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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA III

 

Choro, Ergasto.

 

[Cho.]

Pastori havete inteso

Che 'l nostro semideo, figlio ben degno

Del gran Montano e degno

Discendente d'Alcide,

Hoggi n'ha liberati

Da la fera terribile, che tutta

Infestava l'Arcadia;

E che già si prepara

Di sciôrne il voto al tempio.

Se grati esser vogliamo

Di tanto beneficio,

Andiamo tutti ad incontrarlo, e come

Nostro liberatore

Sia da noi onorato

Con la lingua, e col core.

E, ben che d'alma valorosa, e bella

L'honor sia poco pregio, è però quello

Che si può dar maggiore

A la virtute in terra.

Erg.

Ò sciagura dolente ò caso amaro

O piaga immedicabile, e mortale

O sempre acerbo e lagrimevol giorno

Cho.

Qual voce odo di pianto e d'horror piena?

Erg.

Stelle nemiche à la salute nostra,

Così la fè schernite?

Così il nostro sperar levaste in alto

Perche poscia cadendo

Con maggior pena il precipizio havesse?

Cho.

Questi mi par Ergasto, e certo è desso.

Erg.

Ma perche il cielo accuso?

Te pur accusa, Ergasto;

Tu solo avvicinasti

L'esca pericolosa

Al focile d'Amor, tu il percotesti

E tu sol ne traesti

Le faville, onde è nato

L'incendio inestinguibile e mortale.

Ma sallo il ciel, se da buon fin mi mossi

E se fù sol pietà che mi c'indusse.

O sfortunati amanti

O misera Amarilli

O Titiro infelice ò orbo padre

O dolente Montano

O desolata Arcadia ò noi meschini

O finalmente, misero e infelice

Quant'hò veduto e veggio,

Quanto parlo, quant'odo e quanto penso

Cho.

Oime qual fia cotesto

Sì misero accidente,

Che'n sè comprende ogni miseria nostra?

Andiam, pastori, andiamo

Verso di lui, ch'a punto

Egli ci vien incontra, eterni numi,

Ah Non è tempo ancora

Di rallentar lo sdegno?

Dinne, Ergasto gentile:

Qual fiero caso à lamentar ti mena?

Che piangi?

Erg.

Amici cari,

Piango la mia, piango la vostra, piango

La ruina d'Arcadia.

Cho.

Oime che narri?

Erg.

È caduto il sostegno

D'ogni nostra speranza.

Cho.

Deh parlaci più chiaro.

Erg.

La figliuola di Titiro, quel solo

Del suo ceppo cadente e del cadente

Padre appoggio e rampollo;

Quell'unica speranza

De la nostra salute,

Ch'al figlio di Montano era

Destinata dal ciel e promessa in terra

Per liberar con le sue nozze Arcadia;

Quella Ninfa celeste,

Quella saggia Amarilli,

Quell'esempio d'honore,

Quel fior di castitate;

Oime quella... ah mi scoppia

Il core à dirlo. Cho. È morta?

Erg.

No, ma sta per morire.

Cho.

Oime che intendo? Erg. e nulla ancor intendi

Peggio è che more infame.

Cho.

Amarillide infame? e come, Ergasto?

Erg.

Trovata con l'adultero. E se quinci

Non partite sì tosto,

La vedrete condurre

Cattiva al tempio. Cho. ò bella e singolare,

Ma troppo malagevole virtute

Del sesso femminile, ò pudicizia,

Come hoggi sè si rara

Dunque non si dirà donna pudica

Se non quella che mai

Non fù sollecitata?

Oh secolo infelice

Erg.

Veramente potrassi

Con gran ragione havere

D'ogn'altra donna l'honestà sospetta,

Se dishonesta l'honestà si trova.

Cho.

Deh cortese pastor, non ti sia grave

Di raccontarci il tutto.

Erg.

Io vi dirò. Stamane assai per tempo

Venne (come sapete) il Sacerdote

A visitar con l'infelice padre

De la misera Ninfa, il sagro tempio

Da un medesmo pensier ambidue mossi,

D'agevolar co' prieghi

Le nozze de' lor figli,

Da lor bramate tanto.

Per questo solo in un medesmo tempo

Fûr le vittime offerte,

E fatto il sacrificio

Solennemente e con sì lieti auspizi,

Che non fur viste mai

Nè viscere più belle

Nè fiamma più sincera, ò men turbata;

Onde, da questi segni

Mosso, il cieco indovino:

Hoggi disse à Montano

Sarà il tuo Silvio amante; e la tua figlia

Hoggi, Titiro, sposa.

Vanne tu tosto à preparar le nozze.

Oh insensate e vane

Menti degli indovini e tu di dentro

Non men che di fuor cieco

S'à Titiro l'esequie

In vece de le nozze havessi detto,

Ti potevi ben dir certo indovino.

