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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
Tirenio, Montano, Carino.
Tir. |
Affrettati, mio figlio, Ma con sicuro passo, Sì ch'i' possa seguirti e non inciampi, Per questo dirupato e torto calle, Col piè cadente, e cieco. Occhio sè tu di lui, come son io Occhio de la tua mente. E, quando sarai giunto Innanzi al Sacerdote, ivi ti ferma. |
Mon. |
Ma non è quel, che colà veggio il nostro Venerando Tirenio, Ch'è cieco in terra e tutto vede in cielo? Qualche gran cosa il move, Che da molt'anni in qua non s'è vedutoFuor de la sacra cella. |
Car. |
Piaccia à l'alta bontà de' sommi Dei Che per te lieto ed opportuno giunga. |
Mon. |
Che novità vegg'io, padre Tirenio? Tu fuor del tempio? ove ne vai? che porti? |
Tir. |
A te solo ne vengo, E nuove cose porto e nuove cerco. |
Mon. |
Come teco non è l'ordine sacro? Che tarda? ancor non torna Con la purgata vittima e col resto, Ch'a l'interrotto sacrificio manca? |
Tir. |
O quanto spesso giova La cecità degli occhi al veder molto, Ch'alhor, non traviata L'anima ed in se stessa Tutta raccolta, suole Aprir nel cieco senso occhi Lincei Non bisogna, Montano, Passar sì leggermente alcuni gravi Non aspettati casi, Che tra l'opere humane han del divino. Però che i sommi Dei Non conversano in terra Nè favellan con gli huomini mortali, Ma tutto quel di grande ò di stupendo, Ch'al cieco caso il cieco volgo ascrive, Altro non è che favellar celeste. Così parlan tra noi gli eterni Numi, Queste son le lor voci, Mute à l'orecchie e risonanti al core Di chi le 'ntende; òh, quattro volte, e sei Fortunato colui che ben le 'ntende Stava già per condur l'ordine sacro, Come tu comandasti, il buon Nicandro; Ma il ritenn'io per accidente nuovo Nel Tempio occorso, ed è ben tal, che, mentre Vo con quello accopiandolo, che quasi In un medesmo tempo È hoggi à te incontrato, Un non sò che d'insolito e confuso Tra speranza e timor tutto m'ingombra, Che non intendo, e quanto men l'intendo, Tanto maggior concetto, O buono, ò rio, ne prendo. |
Mon. |
Quel, che tu non intendi, Troppo intend'io miseramente e 'l provo. Ma dimmi, à te, che puoi Penetrar del destin gli alti segreti, Cosa alcuna s'asconde? Tir. o figlio, figlio, Se volontario fosse Del profetico lume il divin'uso, Saria don di natura, e non del cielo. Sento ben io ne l'indigesta mente Che 'l ver m'asconde il fato E si riserba alto segreto in seno. Questa sola cagione à te mi mosse, Vago d'intender meglio Chi è colui che s'è scoperto padre, (se da Nicandro hò ben inteso il fatto) Di quel garzon ch'è destinato à morte. |
Mon. |
Troppo il conosci, ò quanto Ti dorrà poi, Tirenio, Ch'ei ti sia tanto noto, e tanto caro |
Tir. |
Lodo la tua pietà, c'humana cosa È l'haver degli afflitti Compassione ò figlio; nondimeno Fa' pur che seco i' parli. |
Mon. |
Veggio ben'hor che 'l cielo Quanto haver già solevi Di presaga virtute in te sospende. Quel padre, che tu chiedi E con cui brami di parlar, son io. |
Tir. |
Tu padre di colui ch'è destinato Vittima à la gran Dea? |
Mon. |
Son quel misero padre Di quel misero figlio. |
Tir. |
Di quel fido pastore Che, per dar vita altrui, s'offerse à morte? |
Mon. |
Di quel che fà, morendo, Viver chi gli dà morte, Morir chi gli diè vita. Tir. E questo è vero? |
Mon. |
Eccone il testimonio. |
Car. |
Ciò che t'hà detto è vero. |
Tir. |
E chi sè tu che parli? Car. Io son Carino, Padre fin quì di quel garzon creduto. |
Tir. |
Sarebbe questo mai quel tuo bambino Che ti rapì il diluvio? Mon. Ah tu l'hai detto, Tirenio. Tir. E tu per questo Ti chiami padre misero, Montano? Oh cecità de le terrene menti In qual profonda notte, In qual fosca caligine d'errore Son le nostr'alme immerse, Quando tu non le illustri, ò sommo Sole A che del saper vostro Insuperbite, ò miseri mortali? Questa parte di noi, che 'ntende e vede, Non è nostra virtù, ma vien dal cielo; Esso la dà come à lui piace, e toglie; O Montano, di mente assai più cieco, Che non son io di vista, Qual prestigio, qual dèmone t'abbaglia Sì che s'egli è pur vero Che quel nobil garzon sia di te nato, Non ti lasci veder c'hoggi sè pure Il più felice padre, Il più caro agli Dei di quanti al mondo Generasser mai figli? Ecco l'alto segreto Che m'ascondeva il fato Ecco il giorno felice, Con tanto nostro sangue E tante nostre lagrime aspettato Ecco il beato fin de' nostri affanni O Montano, ove sè? torna in te stesso; Come à te solo è de la mente uscito L'oracolo famoso? Il fortunato oracolo, nel core Di tutta Arcadia impresso? Come, col lampeggiar c'hoggi ti mostra Inaspettatamente il caro figlio, Non senti il tuon de la celeste voce? Non avrà prima fin quel che v'offende Che duo semi del ciel congiunga Amore... (Mi distilla dal