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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA IX

 

Linco, Silvio, Dorinda

 

[Lin.]

Reggiti figlia mia;

Reggiti tutta pur su queste braccia,

Infelice Dorinda. Sil. oime Dorinda?

Son morto. Dor. O Linco, Linco,

O mio secondo padre

Sil.

È Dorinda per certo; ahi voce ahi vista

Dor.

Ben era, Linco, il sostener Dorinda

Ufficio à te fatale.

Accogliesti i singulti

Primi del mio natale;

Accorrai tu fors'anco

Gli ultimi de la morte,

E coteste tue braccia, che pietose,

Mi fûr già culla, hor mi saran ferètro.

Lin.

Ò figlia, à me più cara

Che se figlia mi fussi, io non ti posso

Risponder, che 'l dolore

Ogni mio detto in lagrime dissolve.

Sil.

O terra, che non t'apri e non m'inghiotti?

Dor.

Deh ferma il passo, e 'l pianto,

Pietosissimo Linco,

Che l'un cresce il dolor, l'altro la piaga.

Sil.

Ahi che dura mercede

Ricevi del tuo amor, misera Ninfa.

Lin.

buon animo, figlia,

Che la tua piaga non sarà mortale.

Dor.

Ma Dorinda mortale

Sarà ben tosto morta.

Sapessi almen chi m' così piagata

Lin.

Curiam pur la ferita, e non l'offesa,

Che per vendetta mai non sanò piaga.

Sil.

Ma che fai quì? che tardi?

Soffrirai tu ch'ella ti veggia? havrai

Tanto cor, tanta fronte?

Fuggi la pena meritata, Silvio,

Di quella vista ultrice;

Fuggi il giusto coltel de la sua voce.

Ah che non posso; e non come ò quale

Necessità fatale

A forza mi ritegna e mi sospinga

Più verso quel che più fuggir devrei.

Dor.

Così dunque debb'io

Morir senza saper chi mi morte?

Lin.

Silvio t'ha dato morte.

Dor.

Silvio? oime che ne sai?

Lin.

Riconosco il suo strale.

Dor.

Ò dolce uscir di vita,

Se Silvio m'ha ferita

Lin.

Eccolo à punto in atto

Ed in sembiante tal, che da se stesso

Par che s'accusi. Hor sia lodato il cielo,

Silvio, che pur ito

Dimenandoti sì per queste selve

Con cotesto tuo arco

E cotesti tuoi strali onnipotenti,

Ch'un colpo hai fatto da maestro, dimmi,

Tu che vivi da Silvio e non da Linco:

Questo colpo, che fatto hai sì leggiadro,

È fors'egli da Linco, io pur da Silvio?

O fanciul troppo savio,

Havessi tu creduto

A questo pazzo vecchio

Rispondimi, infelice:

Qual vita fia la tua, se costei more?

So ben che tu dirai

Ch'errasti e di ferir credesti un lupo,

Quasi non sia tua colpa il saettare

Da fanciul vagabondo, e non curante,

Senza veder s'huomo saetti ò fera.

Qual caprar per tua vita, ò qual bifolco

Non vedesti coperto

Di così fatte spoglie eh, Silvio, Silvio

Chi coglie acerbo il senno,

Maturo sempre ha d'ignoranza il frutto.

Credi tu garzon vano,

Che questo caso à caso hoggi ti sia

Così incontratto? ò come credi male

Senza nume divin, questi accidenti

mostruosi, e novi

Non avvengono à gli huomini, non vedi

Che 'l cielo è fastidito

Di cotesto tuo tanto

Fastoso, insopportabile disprezzo

D'amor, del mondo e d'ogn'affetto humano?

Non piace à i sommi Dei

L'haver compagni in terra,

piace lor ne la virtute ancora

Tanta alterezza. Hor tu muto sì,

Ch'eri pur dianzi intollerabil tanto?

Dor.

Silvio, lascia dir Linco,

Ch'egli non quale in virtù d'Amore,

Tu habbi signoria sovra Dorinda

E di vita e di morte.

Se tu mi saettasti,

Quel ch'è tuo saettasti,

E feristi quel segno

Ch'è proprio del tuo strale.

Quelle mani, à ferirmi,

Han seguìto lo stil de' tuo' begli occhi.

Ecco, Silvio, colei ch'in odio hai tanto,

Eccola in quella guisa

Che la volevi à punto.

