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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA VII

 

Corisca, Linco.

 

Cor.

E così, Linco, il dispietato Silvio,

Quando men se'l pensò, divenne amante.

Ma che seguì di lei? Lin. noi la portammo

A le case di Silvio, ove la madre

Con lagrime l'accolse,

Non se di dolcezza, ò di dolore;

Lieta, sì, che 'l suo figlio

Già fosse amante e sposo, ma del caso

De la ninfa dolente. E di due nuore

Suocera mal fornita,

L'una morta piangea, l'altra ferita.

Cor.

Pur è morta Amarilli?

Lin.

Dovea morir. Così portò la fama.

Per questo sol mi mossi inverso al Tempio

A consolar Montano, che perduta

S'hoggi ha una nuora, ecco ne trova un'altra.

Cor.

Dunque Dorinda non è morta? Lin. Morta?

Fossiviva tu, fossilieta

Cor.

Non dunque mortal la sua ferita?

Lin.

A la pietà di Silvio,

Se morta fosse stata,

Viva saria tornata. Cor. E con qual arte

Sanòtosto? Lin. I' ti dirò da capo

Tutta la cura, e maraviglie udrai.

Stavan d'intorno à la ferita ninfa,

Tutti con pronta mano

E con tremante core, huomini e donne;

Ma ch'altri la toccasse

Non volle mai che Silvio suo, dicendo:

La man che mi ferì, quella mi sani.

Così soli restammo,

Silvio, la madre ed io,

Duo col consiglio, un con la mano oprando.

Quell'ardito garzon, poi che levata

Hebbe soavemente

Dal nudo avorio ogni sanguigna spoglia,

Tentò di trar da la profonda piaga

La confitta saetta: ma, cedendo,

Non so come, à la mano

L'insidioso calamo, nascosto

Tutto lasciò ne le latèbre il ferro.

Quì da dovero incominciar l'angosce.

Non possibil mai,

con maestra mano

con ferrigno rostro

con altro argomento, indi spiantarlo.

Forse con altra assai più larga piaga

La piaga aprendo, à le segrete vie

Del ferro penetrar con altro ferro

Si poteva, ò doveva;

Ma troppo era pietosa, e troppo amante

Per sì cruda pietà la man di Silvio

(con sì fieri stromenti

Certo non sana i suoi feriti Amore)

Quantunque à la fanciulla innamorata

Sembrasse che 'l dolor si raddolcisse

Tra le mani di Silvio.

Il qual, perciò nulla smarrito, disse

Quinci uscirai ben tu, ferro malvagio,

E con pena minor che tu non credi.

Chi t'ha spinto qui dentro,

È ben anco di trartene possente:

Ristorerò con l'uso de la caccia

Quel danno, che per l'uso

De la caccia patisco, e da le fiere,

D'un'herba hor mi sovviene,

Ch'è molto nota à la silvestre capra

quand' lo stral nel saettato fianco;

essa à noi la mostrò, natura à lei),

gran fatto è lontana, indi partissi;

e, nel colle vicin subitamente

coltone un fascio, à noi sen venne; e quivi

trattone succo, e misto

con seme di verbena e la radice

giuntavi del centauro, un molle empiastro

ne feo sopra la piaga.

Oh mirabil virtù cessa il dolore

subitamente, e si ristagna il sangue;

e 'l ferro, indi à non molto,

senza fatica, ò pena

la man seguendo, ubbidiente n'esce.

Tornò il vigor ne la donzella, come

se non havesse mai piaga sofferta.

La qual però mortale

veramente non , però che, 'ntatto

quinci l'alvo lasciando e quindi l'ossa,

nel muscoloso fianco

era sol penetrata.

Cor.

Gran virtù d'herba e via maggior ventura

Di donzella mi narri.

Lin.

Quel che tra lor sia succeduto poi,

Si può più tosto immaginar che dire.

Certo è sana Dorinda, ed or si regge

Sì ben sul fianco, che di lui servirsi

Ad ogn'uso ella può. Con tutto questo,

Credo, Corisca, e tu fors'anco il credi,

Che di più piaghe già ferita sia;

Ma, come l'han trafitta arme diverse,

Così diverse ancor le piaghe sono.

D'altra è fèro il dolor, d'altra è soave;

L'una saldando si sana, e l'altra

Quanto si salda men, tanto più sana.

E quel fèro garzon di saettare,

Mentr'era cacciator, così vago,

Che non perde costume; ed hor, ch'egli ama,

Di ferir anco ha brama.

Cor.

Ò Linco, ancor pure

Quell'amoroso Linco

Che fosti sempre. Lin. O Corisca mia cara,

D'animo Linco, e non di forze, sono

E 'n questo vecchio tronco

È più che fosse mai, verde il desio.

Cor.

Hor ch'è morta Amarilli,

Mi resta di veder quel ch'è seguìto

Del mio caro Mirtillo.

 


 

 




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