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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA II

 

Dorinda, Linco.

 

Dor.

E Conosciuta certo

Tu non m'avevi, Linco?

Lin.

Chi ti conoscerebbe

Sotto queste sì rozze, orride spoglie

Per Dorinda gentile?

S'io fossi un fiero can, come son Linco,

Mal grado tuo t'avrei

Troppo ben conosciuta.

O, che veggio? ò, che veggio?

Dor.

Un affetto d'amor tu vedi, Linco,

Un effetto d'amare

Misero e singolare.

Lin.

Una fanciulla, come tu, sì molle

E tenerella ancora,

Ch'eri pur dianzi (si può dir) bambina;

E mi par che pur ieri

T'havessi tra le braccia pargoletta,

E, le tenere piante

Reggendo, t'insegnassi

A formar babbo e mamma,

Quando à i servigi del tuo padre i' stava;

Tu che qual damma timida solevi,

Prima ch'amor sentissi,

Paventar d'ogni cosa

Ch'à lo 'mprovviso si movesse, ogn'aura,

Ogn'augellin che ramo

Scotesse, ogni lucertola che fuori

De la fratta corresse,

Ogni tremante foglia

Ti facea sbigottire;

Hor vai soletta errando

Per montagne e per boschi,

di fera hai paura di veltro?

Dor.

Chi è ferito d'amoroso strale,

D'altra piaga non teme.

Lin.

Ben ha potuto in te, Dorinda, amore,

Poi che di donna in huomo,

Anzi di donna in lupo ti trasforma.

Dor.

Oh se qui dentro, Linco,

Scorger tu mi potessi,

Vedresti un vivo lupo,

Quasi agnella innocente

L'anima divorarmi.

Lin.

E qual è il lupo? Silvio? Dor. Ah tu l'hai detto.

Lin.

E tu, poi ch'egli è lupo,

In lupa volentier ti cangiata,

Perche, se non l'ha mosso il viso humano,

Il mova almen questo ferino, e t'ami.

Ma dimmi: ove trovasti

Questi ruvidi panni?

Dor.

I' ti dirò. Mi mossi

Stamani assai per tempo

Verso dove inteso havea che Silvio,

A piè de l'Erimanto,

Nobilissima caccia

Al fier cignale apparecchiata havea;

E, ne l'uscir de l'Eliceto à punto,

Quinci non molto lunge,

Verso il rigagno che dal poggio scende,

Trovai Melampo, il cane

Del bellissimo Silvio, che la sete

Quivi, come cred'io, s'havea già tratta

E nel prato vicin posando stava.

Io, ch'ogni cosa del mio Silvio cara,

E l'ombra ancor del suo bel corpo e l'orma

Del piè leggiadro, non che 'l can da lui

Cotanto amato, inchino,

Subitamente il presi:

Ed ei, senza contrasto,

Qual mansueto agnel meco ne venne.

E, mentre i' pensando

Di ricondurlo al suo signore e mio:

Sperando far, con dono à lui sì caro,

De la sua grazia acquisto,

Eccolo à punto che venia diritto

Cercandone i vestigi, e qui fermossi.

Caro Linco, non voglio

Perder tempo in ridir minutamente

Quello ch'è tra noi passato

Ti dirò ben, per ispedirmi in breve,

Che, dopo un lungo giro

Di mentite promesse e di parole,

Mi s'è involato il crudo,

Pien d'ira e di disdegno,

Col suo fido Melampo

E con la cara mia dolce mercede.

Lin.

Oh dispietato Silvio, oh garzon fiero

E tu che festi allor? non ti sdegnasti

De la sua fellonia?

Dor.

Anzi, come s'à punto

Il foco del suo sdegno

Fosse stato al mio cor foco amoroso,

Crebbe per l'ira sua l'incendio mio,

E, tuttavia seguendone i vestigi

E pur verso la caccia

L'interrotto cammin continuando,

Non molto lunge il mio Lupin raggiunsi,

Che quinci poco prima

Di me s'era partito; onde mi venne

Tosto pensier di travestirmi e 'n questi

Abiti suoi servili

Nascondermi sì ben, che trà pastori

Potessi per pastore esser tenuta

E seguir e mirar comodamente

Il mio bel Silvio. Lin. E 'n sembianza di lupo

Tu ita à la caccia,

E t'han veduta i cani e quinci salva

ritornata? Hai fatto assai, Dorinda.

