso, ò come

La legge del tacer m'uscì di mente?

Mon.

Ma che si tarda? Su, ministri: al Tempio

Rimenatelo tosto,

E ne la sacra cella un'altra volta

Da lui si prenda il volontario voto.

Quì poscia ritornandolo, portate

Con esso voi per sacrificio novo

Nov'acqua, novo vino e novo foco.

, speditevi tosto,

Che già s'inchina il sole.

 


 

 




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