Bramastila ferir, ferita l'hai,

Bramastila tua preda, eccola preda,

Bramastila alfin morta; eccola à morte;

Che vuoi più tu da lei? che ti può dare

Più di questo Dorinda? ah garzon crudo

Ah cor senza pietà Tu non credesti

La piaga che per te mi fece Amore:

Puoi questa hor tu negar de la tua mano?

Non hai creduto il sangue

Ch'i' versava da gli occhi:

Crederai questo, che 'l mio fianco versa?

Ma, se con la pietà non è in te spenta

Gentilezza e valor, che teco nacque,

Non mi negar, ti prego,

(anima cruda sì, ma però bella,)

Non mi negar à l'ultimo sospiro

Un tuo solo sospir; beata morte,

Se l'addolcissi tu con questa sola

Voce cortese e pia:

in pace, anima mia

Sil.

Dorinda, ah dirò mia se mia non sei

Se non quando ti perdo? e quando morte

Da me ricevi, e mia non fosti alhora

Ch'i' ti potei dar vita?

Pur mia dirò, che mia

Sarai mal grado di mia dura sorte;

E, se mia non sarai con la tua vita,

Sarai con la mia morte:

Tutto quel ch'in me vedi,

A vendicarti è pronto.

Con quest'armi t'ancisi,

E tu con queste ancor m'anciderai.

Ti fui crudele, ed io

Altro da te che crudeltà non bramo.

Ti disprezzai superbo:

Ecco, piegando le ginocchia à terra,

Riverente t'adoro

E ti cheggio perdon, ma non già vita.

Ecco gli strali e l'arco;

Ma non ferir già tu gli occhi ò le mani,

Colpevoli ministri

D'innocente voler; ferisci il petto,

Ferisci questo mostro,

Di pietate e d'Amor aspro nemico;

Ferisci questo cor che ti crudo:

Eccoti il petto ignudo.

Dor.

Ferir quel petto, Silvio?

Non bisognava agli occhi miei scovrirlo,

S'havevi pur desio ch'io tel ferissi.

O bellissimo scoglio,

Già da l'onda, e dal vento

De le lagrime mie, de' miei sospiri

spesso in van percosso,

È pur ver che tu spiri

E che senti pietateò pur m'inganno?

Ma sij tu pure ò petto molle ò marmo,

Già non , che m'inganni

D'un candido alabastro il bel sembiante,

Come quel d'una fera

Hoggi ingannato il tuo signore, e mio.

Ferir io te? te pur ferisca Amore:

Che vendetta maggiore

Non bramar che di vederti amante.

Sia benedetto il che da prima arsi

Benedette le lagrime e i martìri

Di voi lodar, non vendicar, mi voglio.

Ma tu, Silvio cortese,

Che t'inchini à colei

Di cui tu signor sei,

Deh non istar in atto

Di servo, ò se pur servo

Di Dorinda esser vuoi,

Ergiti à i cenni suoi.

Questo sia di tua fede il primo pegno;

Il secondo, che vivi.

Sia pur di me quel che nel cielo è scritto;

In te vivrà il cor mio,

pur che vivi tu morir poss'io.

E, se 'ngiusto ti par ch'hoggi impunita

Resti la mia ferita,

Chi la fe' si punisca:

Fella quell'arco, e sol quell'arco pera:

Sovra quell'homicida

Cada la pena, ed egli sol s'ancida.

Lin.

Oh sentenza giustissima e cortese

Sil.

E così fia, tu dunque

La pena pagherai, legno funesto;

E, perche tu de l'altrui vita il filo

Mai più non rompa, ecco te rompo e snervo,

E, qual fosti à la selva,

Ti rendo inutil tronco.

E voi, strali di lui, che 'l fianco aperse

De la mia cara donna, e per natura,

E per malvagità forse fratelli,

Non rimarrete interi,

Non più strali, ò quadrella,

Ma verghe invan pennute, in vano armate,

Ferri tarpati, e disarmati vanni.

Ben mel dicesti, Amor, tra quelle frondi

In suon d'Echo indovina.

O nume, domator d'huomini e Dei,

Già nemico, hor signore

Di tutti i pensier miei;

Se la tua gloria stimi

D'haver domato un cor superbo, e duro,

Difendimi, ti prego,

Da l'empio stral di morte,

Che con un colpo solo

Anciderà Dorinda e con Dorinda

Silvio, da te pur vinto:

Lin.

Così Morte crudel, se costei more,

Trionferà del trionfante Amore.