 

Dor.

Non ti maravigliar, Linco, che i cani

Non potean far'offesa

A chi del signor loro

È destinata preda.

Quivi confusa in frà la spessa turba

De' vicini pastori,

Ch'eran concorsi à la famosa caccia,

Stav'io fuor de le tende

Spettatrice amorosa

Via più del cacciator che de la caccia.

A ciascun moto de la fera alpestre

Palpitava il cor mio;

A ciascun atto del mio caro Silvio

Correa subitamente

Con ogni affetto suo l'anima mia.

Ma il mio sommo diletto

Turbava assai la paventosa vista

Del terribil Cignale

Smisurato di forza e di grandezza.

Come rapido turbo

D'impetuosa, e subita procella,

Che tetti e piante e sassi, e ciò ch'incontra

In poco giro, in poco tempo atterra;

Così, à un solo rotar di quelle zanne

E spumose e sanguigne,

Si vedean tutti insieme

Cani uccisi, aste rotte, huomini offesi.

Quante volte bramai

Di patteggiar con la rabbiosa fera

Per la vita di Silvio il sangue mio

Quante volte d'accorrervi e di fare

Con questo petto al suo buon petto scudo

Quante volte dicea

Fra me stessa perdona,

Fiero cignal, perdona

Al delicato sen del mio bel Silvio.

Così meco parlava,

Sospirando e pregando,

Quand'egli di squamosa e dura scorza

Il suo Melampo armato

Contra la fera impetuoso spinse,

Che più superba ogn'hora

S'havea fatta d'intorno

Di molti uccisi cani e di feriti

Pastori orrida strage.

Linco, non potrei dirti

Il valor di quel cane,

E ben ha gran ragion Silvio se l'ama.

Come irato leon che 'l fiero corno

De l'indomito Tauro

Ora incontri, ora fugga;

Una sola fiata che nel tergo

Con le robuste branche l'afferri

Il ferma sì, ch'ogni poter n'emunge:

Tale il forte Melampo,

Fuggendo accortamente

Gli spessi giri e le mortali rote

Di quella fera mostruosa, alfine

L'assannò ne l'orecchia,

E, dopo averla impetuosamente

Prima crollata alquante volte e scossa,

Ferma la tenne sì, che potea farsi

Nel vasto corpo suo, quantunque altrove

Leggermente ferito,

Di ferita mortal certo disegno.

Alhor subitamente il mio bel Silvio,

Invocando Diana:

Drizza tu questo colpo,

Disse, ch'à te fo voto

Di sacrar, santa Dea, l'orribil teschio.

E, 'n questo dir, da la faretra d'oro

Tratto un rapido strale,

Fin da l'orecchia al ferro

Tese l'arco possente,

E nel medesmo punto

Restò piagato ove confina il collo

Con l'homero sinistro il fier cinghiale,

Il qual subito cadde. I' respirai,

Vedendo Silvio mio fuor di periglio.

O fortunata fera,

Degna d'uscir di vita

Per quella man che 'nvola

dolcemente il cor dai petti humani

Lin.

Ma che sarà di quella fera uccisa?

Dor.

No'l so, perche men venni,

Per non esser veduta, innanzi à tutti;

Ma crederò che porteranno in breve,

Secondo il voto del mio Silvio il teschio

Solennemente al tempio.

Lin.

E tu non vuoi uscir di questi panni?

Dor.

Sì voglio; ma Lupino

Ebbe la veste mia con l'altro arnese,

E disse d'aspettarmi

Con essi al fonte, e non ve l' trovato.

Caro Linco, se m'ami,

Va' tu per queste selve

Di lui cercando, che non può già molto

Esser lontano, i' poserò frattanto

in quel cespuglio: il vedi? Ivi t'attendo,

Ch'io son da la stanchezza

Vinta e dal sonno, e ritornar non voglio

Con queste spoglie à casa.

Lin.

Io vo. Tu non partire

Di fin ch'io non torni.

 


 

 




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