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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
PROLOGO
Alfeo fiume d'Arcadia.
Se per antica, e forse
da voi negletta, e non creduta fama,
Havete mai d'innamorato fiume
le maraviglie udite,
che, per seguir l'onda fugace, e schiva
de l'amata Aretusa,
corse (o forza d'amor) le più profonde
viscere de la terra,
e del mar penetrando;
la dove sotto à la gran mole Etnea,
non so sò se fulminato ò fulminante,
vibra il fiero gigante
contra 'l nemico ciel fiamme di sdegno,
quel son'io: già l'udiste: hor ne vedete
prova tal, ch'a voi stessi
fede negar non lice.
Ecco, lasciando il corso antico e noto,
per incognito mar l'onda incontrando
del Re de' fiumi altero,
qui sorgo, e lieto à riveder ne vegno
qual esser già solea libera, e bella;
Hor desolata e serva,
quell'antica mia terra ond'io derivo.
O cara genitrice ò dal tuo figlio
riconosciuta Arcadia
Riconosci il tuo caro
e già non men di te famoso Alfeo.
Queste son le contrade
sì chiare un tempo, e queste son le selve
ove 'l prisco valor visse e morìo.
In questo angolo sol del ferreo mondo
cred'io che ricovrasse il secol d'oro
quando fuggìa le scelerate genti.
Quì non veduta altrove
libertà moderata e senza invidia
fiorir si vede in dolce sicurezza
non custodita e 'n disarmata pace.
Cingea popolo inerme
un muro d'innocenza, e di virtute,
assai più impenetrabile di quello
che d'animati sassi
canoro fabro à la gran Tebe eresse.
E, quando più di guerre e di tumulti
arse la Grecia e gli altri suoi guerrieri
popoli armò l'Arcadia,
a questa sola fortunata parte,
a questo sacro asilo
strepito mai non giunse nè d'amica
nè di nemica tromba.
E sperò tanto sol Tebe e Corinto
e Micene e Megara e Patra e Sparta
di trionfar del suo nemico, quanto
l'hebbe cara e guardolla
questa amica del ciel devota gente,
di cui fortunatissimo riparo
fur esse in terra, ella di lor nel cielo,
pugnando altri con l'armi, ella co' prieghi.
E benche qui ciascuno
Habito e nome pastorale havesse,
non fù però ciascuno
nè di pensier nè di costumi rozzo,
però ch'altri fù vago
di spiar tra le stelle e gli elementi
di natura e del ciel gli alti segreti;
altri di seguir l'orme
di fuggitiva fera;
altri con maggior gloria
d'atterrar orso ò d'assalir cignale.
Questi rapido al corso,
e quegli al duro cesto
fiero mostrossi ed à la lotta invitto;
chi lanciò dardo e chi ferì di strale
il destinato segno;
chi d'altra cosa ebbe vaghezza, come
ciascun suo piacer segue.
La maggior parte amica
Fù de le sacre Muse, amore, e studio
beato un tempo, hor infelice e vile.
Ma chi mi fà veder dopo tant'anni
qui trasportata, dove
scende la Dora in Po, l'Arcada terra?
Questa la chiostra è pur, questo quel antro
dell'antica Ericina;
e quel, che colà sorge, è pur il tempio
a la gran Cintia sacro. Or qual m'appare
miracolo stupendo?
Che insolito valor, che virtù nova
vegg'io di traspiantar popoli e terre?
O fanciulla reale,
d'età fanciulla e di saver già donna,
virtù del vostro aspetto,
valor del vostro sangue,
gran Caterina, (hor me n'avveggio), è questa
di quel sublime e glorioso sangue
a la cui monarchia nascono i mondi;
questi sì grandi effetti,
che sembran maraviglie,
opre son vostre usate, opre natie.
Come à quel sol, che d'oriente sorge,
tante cose leggiadre
produce il mondo, erbe, fior, frondi e tante
in cielo, in terra, in mare alme viventi,
così al vostro possente, altero sole,
ch'uscì dal grande e per voi chiaro occaso,
si veggon d'ogni clima
nascer province e regni,
e crescer palme e pullular trofei.
A voi dunque m'inchino, altera figlia
di quel monarca, à cui
nè anco quando annotta il sol tramonta,
sposa di quel gran Duce,
al cui senno, al cui petto, à la cui destra
commise il ciel la cura
de l'Italiche mura.
Ma non bisogna più d'alpestre rupi
schermo ò d'horride balze:
stia pur la bella Italia
per voi sicura, e suo riparo, in vece
de le grand'Alpi, una grand'alma or sia.
Quel suo tanto di guerra
propugnacolo invitto
è per voi fatto à le nemiche genti
quasi tempio di pace,
ove novella deità s'adori.
Vivete pur, vivete
lungamente concordi, anime grandi,
Che da sì glorioso e santo nodo
spera gran cose il mondo,
ed ha ben anco ove fondar sua speme,
se mira in oriente
con tanti scettri il suo perduto impero,
campo sol di voi degno,
o magnanimo Carlo, e dai vestigi
dei grand'avoli vostri ancora impresso.
Augusta è questa terra,
augusti i vostri nomi, augusto il sangue;
i sembianti, i pensier, gli animi augusti:
saran ben anco augusti i parti e l'opre.
Ma voi, mentre v'annunzio
corone d'oro, e le prepara il fato,
non isdegnate queste,
nelle piagge di Pindo
d'herbe e di fior conteste
per man di quelle vergini canore,
che, mal grado di Morte, altrui dàn vita,
picciole offerte sì, ma però tali,
che, se con puro affetto il cor le dona,
anco il ciel non le sdegna; e, se dal vostro
serenissimo ciel d'aura cortese
qualche spirto non manca,
la cetra, che per voi
vezzosamente or canta
teneri amori e placidi imenei,
sonerà, fatta tromba, arme e trofei.