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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
[Tit.] |
Vagliami il ver, Montano: i' sò che parlo A chi di me più intende, oscuri sempre Sono assai più gli oracoli di quello Ch'altri si crede, e le parole loro Sono come il coltel, che, se tu 'l prendi In quella parte ove per uso humano La man s'adatta, à chi l'adopra è buono; Ma chi 'l prende ove fere, è spesso morte. Ch'Amarillide mia, come argomenti, Sia per alto destin dal cielo eletta A la salute universal d'Arcadia, Chi più deve bramarlo e caro haverlo Di me, che le son padre? Ma, s'i' miro A quel che n'ha l'oracolo predetto, Mal si confanno à la speranza i segni. S'unir li deve Amor, come fia questo, Se fugge l'un? com'esser pon gli stami D'amoroso ritegno odio e disprezzo? Mal si contrasta quel ch'ordina il cielo; E se pur si contrasta, è chiaro segno Che non l'ordina il cielo, à cui, se pure Piacesse ch'Amarillide consorte |
Mon. |
Non vedi tu com'è fanciullo? ancora Non ha fornito il diciottesim'anno. |
Mon. |
A giovinetto cor più si conface. |
Mon. |
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Mon. |
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Col fior, maturo hà sempre il frutto amore. Qui non venn'io nè per garrir, Montano, Nè per contender teco, che nè posso Nè fare il debbo; ma son padre anch'io D'unica e cara e, se mi lece dirlo, Meritevole figlia e, con tua pace, |
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Mon. |
Titiro, ancor che queste nozze in cielo Non iscorgesse alto destìn, le scorge La fede in terra, e 'l violarla fora Un violar de la gran Cintia il nume A cui fù data; e tu sai pur quant'ella È disdegnosa e contra noi sdegnata. Ma, per quel ch'i' ne sento e quanto puote Mente sacerdotal rapita al cielo Spiar là su di que' consigli eterni, Per man del fato è questo nodo ordito; E tutti sortiranno (abbi pur fede) A suo tempo maturi anco i presagi. Più ti vò dir, che questa notte in sogno Veduto hò cosa onde l'antica speme Più che mai nel mio cor si rinnovella. |
Mon. |
Io credo ben ch'abbi memoria (e quale Sì stupido è tra noi ch'hoggi non l'habbia?) Di quella notte lagrimosa, quando Il tumido Ladon ruppe le sponde, Sì che là dove avean gli augelli il nido, Notaro i pesci, e in un medesmo corso In quella stessa notte (O dolente memoria) il cor perdei, Anzi quel che del core Unico figlio allora, e da me sempre E vivo e morto unicamente amato. Prima che noi potessimo sepolti Nel terror, ne le tenebre, e nel sonno, Provar di dargli alcun soccorso à tempo; Ne pur la culla stessa, in cui giacea, Trovar potemmo, ed hò creduto sempre Che la culla e 'l bambin, così com'era, Una stessa voragine inghiottisse. |
Che altro si può credere? ben parmi D'haver inteso ancora, e da te forse, Di questa tua sciagura, veramente Sciagura memorabile, ed acerba, |
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Mon. |
Forse nel vivo il ciel pietoso ancora Ristorerà la perdita del morto. Sperar ben si dè sempre. Or tu m'ascolta. Che, tra la notte e 'l dì, tenebre e lume Col fosco raggio ancor l'alba confonde; Quand'io, pur nel pensiero Di queste nozze avendo Vegghiata una gran parte della notte, Recò negli occhi miei placido sonno, E con quel sonno vision sì certa, Ch'avrei potuto dir dormendo i' veggio Sopra la riva del famoso Alfeo E con l'hamo tentar ne l'onda i pesci, Di mezzo 'l fiume un vecchio ignudo e grave, Tutto stillante il crin, stillante il mento, Benignamente porgermi un bambino E, questo detto, tuffarsi ne l'onde. Indi tutto repente Di foschi nembi il ciel turbarsi intorno E minacciarmi orribile procella; Tal ch'io per la paura Che d'ogn'intorno il ciel si serenasse, Ed archi e strali rotti à mille à mille; Formato in voce, spirito sottile Che stridendo dicesse in sua favella: Montano, Arcadia tua sarà ancor bella. E così m'è rimaso Nel cor, ne gli occhi e ne la mente impressa L'imagine gentil di questo sogno, Ch'i' l'hò sempre dinanzi; E sopra tutto il volto Per questo i' men venìa diritto al Tempio, Quando tu m'incontrasti, Per quivi far col sacrificio santo |
De le nostre speranze, Più che de l'avvenir, vane sembianze; |
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Mon. |
Anzi tanto è più desta, |
Insomma, quel che s'habbia il ciel disposto De nostri figli, è troppo incerto à noi; Ma certo è ben che 'l tuo sen fugge e contra La legge di natura amor non sente; E che la mia fin quì l'obbligo solo Ha de la data fè, non la mercede. Nè sò già dir, se senta amor, so bene Ch'a molti il fa sentire, Nè possibil mi par ch'ella nol provi, Più de l'usato suo cangiata in vista, Già tutta esser solea. Senza nozze à le nozze, è grave offesa. Come in vago giardin rosa gentile, Che ne le verdi sue tenere spoglie E sotto l'ombra del notturno velo Stava posando in sul materno stelo, Al subito apparir del primo raggio E scopre al sol, che la vagheggia e mira, Il suo vermiglio ed odorato seno, Dov'Ape, susurrando, Vola suggendo i ruggiadosi humori; Sì che del mezzo dì senta le fiamme, Sì scolorita in su la siepe ombrosa, Ch'a pena si può dir questa fù rosa Così la verginella, La custodisce e chiude, Di cupido amator vien che la miri, E nel tenero sen riceve amore; Per soverchio desio tutta si strugge. |
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Mon. |
Non t'avvilir ne le temenze umane, Nè può giunger la sù fiacca preghiera. E sperar negli Dei, Quanto più ciò conviene A chi da lor deriva; Chi fa crescer l'altrui. Unitamente al Tempio, e sacreremo, Feconderà ben'anco Colui che con l'armento Di quanti n'habbia la feconda mandra |
E da la greggia mia, caro Dameta, Conduci un'hirco. Da. I farò l'uno, e l'altro. Piaccia à l'alta bontà de i sommi Dei Che fortunato sia quanto tu speri. Quant'esser può del tuo perduto figlio La rimembranza à te felice augurio. |