Così feriti ambiduo sete; ò piaghe

E fortunate, e care,

Ma senza fine amare,

Se questa di Dorinda hoggi non sana

Dunque andiamo à sanarla.

Dor.

Deh Linco mio non mi condur ti prego,

Con queste spoglie à le paterne case.

Sil.

Tu dunque in altro albergo,

Dorinda, poserai che 'n quel di Silvio?

Certo ne le mie case,

O viva ò morta, hoggi sarai mia sposa;

E teco sarà Silvio ò vivo ò morto.

Lin.

E come à tempo, hor ch'Amarilli ha spento

E le nozze e la vita e l'honestate

O coppia benedetta, ò sommi Dei,

Date con una sola

Salute à duo la vita.

Dor.

Silvio, come son lassa, à pena posso

Reggermi, oime su questo fianco offeso.

Sil.

Stà di buon cor, ch'à questo

Si troverà rimedio, à noi sarai

Tu cara soma e noi à te sostegno.

Linco, dammi la mano. Lin. Eccola pronta.

Sil.

Tienla ben ferma, e del tuo braccio, e mio

A lei si faccia seggio;

Tu, Dorinda, qui posa;

E quinci col tuo destro

Braccio il collo di Linco, e quindi il mio

Cingi col tuo sinistro; e sì t'adatta

Soavemente che 'l ferito fianco

Non se ne dolga. Dor. Ahi, punta

Crudel che mi trafigge. Sil. A tuo bell'agio

Accónciati, ben mio.

Dor.

Hor mi par di star bene.

Sil.

Linco, va' col piè fermo. Lin. E tu col braccio

Non vacillar; ma va' diritto e sodo,

Che ti bisogna, sai? questo è ben altro

Trionfar che d'un teschio.

Sil.

Dimmi, Dorinda mia: come ti pugne

Forte lo stral? Dor. Mi pugne, sì, cor mio

Ma nelle braccia tue

L'esser punta m'è caro e 'l morir dolce.

CHORO

Oh bella età de l'oro,

Quand'era cibo il latte

Del pargoletto mondo e culla il bosco;

E i cari parti loro

Godean le greggi intatte,

temea il mondo ancor ferro tosco

Pensier torbido e fosco

Alhor non facea velo

Al sol di luce eterna.

Hor la ragion, che verna

Tra le nubi del senso, ha chiuso il cielo,

Ond'è ch'il peregrino

Va l'altrui terra, e 'l mar turbando il pino.

Quel suon fastoso, e vano,

Quell'inutil soggetto

Di lusinghe, di titoli, e d'inganno,

C'honor dal volgo insano

Indegnamente è detto

Non era ancor degli animi tiranno.

Ma sostener affanno

Per le vere dolcezze;

Tra i boschi e tra le gregge

La fede haver per legge,

di quell'alme, al ben oprar avvezze

Cura d'honor felice,

Cui dettava honestà: Piaccia, se lice

Alhor tra prati e linfe

Gli scherzi, e le carole,

Di legittimo amor furon le faci:

Havean pastori, e ninfe

Il cor ne le parole:

Dava lor Imeneo le gioie, e i baci

Più dolci, e più tenaci.

Un sol godeva ignude

D'Amor le vive rose:

Furtivo amante ascose

Le trovò sempre, ed aspre voglie e crude,

O in antro ò in selva ò in lago,

Ed era un nome sol marito, e vago.

Secol rio, che velasti

Co' tuoi sozzi diletti

Il bel de l'alma; ed à nudrir la sete

Dei desiri insegnasti

Co' sembianti ristretti,

Sfrenando poi l'impurità segrete

Così, qual tesa rete

Tra fiori, e fronde sparte,

Celi pensier lascivi

Con atti santi e schivi;

Bontà stimi il parer, la vita un'arte;

curi (e parti honore)

Che furto sia, pur che s'asconda, amore.

Ma tu, de'spirti egregi

Forma ne' petti nostri,

Verace Honor, de le grand'alme donno.

O regnator de' Regi,

Deh torna in questi chiostri,

Che senza te beati esser non ponno.

Dèstin dal mortal sonno

Tuoi stimoli potenti

Chi per indegna e bassa

Voglia seguir, te lassa,

E lassa il pregio de l'antiche genti.

Speriam, che 'l mal fa tregua

Talhor, se speme in noi non si dilegua.

Speriam, che 'l sol cadente anco rinasce,

E 'l ciel, quando men luce,

L'aspettato seren spesso n'adduce.

 


 

 




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