Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
[Erg.] |
O quanti passi hò fatti, al fiume, al poggio, Al prato, al fonte, à la palestra, al corso T'hò lungamente ricercato: al fine |
Mir. |
|
Erg. |
Questa non ti darei, ben ch'io l'havessi; E quella spero dar, ben ch'io non l'habbia. Ma tu non ti lasciar sì fieramente Vincer al tuo dolor, vinci te stesso, Se vuoi vincer altrui: vivi, e respira Tal volta: ma, per dirti la cagione Del mio venir à te sì ratto, ascolta. Conosci tu (ma chi non la conosce?) La sorella d'Ormino? è di persona |
Mir. |
Com'ha nome? Mir. Corisca. Erg. I' la conosco Troppo bene, e con lei alcuna volta Hò favellato ancora. Er. Hor sappi ch'ella Da un tempo in qua (vedi ventura) è fatta, Non so già come ò con che privilegio, De la bella Amarillide compagna, Onde à lei tutto hò l'amor tuo scoperto Segretamente e quel che da lei brami, Holle mostrato, ed ella prontamente |
Mir. |
Oh mille volte e mille, Se questo è vero, e più d'ogn'altro amante Fortunato Mirtillo Ma del modo T'ha ella detto nulla? Er. A punto nulla, E ti dirò perche, dice Corisca Che non può ben deliberar del modo, Prima ch'alcuna cosa ella non sappia De l'amor tuo più certa, ond'ella possa Meglio spiare e più sicuramente L'animo de la ninfa, e sappia come Reggersi, ò con preghiere ò con inganni, Quel che tentar, quel che lasciar sia buono. Per questo solo i' ti venìa cercando |
Mir. |
Così à punto farò; ma sappi Ergasto, Che questa rimembranza (Ah, troppo acerba à chi si vive amando Fuori d'ogni speranza) È quasi un'agittar fiaccola al vento, Per cui, quanto l'incendio Sempre s'avanza, tanto A l'agittata fiamma ella si strugge, Che, se senti di svellerla, maggiore Ben cosa ti dirò, che chiaramente Farà veder com'è fallace e vana La speme degli amanti e come amore La radice ha soave, il frutto amaro. Ne la bella stagion che 'l dì s'avanza Sovra la notte (hor compie l'anno à punto) Questa leggiadra pellegrina, questo Quasi d'un'altra Primavera, adorno Il mio solo per lei leggiadro allora E fortunato nido, Elide e Pisa, In que' solenni dì che del gran Giove Si soglion celebrar, famosi tanto, D'ogn'altro assai maggiore. Ond'io, che fin allor fiamma amorosa Che di subito n'arsi, E senza far difesa al primo sguardo |
Erg. |
|
Mir. |
Mira ciò che sà fare anco ne' petti Più semplici e più molli Amore industre. Io fo del mio pensiero una mia cara Que' pochi dì ch'Elide l'ebbe e Pisa. Da questa sola, come Amor m'insegna, Fedel consiglio ed amoroso aiuto Ella de le sue gonne femminili E d'innestato crin cinge le tempie; Poi le 'ntreccia e le 'nfiora, E m'insegna à mentir parole e sguardi, E sembianti nel volto, in cui non era Di lanugine ancora Pur un vestigio solo. Seco là mi condusse, ove solea La bella ninfa diportarsi, e dove Trovammo alcune nobili, e leggiadre E di sangue, e d'amor, si come intesi, Tra queste ella si stava Sì come suol tra le violette umìli E, poi che 'n quella guisa State furono alquanto, Senz'altro far di più diletto ò cura, Di quelle di Megara, e così disse: E di palme sì chiare e sì famose, Dunque non habbiam noi Armi da far tra noi finte contese Così ben come gl'huomini? Sorelle, Se 'l mio consiglio di seguir v'aggrada, Proviam hoggi tra noi così da scherzo Contra gli huomini, all'hor che ne fie tempo, Tra noi di baci; e quella, che d'ogn'altra Baciatrice più scaltra, Li saprà dar più saporiti, e cari, N'avrà per sua vittoria Risero tutte à la proposta e tutte Subito s'accordaro, E si sfidavan molte, e molte ancora, Senza che dato lor fosse alcun segno, Il che veggendo allor la Megarese, Meritamente sia giudice quella Tutte concordemente Elesser la bellissima Amarilli; Di modesto rossor tutta si tinse, E mostrò ben che non men bella è dentro, Di quel che sia di fuori; Havesse invidia à l'honorata bocca E s'adornasse anch'egli |
