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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA III

 

Amarilli, Corisca, Mirtillo.

 

Am.

A fè t'hò colta, Aglauro:

Tu vuoi fuggir? t'abbrazzerò sì stretta.

Cor.

Certamente, se contra

Non glie l'havessi à l'improvviso spinto

Con sì grand'urto, i' faticava in vano

Per far ch'egli vi gisse.

Am.

Tu non parli: sè dessa ò non sè dessa?

Cor.

Quì ripongo il suo dardo, e nel cespuglio

Torno per osservar ciò che ne segue.

Am.

Or ti conosco, sì: tu sè Corisca

Che sè sì grande e senza chioma; à punto

Altra che te non volev'io per darti

De le pugna à mio senno.

Hor tè questo e quest'altro,

E quest'anco e poi questo. Ancor non parli?

Ma, se tu mi legasti, anco mi sciogli,

E fà tosto, cor mio,

Ch'i' vò poi darti il più soave bacio,

Ch'havessi mai, che tardi?

Par che la man ti tremi. Sè sì stanca?

Mettici i denti, se non puoi con l'ugna.

Oh quanto sè melensa

Ma lascia far à me, che da me stessa

Mi leverò d'impaccio.

Hor ve' con quanti nodi

Mi legasti tu stretta?

Se può toccar à te l'esser la cieca...

Son pur, ecco, sbendata. Oime che veggio?

Lasciami, traditor Oime son morta

Mir.

Stà cheta, anima mia. Am. Lasciami dico,

Lasciami. Così dunque

Si fa forza à le Ninfe? Aglauro, Elisa

Ah perfide ove sete?

Lasciami, traditore. Mir. Ecco ti lascio.

Am.

Quest'è un inganno di Corisca. Hor togli

Quel che n'hai guadagnato. Mir. Dove fuggi, crudele?

Mira almen la mia morte. Ecco, mi passo

Con questo dardo il petto.

Am.

Oime che fai? Mir. Quel che forse ti pesa

Ch'altri faccia per te, ninfa crudele.

Am.

oime, son quasi morta

Mir.

E se quest'opra à la tua man si deve,

Ecco 'l ferro, ecco 'l petto.

Am.

Ben il meriteresti. E chi t'ha dato

Cotanto ardir, presontuoso? Mir. Amore.

Am.

Amor non è cagion d'atto villano.

Mir.

Dunque in me credi amore

Poi che discreto fui, che se prendesti

Tu prima me, son io tanto men degno

D'esser da te di villania notato,

Quanto, con sì vezzosa

Comodità d'esser ardito e quando

Potei le leggi usar teco d'Amore,

Fui però sì discreto,

Che quasi mi scordai d'esser amante.

Am.

Non mi rimproverar quel ch'io fei cieca.

Mir.

Ah, che tanto più cieco

Son io di te, quanto più sono amante

Am.

Preghi e lusinghe, e non insidie, e furti,

Usa il discreto amante.

Mir.

Come selvaggia fera,

Cacciata da la fame,

Esce dal bosco, e 'l peregrino assale;

Tal io, che sol de' tuo' begli occhi i' vivo.

Poi che l'amato cibo

O tua fierezza ò mio destìn mi nega,

Sa, famelico amante,

Uscendo hoggi de' boschi ov'io soffersi

Digiun misero, e lungo,

Quello scampo tentai per mia salute,

Che mi dettò necessità d'Amore,

Non incolpar già me, ninfa crudele;

Te sola pur incolpa;

Che, se co' preghi sol, come dicesti,

S'ama discretamente, e con lusinghe,

E ciò da me non aspettasti mai,

Tu sola tu m'hai tolto,

Con la durezza tua, con la tua fuga,

L'esser discreto amante.

Am.

Assai discreto amante esser potevi,

Lasciando di seguir chi ti fuggiva.

Pur sai che 'nvan mi segui.

Che vòi da me? Mir. Ch'una sola fiata

Degni almen d'ascoltarmi anzi ch'io moia.

Am.

Buon per te che la grazia,

Prima che l'habbi chiesta, hai ricevuta.

Vattene dunque. Mir. ah Ninfa,

Quel che t'hò detto, à pena

È una minuta stilla

De l'infinito mar del pianto.

Deh se non per pietade,

Almen per tuo diletto ascolta cruda

Di chi si vuol morir gli ultimi accenti.

Am.

Per levar te d'errore, e me d'impaccio,

Son contenta d'udirti;

Ma vè con queste leggi.

