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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
Satiro.
Come il gelo à le piante, à i fior l'arsura,
La grandine à le spiche, à i semi il verme,
Le reti à i cervi ed agli augelli il visco,
Così nemico à l'uom fù sempre Amore.
E chi fuoco chiamollo, intese molto
La sua natura perfida e malvagia,
Che, se 'l foco si mira, oh come è vago
Ma, se si tocca, ò come è crudo: il mondo
Non ha di lui più spaventevol mostro.
Come fera divora e come ferro
Pugne e trapassa, e come vento vola;
E dove il piede imperioso ferma,
Cede ogni forza, ogni poter dà loco.
Non altrimenti Amor: che, se tu 'l miri
In duo begl'occhi, in una treccia bionda,
O come alletta, e piace; ò come pare
Che gioia spiri, e pace altrui prometta
Ma, se troppo t'accosti e troppo il tenti,
Sì che serper cominci e forza acquisti,
Non ha tigre l'Hircania & non ha Libia
Leon sì fiero e sì pestifero angue,
Che la sua ferità vinca ò pareggi.
Crudo più che l'inferno, e che la morte,
Nemico di pietà, ministro d'ira,
È finalmente Amor privo d'amore.
Ma che parlo di lui? perche l'incolpo?
È forse egli cagion di ciò che 'l mondo,
Amando no, ma vaneggiando, pecca?
O femminil perfidia, à te si rechi
La cagion pur d'ogni amorosa infamia;
Da te sola deriva, e non da lui,
Quanto ha di crudo e di malvagio Amore,
Che 'n sua natura placido e benigno,
Teco ogni sua bontà subito perde.
Tutte le vie di penetrar nel seno
E di passar al cor tosto gli chiudi,
Sol di fuor il lusinghi, e fai suo nido
E tua cura e tua pompa e tuo diletto
La scorza sol d'un miniato volto.
Nè già son l'opre tue gradir con fede
La fede di chi t'ama, e con chi t'ama
Contender ne l'amare, ed in duo petti
Stringer un core e 'n duo voleri un'alma;
Ma tinger d'oro un'insensata chioma,
E d'una parte in mille nodi attorta,
Infrascarne la fronte; indi con l'altra,
Tessuta in rete e 'n quelle frasche involta,
Prender'il cor di mille incauti amanti.
O come è indegna e stomachevol cosa
Il vederti tal'hor con un pennello
Pinger le guance ed occultar le mende
Di natura, e del tempo, e veder come
Il livido pallor fai parer d'ostro,
Le rughe appiani, e 'l bruno imbianchi e togli
Col difetto il difetto, anzi l'accresci
Spesso un filo incrocicchi, e l'un de capi
Co denti afferri, e con la man sinistra
L'altro sostieni, e del corrente nodo
Con la destra fai giro, e l'apri e stringi
Quasi radente forfice, e l'adatti
Su l'inegual lanuginosa fronte,
Indi radi ogni piuma, e svelli insieme
Il mal crescente e temerario pelo
Con tal dolor, ch'è penitenza il fallo:
Ma questo è nulla, ancor che tanto, à l'opre,
Sono i costumi somiglianti e i vezzi.
Qual cosa hai tu, che non sia tutta finta?
S'apri la bocca, menti, e se sospiri,
Son mentiti i sospir; se muovi gli occhi,
È simulato il guardo. In somma ogn'atto,
Ogni sembiante, e ciò che in te si vede
E ciò che non si vede, ò parli ò pensi
O vadi ò miri ò pianga ò rida ò canti,
Tutto è menzogna, e questo ancora è poco.
Ingannar più chi più si fida, e meno
Amar chi più n'è degno, odiar la fede
Più della morte assai, queste son l'arti
Che fan sì crudo, e sì perverso Amore.
Dunque d'ogni suo fallo è tua la colpa,
Anzi pur ella è sol di chi ti crede.
Dunque la colpa è mia, che ti credei
Malvaggia e perfidissima Corisca,
Qui per mio danno sol, cred'io, venuta,
Da le contrade scelerate d'Argo,
Ove lussuria fa l'ultima prova:
Ma sì ben figni e sì sagace e scorta
Sè nel celar altrui l'opre e i pensieri;
Che trà le più pudiche hoggi tèn vai,
Del nome indegno d'honestate altera.
Oh quanti affanni hò sostenuti, oh quante,
Per questa cruda, indignità sofferte
Ben me ne pento, anzi vergogno, impara
Da le mie pene, ò mal'accorto amante:
Non far idolo un volto, ed à me credi:
Donna adorata un nume è de l'inferno.
Di se tutto presume, e del suo volto
Sovra te che l'inchini, e, quasi Dea,
Come cosa mortal ti sdegna e schiva,
Che d'esser tal per suo valor si vanta
Qual tu per tua viltà la fingi ed orni.
Che tanta servitù? che tanti preghi,
Tanti pianti e sospiri? Usin quest'armi
Le femmine e i fanciulli, e i nostri petti
Sien'anche ne l'amar virili, e forti.
Un tempo anch'io credei che sospirando
E piangendo e pregando in cor di donna
Si potesse destar fiamma d'amore.