core Lagrime la dolcezza in tanta copia, Ch'io non posso parlar) Non havrà prima... Non havrà prima fin quel che v'offende, Che duo semi del ciel congiunga Amore, E di donna infedel l'antico errore L'alta pietà d'un PASTOR FIDO ammende. Hor dimmi tu, Montan: questo pastore, Di cui si parla e che dovea morire, non è seme del ciel, s'è di te nato? non è seme del cielo anco Amarilli? e chi gli ha insieme avvinti altro che Amore? Silvio fù dai parenti e fù per forza con Amarilli in matrimonio stretto; ed è tanto lontan che gli strignesse nodo amoroso, quanto l'haver in odio è da l'amar lontano. Ma, s'esamini il resto, apertamente vedrai che di Mirtillo hà solo inteso la fatal voce; e qual si vide mai, dopo il caso d'Aminta, fede d'amor, che s'agguagliasse à questa? Chi hà voluto mai per la sua donna, dopo il fedele Aminta, morir, se non Mirtillo? Questa è l'alta pietà del pastor fido, degna di cancellar l'antico errore de l'infedele, e misera Lucrina. Con quest'atto mirabile e stupendo, più che col sangue humano, l'ira del ciel si placa e quel si rende à la giustizia eterna, che già le tolse il femminile oltraggio. Questa fù la cagion che non sì tosto giuns'egli al Tempio à rinnovar il voto, che cessar tutti i mostruosi segni: non stilla più dal simulacro eterno sudor di sangue, e più non trema il suolo, nè strepitosa più nè più putente è la caverna sacra; anzi da lei vien sì dolce armonia, sì grato odore, che non l'havrebbe più soave il cielo, se voce ò spirto haver potesse il cielo. O alta providenza, ò sommi Dei, se le parole mie fosser anime tutte, e tutte al vostro honore Hoggi le consacrassi, à le dovute grazie non basterian di tanto dono. Ma come posso, ecco le rendo, ò santi numi del ciel, con le ginocchia à terra umilimente. Oh, quanto vi son io debitor perc'hoggi vivo Ho di mia vita corsi cent'anni già, nè seppi mai che fosse viver, nè mi fù mai la cara vita, se non hoggi, cara. Hoggi à viver comincio, hoggi rinasco. Ma che perd'io con le parole il tempo, che si dè dar'a l'opre Ergimi, figlio, che levar non posso già senza te queste cadenti membra. |
Mon. |
Un'allegrezza hò nel mio cor, Tirenio, Con sì stupenda maraviglia unita, Che son lieto, e no'l sento, Nè può l'alma confusa Mostrar di fuor la ritenuta gioia, Sì tutti lega alto stupore i sensi. O non veduto mai, nè mai più inteso Miracolo del cielo O grazia senza esempio O pietà singolar de' sommi Dei O fortunata Arcadia, Oh sovra quante il sol ne vede, e scalda, Terra gradita al ciel, terra beata Così il tuo ben m'è caro, Che'l mio non sento, e del mio caro figlio, Che due volte hò perduto E due volte trovato, e di me stesso, Che da un'abisso di dolor trapasso A un'abisso di gioia, Mentre penso di te; non mi sovviene; E si disperde il mio diletto, quasi Poca stilla insensibile confusa Ne l'ampio mar de le dolcezze tue. Oh benedetto sogno, Sogno non già, ma vision celeste Ecco ch'Arcadia mia, Come dicesti tu sarà ancor bella. |
Tir. |
Ma che tardi, Montano? Da noi più non attende Vittima humana il cielo; Non è più tempo di vendetta e d'ira, Ma di grazia e d'amore; hoggi comanda La nostra Dea che'n vece Di sacrifizio orribile e mortale; Si faccian liete e fortunate nozze. Ma dimmi tu quant'ha di vivo il giorno? |
Mon. |
Un'ora ò poco più. Tir. Così vien sera? Torniamo al tempio, e quivi immantinente La figliuola di Titiro e'l tuo figlio Si dian la fede maritale, e sposi Divengano, d'amanti, e l'un conduca L'altra ben tosto à le paterne case, Dove convien, prima che'l sol tramonti, Che sian congiunti i fortunati heroi. Così comanda il ciel, tornami, figlio, Onde m'hai tolto, e tu, Montan, mi segui |
Mon. |
Ma guarda ben, Tirenio, Che, senza violar la santa legge, Non può ella à Mirtillo Dar quella fè, che fù già data à Silvio. |
Car. |
Ed à Silvio fiè data Parimente la fede, che Mirtillo Fin dal suo nascimento hebbe tal nome, Se dal tuo servo mi fù detto il vero; Ed egli si compiacque, Ch'io 'l nomassi Mirtillo anzi che Silvio. |
Mon. |
Gli è vero, hor mi sovviene, e cotal nome Rinnovai nel secondo, Per consolar la perdita del primo. |
Tir. |
Il dubbio era importante, hor tu mi segui. |
Mon. |
Carino andiamo al tempio, e da qui innanzi Duo padri havrà Mirtillo. Oggi hà trovato Montano un figlio ed un fratel Carino. |
Car. |
D'amor padre à Mirtillo, à te fratello; Di riverenza à l'un servo ed à l'altro Sarà sempre Carino. E, poi che verso me sè tanto humano, Ardirò di pregarti Che ti sia caro il mio compagno ancora, Senza cui non sarei caro à me stesso. |
Mon. |
Fanne quel ch'à te piace. |
Car. |
Eterni numi, ò come son diversi Quegli alti, inaccessibili sentieri, Onde scendono à noi le vostre grazie, Da quei fallaci, e torti, Onde i nostri pensier salgono al cielo |