Dì poco, e tosto parti, e più non torna.

Mir.

In troppo picciol fascio

Crudelissima ninfa,

Stringer tu mi comandi

Quell'immenso desio, che se con altro,

Misurar si potesse,

Che con pensiero humano,

A pena il capiria ciò che capire

Puote in pensiero humano.

Ch'i' t'ami, e t'ami più de la mia vita,

Se tu nol sai crudele,

Chiedilo à queste selve,

Che tel diranno, e tèl diran con esse

Le fere loro e i duri sterpi e i sassi

Di questi alpestri monti,

Ch'i' hò sì spesse volte

Inteneriti al suon de' miei lamenti.

Ma che bisogna far cotanta fede

De l'amor mio, dov'è bellezza tanta?

Mira quante vaghezze ha 'l ciel sereno,

Quante la terra, e tutte

Raccogli in picciol giro, indi vedrai

L'alta necessità de l'arder mio.

E come l'acqua scende e 'l foco sale

Per sua natura, e l'aria

Vaga e posa la terra e 'l ciel s'aggira,

Così naturalmente à te s'inchina,

Come à suo bene, il mio pensiero, e corre

A le bellezze amate

Con ogni affetto suo l'anima mia.

E chi di traviarla

Dal caro oggetto suo forse pensasse,

Prima torcer potria

Da l'usato cammino e cielo, e terra

Ed acqua, ed aria, e foco,

E tutto trar da le sue sedi il mondo.

Ma, perche mi comandi

Ch'io dica poco, ah cruda

Poco dirò, s'io dirò sol ch'io moro;

E men farò morendo,

S'io miro à quel che del mio strazio brami.

Ma farò quello, oime che sol m'avanza,

Miseramente amando.

Ma, poi che sarò morto, anima cruda,

Havrai tu almen pietà de le mie pene?

Deh bella e cara e sì soave un tempo

Cagion del viver mio, mentre à Dio piacque,

Volgi una volta, volgi

Quelle stelle amorose,

Come le vidi mai, così tranquille

E piene di pietà, prima ch'i' moia,

Che 'l morir mi sia dolce.

E dritto è ben che, se mi furo un tempo

Dolci segni di vita, or sien di morte

Que' begli occhi amorosi;

E quel soave sguardo,

Che mi scorse ad amare,

Mi scorga anco à morire;

E chi fù l'alba mia,

Del mio cadente dì l'Espero or sia.

Ma tu, più che mai dura,

Favilla di pietà non senti ancora;

Anzi t'innaspri più, quanto più prego.

Così senza parlar dunque m'ascolti?

A chi parlo, infelice, à un muto marmo?

S'altro non mi vuoi dir, dimmi almen: mori

E morir mi vedrai.

Questa è ben'empio Amor, miseria estrema,

Che sì rigida Ninfa

E del mio fin sì vaga,

Perche grazia di lei

Non sia la morte mia, morte mi neghi,

Nè mi risponda, e l'armi

D'una sola sdegnosa e cruda voce

Sdegni di proferire

Al mio morir.

Am.

Se dianzi t'avess'io

Promesso di risponderti, sì come

D'ascoltar ti promisi,

Qualche giusta cagion di lamentarti

Del mio silenzio havresti.

Tu mi chiami crudele, immaginando

Che da la ferità rimproverata

Agevole ti sia forse il ritrarmi

Al suo contrario affetto;

Nè sai tu che l'orecchie

Così non mi lusinga il suon di quelle

Da me sì poco meritate e molto

Meno gradite lodi,

Che mi dai di beltà, come mi giova

Il sentirmi chiamar da te crudele.

L'esser cruda ad ogn'altro,

(già nol nego) è peccato;

A l'amante, è virtute;

Ed è vera honestate

Quella che 'n bella donna

Chiami tu feritate.

Ma sia, come tu vuoi peccato, e biasmo

L'esser cruda à l'amante: hor quando mai

Ti fù cruda Amarilli?

Forse allor che giustizia

Stato sarebbe il non usar pietate,

E pur teco l'usai

Tanto, ch'à dura morte i' ti sottrassi.

I' dico alhor che tu, frà nobil coro

Di vergini pudiche,

Libidinoso amante,

Sotto abito mentito di donzella

Ti mescolasti e, i puri scherzi altrui

Contaminando, ardisti

Mischiar trà finti ed innocenti baci

Baci impuri e lascivi,

Che la memoria ancor se ne vergogna?

