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Battista Guarini
Il pastor fido

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ATTO PRIMO,

 

SCENA PRIMA

 

Silvio, Linco.

 

[Sil.]

Ite, voi che chiudeste

l'horribil fera, à dar l'usato segno

de la futura caccia; ite svegliando

gli occhi col corno e con la Voce i cori.

Se mai ne l'Arcadia

pastor di Cintia, e de' suoi studi amico,

cui stimolasse il generoso petto

cura, ò gloria di selve,

Hoggi il mostri, e me segua

là dove in picciol giro,

ma largo campo al valor nostro è chiuso,

quel terribil cinghiale,

quel mostro di Natura, e de le selve,

quel sì vasto, e sì fiero

e per le piaghe altrui

sì noto habitator de l'Erimanto,

stragge de le campagne,

e terror de' bifolchi. Ite voi dunque,

e non sol precorrete:

ma provocate ancora

col rauco suon la sonnacchiosa Aurora.

Noi, Linco, andiam à venerar gli Dei,

Con più sicura scorta

seguirem poi la destinata caccia.

Chi ben comincia, ha la metà de l'opra,

nè si comincia ben se non dal cielo.

Lin.

Lodo ben, Silvio, il venerar gli Dei,

ma il dar noia à coloro,

che son ministri degli Dei, non lodo.

Tutti dormono ancora

i custodi del Tempio, i quai non hanno

ptempestivo, ò lucido orizonte

de la cima del monte.

Sil.

A te, che forse non desto ancora,

par ch'ogni cosa addormentata sia.

Lin.

O Silvio Silvio, à che ti diè natura

ne più begli anni tuoi

fior di beltà si delicato e vago,

se tu cotanto à calpestarlo intento?

C s'avess'io cotesta tua sì bella,

efiorita guancia,

A Dio, selve direi;

e seguendo altre fere

e la vita passando in festa e 'n gioco,

farei la state à l'ombra e 'l verno al foco.

Sil.

Così fatti consigli

non mi desti mai più: come hora

tanto da te diverso?

Lin.

Altri tempi, altre cure.

Così certo farei, se Silvio fussi.

Sil.

Ed io, se fussi Linco.

Ma, perche Silvio sono,

oprar da Silvio e non da Linco i' voglio.

Lin.

O garzon folle, à che cercar lontana

e perigliosa fera,

se l'hai via più d'ogni altra

e vicina e domestica e sicura?

Sil.

Parli tu da dovero ò pur vaneggi?

Lin.

Vaneggi tu, non io.

Sil.

Ed è così vicina?

Lin.

Quanto tu di te stesso.

Sil.

In qual selva s'annida?

Lin.

La selva tu, Silvio,

e la fera crudel, che vi s'annida,

è la tua feritate.

Sil.

Come ben m'avvisai che vaneggiavi

Lin.

Una Ninfabella e sì gentile,

ma che dissi una Ninfa? anzi una Dea,

pfresca e più vezzosa

di mattutina rosa,

e più molle e più candida del Cigno,

per cui non è sì degno

pastor hoggi tra noi che non sospiri,

e non sospiri in vano,

a te solo dagli huomini e dal cielo

destinata si serba;

ed hoggi tu, senza sospiri e pianti,

(O troppo indegnamente

garzon avventuroso haver la puoi

ne le tue braccia, e tu la fuggi Silvio?

e tu la sprezzi? e non dirò che 'l core

Habbi di fera, anzi di ferro il petto?

Sil.

Se 'l non haver amore è crudeltate,

crudeltate è virtute, e non mi pento

ch'ella sia nel mio cor, ma me ne pregio,

poi che solo con questa vinto Amore,

Fera di lei maggiore.

Lin.

E come vinto l'hai

se nol provasti mai?

Sil.

Nol provando l' vinto.

Lin.

Oh s'una sola

volta il provassi, ò Silvio,

se sapessi una volta

qual è grazia e ventura

l'esser amato, il possedere amando

un riamante core,

so ben io che diresti

Dolce vita amorosa,

Perchetardi nel mio cor venisti?

Lascia, lascia le selve,

folle garzon; lascia le fere, ed ama.

Sil.

Linco, di' pur, se sai:

mille ninfe darei per una fera

che da Melampo mio cacciata fosse.

Godasi queste gioie

chi n'ha di me più gusto; io non le sento.

Lin.

E che sentirai tu, s'amor non senti,

sola cagion di ciò che sente il mondo?

Ma credimi, fanciullo:

a tempo il sentirai,

che tempo non havrai.

Vuol una volta Amor ne' cuori nostri

mostrar quant'egli vale.

Credi à me pur, che 'l provo:

non è pena maggiore

che 'n vecchie membra il pizzicor d'amore,

Che mal si può sanar quel che s'offende,

quanto più di sanarlo altri procura.

Se 'l giovinetto core Amor ti pugne,

Amor anco te l'ugne:

se col duolo il tormenta,

con la speme il consola;

e s'un tempo l'ancide, alfine il sana.

Ma s'e' ti giugne in quella fredda etade,

ove il proprio difetto

più che la colpa altrui spesso si piagne,

allora insoportabili e mortali

son le sue piaghe, à l'hor le pene acerbe;

allora, se pietà tu cerchi, male

se non la trovi; e, se la trovi, peggio.

Deh non ti procacciar prima del tempo

i difetti del tempo;

Che, se t'assale à la canuta etate

amoroso talento,

Havrai doppio tormento,

e di quel che, potendo, non volesti,

e di quel che, volendo, non potrai.