Erg. |
Oh come à tempo ti cangiasti in ninfa, Avventuroso, e quasi |
Mir. |
Già si sedeva all'amoroso ufficio La bellissima giudice, e secondo L'ordine e l'uso di Megara, andava Ciascheduna per sorte A far de la sua bocca e de' suoi baci Prova con quel bellissimo e divino Quella bocca gentil, che può ben dirsi Di perle orientali e pellegrine; Con dolcissimo mel purpura mista. Così potess'io dirti, Ergasto mio, Ma tu da questo prendine argomento, Che non la può ridir la bocca stessa Che l'ha provata. Accogli pur insieme O le canne di Cipro ò i favi d'Hibla; Tutto è nulla rispetto |
Erg. |
Oh furto avventuroso, oh dolci baci |
Mir. |
|
Erg. |
|
Mir. |
Tutta sen venne à l'hor l'anima mia; In così breve spazio, Quasi senza vigor tremanti e fioche. E quando i' fui vicino Al folgorante sguardo, Come quel che sapea Che pur inganno era quell'atto, e furto, Temei la maestà di quel bel viso. Ma, da un sereno suo vago sorriso Assicurato poi, Pur oltre mi sospinsi. Com'ape suol, ne le due fresche rose E mentre ella si stette Al baciar de la mia, La dolcezza del mèl sola gustai. Ma, poi ch'anch'ella mi s'offerse e porse L'una e l'altra dolcissima sua rosa, (Fosse ò sua gentilezza ò mia ventura, E s'incontraro i nostri baci (oh caro Allora sentij de l'amorosa pecchia Io, poi ch'a morte mi sentij ferito, Poco mancò che l'homicide labbra Ma mi ritenne, oime, l'aura adorata |
Erg. |
|
Mir. |
Già fornito il su' arringo havea ciascuna E con sospension d'animo grande Quando la leggiadrissima Amarilli, Giudicando i miei baci Più di quelli d'ogn'altro saporiti, Di propria man con quella Ghirlandetta gentil, che fù serbata Premio al vincitor, il crin mi cinse. Così non arse mai sotto la rabbia Del can celeste allor, che latra, e morde, Tutto alhor di dolcezza e di desio, E più che mai ne la vittoria vinto. Pur mi riscossi tanto, Che la ghirlanda trattami di capo Questa à te si convien, questa à te tocca, Ed ella, umanamente Presala, al suo bel crin ne feo corona; E d'un'altra, che prima Cingea le tempie à lei, cinse le mie. Ed è questa ch'io porto, E porterò fin al sepolcro sempre, Per la dolce memoria di quel giorno, Ma molto più per segno |
Erg. |
Degno sè di pietà più che d'invidia, Mirtillo, anzi pur Tantalo novello, Che nel gioco d'Amor chi fa da scherzo, Tormenta da dovero. Troppe care Ti costar le tue gioie; e del tuo furto |
Mir. |
So ben ch'ella, in quei giorni Ch'Elide fù de la sua vista degno, Di quel soave ed amoroso sguardo: Che me ne avvidi appena; ond'io, lasciando Quanto già di più caro haver solea, Tratto da la virtù di que' begli occhi, Doppo tant'anni ancor, come t'è noto, Serba l'antico suo povero albergo, Me'n venni, e viddi, ah misero già corso Quell'amoroso mio giorno sereno, Che cominciò da sì beata aurora. Al mio primo apparir, subito sdegno Poi chinò gli occhi e girò il piede altrove. Questi son ben de la mia morte i segni. Havea sentita acerbamente intanto La non prevista, e subita partita Ne cadde infermo, assai vicino à morte; Ond'io costretto fui Di ritornar à le paterne case. Salute al padre, infermitate al figlio, Ardendo, in pochi dì languido venni. E da l'uscir che fe' di Tauro il sole Fin à l'entrar di Capricorno sempre E sarei certo ancora, Se non havesse il mio pietoso padre A l'oracolo chiesto, il qual rispose Che sol potea sanarmi il ciel d'Arcadia. A riveder colei (Oh voce degli oracoli fallace) Per farmi l'alma eternamente inferma. |
Erg. |
Tu mi narri, Mirtillo, e non può dirsi Che di molta pietà non ne sij degno. Ma solo una salute Al disperato è 'l disperar salute. E tempo è già ch'io vada à far di quanto M'hai detto consapevole Corisca; Tu vanne al fonte e là m'attendi, dove Teco sarò quanto più tosto anch'io. |
Mir. |
Vanne felicemente Il ciel ti dia |