Ma sallo il ciel, ch'alhor non ti conobbi,

E che poi, conosciuto,

Sdegno n'hebbi, e serbai

Da le lascivie tue l'animo intatto;

Ne lasciai che corresse

L'amoroso veneno al cor pudico,

Ch'alfin non violasti

Se non la sommità di queste labbra.

Bocca baciata à forza,

Se 'l bacio sputa, ogni vergogna ammorza.

Ma dimmi tu: qual frutto havresti alhora

Dal temerario tuo furto raccolto,

Se t'avess'io scoperto à quelle ninfe?

Non fù sull'Ebro mai

Sì fieramente lacerato e morto

Da le donne di Tracia. il Tracio Orfeo,

Come stato da loro

Saresti tu, se non ti dava aita

La pietà di colei che cruda hor chiami.

Ma non è cruda già quanto bisogna,

Che, se cotanto ardisci

Quanto ti son crudele,

Che faresti tu poi

Se pietosa ti fussi?

Quella sana pietà, che dar potei,

Quella t'hò dato. In altro modo è vano,

Che tu la chiedi, ò speri,

Che pietate amorosa

Mal si dà per colei

Che per se non la trova,

Poi che l'ha data altrui.

Ama l'honestà mia, s'amante sei;

Ama la mia salute, ama la vita.

Troppo lunge sè tu da quel che brami.

Il prohibisce il ciel, la terra il guarda

E 'l vendica la morte;

Ma più d'ogn'altro e con più saldo scudo

L'honestate il difende,

Che sdegna alma ben nata

Più fido guardatore

Haver del proprio honore. Hor datti pace

Dunque, Mirtillo, e guerra

Non far à me, fuggi lontano e vivi,

Se saggio sé, ch'abbandonar la vita

Per soverchio dolore,

Non è atto, ò pensiero

Di magnanimo core;

Ed è vera virtute

Il sapersi astener da quel che piace,

Se quel che piace, offende:

Mir.

Non è in man di chi perde

L'anima, il non morire.

Am.

Chi s'arma di virtù, vince ogni affetto.

Mir.

Virtù non vince ove trionfa Amore.

Am.

Chi non può quel che vuol, quel che può voglia.

Mir.

Necessità d'amor legge non have.

Am.

La lontananza ogni gran piaga salda.

Mir.

Quel che nel cor si porta, invan si fugge.

Am.

Scaccerà vecchio amor novo desio.

Mir.

Sì, s'un'altra alma e un altro core havessi.

Am.

Consuma il tempo finalmente Amore.

Mir.

Ma prima il crudo Amor l'alma consuma.

Am.

Così, dunque, il tuo mal non ha rimedio?

Mir.

Non ha rimedio alcun, se non la morte.

Am.

La morte? Hor tu m'ascolta e fa' che legge

Ti sian queste parole. Ancorch'i' sappia

Che 'l morir degli amanti è più tosto uso

D'innamorata lingua che desio

D'animo in ciò deliberato e fermo,

Pur se talento mai

E sì strano e sì folle à te venisse,

Sappi che la tua morte

Non men de la mia fama

Che de la vita tua morte sarebbe.

Vivi dunque, se m'ami,

Vattene, e da quì innanzi havrò per chiaro

Segno che tu sij saggio,

Se con ogni tuo ingegno

Ti guarderai di capitarmi innanzi.

Mir.

Oh sentenza crudele

Come viver poss'io

Senza la vita, ò come

Dar fin senza la morte al mio tormento?

Am.

Horsù Mirtillo, è tempo

Che tu tèn vada; e troppo lungamente

Hai dimorato ancora.

Partiti; e ti consola,

Ch'infinita è la schiera

Degli infelici amanti.

Vive ben'altri in pianti

Sì come tu, Mirtillo, ogni ferita

Ha seco il suo dolore,

Nè sè tu solo à lagrimar d'amore.

Mir.

Misero infrà gli amanti

Già solo non son io; ma son ben solo

Miserabile esempio

E de vivi e de morti, non potendo

Nè viver, nè morire.

Am.

Horsù pàrtiti omai.

Mir.

Ah dolente partita

Ah fin de la mia vita

Da te parto e non moro? e pur i' provo

La pena de la morte

E sento nel partire

Un vivace morire,

Che dà vita al dolore

Per far che moia immortalmente il core.

 


 

 




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