Lascia, lascia le selve,

folle garzon; lascia le fere, ed ama.

Sil.

Come vita non sia

se non quella che nutre

amorosa insanabile follia.

Lin.

Dimmi: se 'n questa sì ridente e vaga

stagion che 'nfiora e rinovella il mondo,

vedessi, in vece di fiorite piagge,

di verdi prati e di vestite selve,

starsi il pino e l'abete e'l faggio e l'orno

senza l'usata lor frondosa chioma,

senz'herbe i prati e senza fiori i poggi,

non diresti tu, Silvio: il mondo langue,

la natura vien meno? hor quell'orrore

e quella maraviglia, che devresti

di novitàmostruosa havere,

abbila di te stesso. Il ciel n'ha dato

vita agli anni conforme, ed à l'etate

somiglianti costumi; e, come amore

in canuti pensier si disconvene,

così la gioventù d'amor nemica

contrasta al ciel e la natura offende.

Mira d'intorno, Silvio:

quanto il mondo ha di vago e di gentile,

opra è d'amore, amante è il cielo, amante

la terra, amante il mare.

Quella, che la miri innanzi à l'alba

così leggiadra stella,

ama d'amor anch'ella e del suo figlio

sente le fiamme, ed essa, che 'nnamora,

innamorata splende.

E questa è forse l'hora

che le furtive sue dolcezze e 'l seno

del caro amante lassa.

Vedila pur come sfavilla, e ride.

Amano per le selve

le mostruose fere; aman per l'onde

i veloci delfini e l'orche gravi.

Quell'augellin, che canta

sì dolcemente e lascivetto vola

or da l'abete al faggio

et hor dal faggio al mirto,

s'havesse humano spirto,

direbbe, ardo d'amore, ardo d'amore.

Ma ben arde nel core

e parla in sua favella,

sì che l'intende il suo dolce desio.

Ed odi à punto, Silvio,

il suo dolce desio

che gli risponde, ardo d'amore anch'io.

Mugge in mandra l'armento, e que' muggiti

sono amorosi inviti.

Rugge il leone al bosco,

nè quel ruggito è d'ira:

così d'amor sospira.

Alfine, ama ogni cosa,

se non tu, Silvio; e sarà Silvio solo

in cielo, in terra, in mare

anima senza Amore?

Deh lascia omai le selve,

folle garzon; lascia le fere, ed ama.

Sil.

A te dunque commessa

Fù la mia verde età, perche d'amori

e di pensieri effeminati e molli

tu l'havessi à nudrir? ti sovviene

chi tu, chi son io?

Lin.

Uomo sono, e mi pregio

d'esser humano; e teco, che huomo,

o che più tosto esser dovresti, parlo

di cosa humana; e, se di cotal nome

forse ti sdegni, guarda

che nel dishumanarti

non divenghi una fera, anzi che un Dio.

Sil.

Nèfamoso mai mai sì forte

stato sarebbe il domator de' mostri,

dal cui gran fonte il sangue mio deriva,

s'e' non havesse pria domato Amore.

Lin.

Vedi, cieco fanciul, come vaneggi

Dove saresti tu, dimmi, s'amante

stato non fosse il tuo famoso Alcide?

Anzi, se guerre vinse e mostri ancise,

gran parte Amor ve n'ebbe. Ancor non sai

che per piacer ad Onfale, non pure

volle cangiar in femminili spoglie

del feroce leon l'hispido tergo,

ma, de la clava noderosa in vece,

trattare il fuso e la conocchia imbelle?

Così de le fatiche e degli affanni

prendea ristoro, e nel bel sen di lei,

quasi in porto d'Amor, solea ritrarsi,

Che sono i suoi sospir dolci respiri

de le passate noie e quasi acuti

stimoli al cor ne le future imprese.

E come il rozzo, ed intrattabil ferro,

temprato con più tenero metallo,

affina sì, che sempre e più resiste

e per uso più nobile s'adopra;

così vigor indomito e feroce,

che nel proprio furor spesso si rompe,

se con le sue dolcezze Amore il tempra,

diviene à l'opra generoso e forte.

Se d'esser dunque imitator tu brami

d'Ercole invitto e suo degno nipote,

poi che lasciar non vuoi le selve, almeno

segui le selve e non lasciar Amore,

un amorlegittimo e sì degno,

com'è quel d'Amarilli. Che se fuggi

Dorinda, i' te ne scuso, anzi pur lodo,

ch'a te, vago d'honore, haver non lice

di furtivo desio l'animo caldo,

per non far torto à la tua cara sposa.

Sil.

Che tu, Linco? ancor non è mia sposa.

Lin.

Da lei dunque la fede

non ricevesti tu solennemente?

Guarda, garzon superbo,

non irritar gli Dei.

Sil.

L'humana libertate è don del cielo,

che non forza à chi riceve forza.

Lin.

Anzi, se tu l'ascolti e ben l'intendi,

a questo il ciel ti chiama,

il ciel ch'a le tue nozze

tante grazie promette e tanti honori.

Sil.

Altro pensiero à punto

i sommi Dei non hanno, à punto questa

l'almo riposo lor cura molesta

Linco, questo amor quel mi piace.

Cacciator, non amante, al mondo nacqui.

Tu, che seguisti Amor, torna al riposo.

Lin.

Tu derivi dal cielo,

crudo garzon? di celeste seme

ti cred'io, d'humano;

e, se pur d'humano, i' giurerei

che tu fussi più tosto

col velen di Tisifone e d'Aletto

che col piacer di Venere concetto.

 


 

 

 




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