Hor me n'avveggio, errai, che, s'ella il core
Ha di duro macigno, indarno tenti
Che per lagrima molle ò lieve fiato
Di sospir che 'l lusinghi, arda ò sfaville,
Se rigido focil no'l batte ò sferza.
Lascia, lascia le lagrime, e i sospiri,
S'acquisto far de la tua donna vuoi;
E s'ardi pur d'inestinguibil foco,
Nel centro del tuo cor quanto più sai
Chiudi l'affetto, e poi, secondo il tempo
Fà quel ch'Amore e la natura insegna.
Però che la modestia è nel sembiante
Sol virtù de la donna, e però seco
Il trattar con modestia è gran difetto;
Ed ella, che sì ben con altrui l'usa,
Seco usata, l'ha in odio, e vuol che 'n lei
La miri sì, ma non l'adopri il vago.
Con questa legge naturale e dritta,
Se farai per mio senno amerai sempre.
Me non vedrà, nè proverà Corisca
Mai più tenero amante, anzi più tosto
Fiero nemico, e sentirà con armi
Non di femmina più, ma d'huom virile,
Assalirsi e trafiggersi: Due volte
L'hò presa già questa malvagia, e sempre
M'è, (non sò come) da le mani uscita;
Ma, s'ella giunge anco la terza al varco,
Hò ben pensato d'afferrarla in guisa
Che non potrà fuggirmi, à punto suole
Tra queste selve capitar sovente;
Ed io vò pur, come sagace veltro,
Fiutandola per tutto. O qual vendetta
Ne vo far, se la prendo, e quale strazio
Ben le farò veder che tal'hor anco
Chi fù cieco, apre gli occhi, e che gran tempo
De le perfidie sue non si dà vanto
Femmina ingannatrice e senza fede.
CHORO
O nel seno di Giove alta, e possente
Legge scritta, anzi nata;
La cui soave, ed amorosa forza
Ogni cosa creata,
Gli animi inchina e la natura sforza.
Nè pur la frale scorza,
Che 'l senso à pena vede, e nasce e more
Al variar de l'hore;
Ma i semi occulti e la cagion interna,
Ch'è d'eterno valor, move, e governa.
E, se gravido è il mondo e tante belle
Sue maraviglie forma;
E se per entro à quanto scalda il Sole,
A l'ampia luna, à le Titanie stelle,
Vive spirto che 'nforma
Col suo maschio valor l'immensa mole;
S'indi l'humana prole
Sorge, e le piante e gli animali han vita;
Se la terra è fiorita
O se canuta ha la rugosa fronte,
Vien dal tuo vivo e sempiterno fonte.
Nè questo pur, ma ciò che vaga spera
Versa sopra i mortali,
Onde quà giù di ria ventura ò lieta
Stella s'addita, or mansueta or fera,
Ond'han le vite frali
Del nascer l'ora e del morir la meta:
Ciò che fà vaga ò queta
Ne' suoi torbidi affetti humana voglia,
E par che doni e toglia
Fortuna, e 'l mondo vuol ch'à lei s'ascriva:
Dall'alto tuo vàlor tutto deriva.
O detto inevitabile e verace,
Se pur è tuo concetto
Che dopo tanti affanni un dì riposi
L'arcada terra ed habbia vita e pace;
Se quel che n'hai predetto
Per bocca degli oracoli famosi,
De' duo fatali sposi,
Pur da te viene, e 'n quello eterno abisso
L'hai stabilito, e fisso;
E se la voce lor non è bugiarda,
Deh chi l'effetto al voler tuo ritarda?
Ecco, d'amore e di pietà nemico,
Garzon aspro, e crudele,
Che vien dal cielo e pur col ciel contende;
Ecco poi chi combatte un cor pudico,
Amante in van fedele,
Che 'l tuo voler con le sue fiamme offende,
E quanto meno attende
Pietà del pianto e del servir mercede,
Tant'ha più foco, e fede;
Ed è pur quella à lui fatal bellezza,
Ch'è destinata à chi la fugge, e sprezza.
Così dunque in se stessa è pur divisa
Quell'eterna possanza?
E così l'un destin con l'altro giostra?
O, non ben forse ancor doma, e conquisa,
Folle humana speranza
Di porre assedio à la superna chiostra,
Rubella al ciel si mostra,
Ed arma, quasi nuovi empi giganti,
Amanti, e non amanti?
Qui si può tanto? e di stellato regno
Trionferan duo ciechi Amore, e Sdegno?
Ma tu che stai sovra le stelle e 'l fato,
E con saver divino
Indi ne reggi, alto motor del cielo,
Mira, ti prego il nostro dubbio stato;
Accorda col destino
Amor, e Sdegno, e con paterno zelo
Tempra la fiamma e 'l gelo:
Chi dè goder, non fugga e non disami;
Chi dè fuggir, non ami.
Deh fa che l'empia e cieca voglia altrui
La promessa pietà non tolga à nui.
Ma chi sa? forse quella,
Che pare inevitabile sciagura,
Sarà lieta ventura.
Oh quanto poco humana mente sale,
Che non s'affisa al sol vista mortale.
Il fine del Primo Atto