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Battista Guarini
Il pastor fido

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SCENA VII

 

Coridone

 

Son ben io stato infin'à quì sospeso

Nel prestar fede à quel che di Corisca

Testè m'hà detto il Satiro, temendo

Non sua favola fosse à danno mio

Così da lui malignamente finta,

Troppo dal ver parendomi lontano,

Che nel medesmo loco ov'ella meco

Esser dovea (se non è falso quello

Che da sua parte mi recò Lisetta),

Sì repentinamente hoggi sia stata

Con l'adultero còlta. Ma, nel vero,

Mi par gran segno e mi perturba assai

La bocca di quest'antro in quella guisa

Ch'egli à punto m'ha detto e che si vede,

Da sì grave petron turata e chiusa.

O Corisca, Corisca i' t'hò sentita

Troppo bene à la mano, che 'incappando

Tu così spesso, alfin ti conveniva

Cader senza relievo. Tanti inganni,

Tante perfidie tue, tante menzogne

Certo dovean di sì mortal caduta

Esser veri presagi à chi non fosse

Stato privo di mente e d'amor cieco.

Buon per me, che tardai; fù gran ventura

Che 'l padre mio mi trattenesse (sciocco),

Quel che mi parve un fiero intoppo alhora;

Che se veniva al tempo che prescritto

Da Lisetta mi fù, certo poteva

Qualche strano incidente hoggi incontrarmi.

Ma che farò? debbi'io, di sdegno armato,

Ricorrer'a gli oltraggi? à le vendette?

No, che troppo l'honoro; anzi, se voglio

Discorrer sanamente, è caso degno

Più tosto di pietà che di vendetta.

Havrai dunque pietà di chi t'inganna?

Ingannata hà se stessa, che, lasciando

Un che con pura fè l'ha sempre amata,

Ad un vil pastorel s'è data in preda,

Vagabondo, e straniero, che domani

Sarà di lei più perfido, e bugiardo.

Che? debb'io dunque vendicar l'oltraggio

Che seco porta la vendetta, e l'ira

Supera sì, che fa pietà lo sdegno?

Pur t'ha schernito, anzi honorato; ed io

Ben ho donde pregiarmi, hor che mi sprezza

Femmina ch'al suo mal sempre s'appiglia

E le leggi non sà nè de l'amare

Nè de l'esser amata, e che 'l men degno

Sempre gradisce e 'l più gentile abhorre.

Ma dimmi, Coridon: se non ti move

Lo sdegno del disprezzo à vendicarti,

Com'esser può che non ti mova almeno

Il dolor de la perdita e del danno?

Non hò perduta lei, che mia non era;

Hò ricovrato me, ch'era d'altrui.

Nè il restar senza femmina sì vana

E sì pronta e sì agile à cangiarsi,

Perdita si può dire. E finalmente

Che cosa hò io perduto? una bellezza

Senza honestate, un volto senza senno,

Un petto senza core, un cor senz'alma,

Un'alma senza fede, un'ombra vana,

Una larva, un cadavero d'Amore,

Che doman sarà fracido e putente.

E questa si dè dir perdita? acquisto

Molto ben caro e fortunato ancora.

Mancheranno le femmine, se manca

Corisca? mancheranno à Coridone

Ninfe di lei più degne e più leggiadre?

Mancherà ben à lei fedele amante

Com'era Coridon, di cui fù indegna.

Hor, se volessi far quel che di lei

M'ha consigliato il Satiro, sò certo

Che la fe' da lei data. Hoggi accusando

Senza alcun fallo, i' la farei morire.

Ma non hò già sì basso cor, che basti

Mobilità di femmina à turbarlo.

Troppo felice ed honorata fôra

La femminil perfidia, se con pena

Di cor virile e con turbar la pace

E la felicità d'alma bennata

S'havesse à vendicar hoggi Corisca

Per me dunque si viva, ò per dir meglio

Per me non moia e per altrui si viva:

Sarà la vita sua vendetta mia.

Viva à l'infamia sua, viva al suo drudo,

Poi ch'è tal, ch'io non l'odio ed hò più tosto

Pietà di lei che gelosia di lui.

 


 

 




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