Già tutti consolati

Erano i circostanti, e i vecchi padri

Piangean di tenerezza,

E partito era già Titiro, quando

Furon nel tempio horribilmente uditi

Di subito e veduti

Sinistri auguri e paventosi segni,

Nunzi de l'ira sacra,

Ai quali, oime s'attonito e confuso

Restasse ogn'un dopo sì bel principio,

Pensatel voi, cari pastori. Intanto

S'erano i sacerdoti

Nel sacrario maggior soli rinchiusi;

E mentre, essi di dentro e noi di fuori,

Lagrimosi, e divoti,

Stavamo intenti à le preghiere sante,

Ecco il malvagio Satiro, che chiede

Con molta fretta e per instante caso

Dal sacerdote udienza. E, perche questa

È, come voi sapete,

Mia cura, fui quell'io, che l'introdussi.

Ed egli (ah, ben ha ceffo

Da non portar altra novella) disse:

Padri, s'ai vostri voti

Non rispondon le vittime e gli incensi,

Se sopra i vostri altari

Splende fiamma non pura,

Non vi maravigliate. Impuro ancora

È quel che si commette

Hoggi contra la legge

Ne l'antro d'Ericina.

Una perfida Ninfa

Con l'adultero infame ivi profana

A voi la legge, altrui la fede rompe.

Vengan meco i ministri:

Mostrerò lor di prenderli su'l fatto

Agevolmente il modo.

Alhora (o mente humana,

Come nel tuo destino

Sè tu stupida e cieca)

Respirarono alquanto

Gli afflitti, e buoni padri,

Parendo lor che fosse

Trovata la cagion, che pria sospesi

Gli ebbe à tener nel sacro ufficio infausto;

Onde subitamente il Sacerdote

Al ministro maggior, Nicandro impose,

Che sen gisse col Satiro e cattivi

Conducesse ammendue gli amanti al tempio.

Ond'ei da tutto il choro

De' ministri accompagnato

Per quella obliqua, e tenebrosa via

Ch'avea mostrato il Satiro malvagio,

Tenebrosa ed obliqua,

Si condusse ne l'antro.

La giovane infelice,

Forse da lo splendor de le facelle

D'improvviso assalita e spaventata,

Uscendo fuor d'una riposta cava

Ch'è nel mezzo de l'antro,

Si provò di fuggir, come cred'io,

Verso cotesta uscita, che fù dianzi

Dal troppo accorto Satiro, e sagace

Com'e' ci disse, chiusa.

Cho.

Ed egli, intanto, che facea? Erg. Partissi,

Subito che 'l sentiero

Hebbe scorto à Nicandro.

Non si può dir fratelli,

Quanto rimase ognuno

Stupefatto ed attonito, vedendo

Che quella era la figlia

Di Titiro, la quale

Non fù sì tosto presa,

Che subito v'accorse,

Ma non saprei già dirvi, onde s'uscisse,

L'animoso Mirtillo,

E per ferir Nicandro,

Il dardo ond'era armato,

Impetuoso spinse:

E se giungeva il ferro

Là 've la mano il destinò, Nicandro

Hoggi vivo non fôra.

Ma in quel medesmo punto,

Che drizzò l'uno il colpo,

S'arretrò l'altro. O fosse caso ò fosse

Avvedimento accorto,

Sfuggì il ferro mortale,

Lasciando il petto, che diè luogo, intatto;

E ne l'irsuta spoglia

Non pur finì quel periglioso colpo,

Ma s'intricò, non so dir come, in modo

Che, nol potendo ricovrar, Mirtillo

Restò cattivo anch'egli.

Cho.

E di lui che seguì? Erg. Per altra via

Nel condussero al tempio.

Cho.

E per far che? Erg. Per meglio trar da lui

Di questo fatto il vero. E chi sa? forse

Non merta impunità l'haver tentato

Di por man ne' ministri e 'ncontra loro

La maestà sacerdotale offesa.

Havessi almen potuto

Consolarlo, il meschino

Cho.

E perche non potesti?

Erg.

Perche vieta la legge

Ai ministri minori

Di favellar co' rei.

Per questo sol mi sono

Dilungato dagli altri;

E per altro sentiero

Mi vò condurre al tempio,

E con prieghi e con lagrime devote

Chieder al ciel ch'à più sereno stato

Giri questa oscurissima procella.

À Dio, cari pastori,

Restate in pace, e voi co' prieghi nostri

Accompagnate i vostri.

Cho.

Così farem, poi che per noi fornito

Sarà verso il buon Silvio il nostro à lui

Così devoto officio.

O Dei del sommo cielo,

Deh mostratevi ormai

Con la pietà, non col furore, eterni.

 


 

 




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