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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
Silvio
O Dea, che non sè Dea se non di gente
Vana, oziosa e cieca,
Che con impura mente
E con religion stolta e profana
Ti sacra altari, e Tempi.
Ma che tempii diss'io? più tosto asili
D'opre sozze e nefande,
Per honestar la loro
Empia dishonestate
Col titolo famoso
De la tua deitate.
E tu, sordida dea,
Perche le tue vergogne
Ne le vergogne altrui si veggan meno,
Rallenti lor d'ogni lascivia il freno,
Nemica di ragione,
Macchinatrice sol d'opre furtive,
Corruttela de l'alme,
Calamità de gli huomini e del mondo,
Figlia del mar ben degna
E degnamente nata
Di quel perfido mostro,
Che con aura di speme allettatrice
Prima lusinghi e poi
Movi ne' petti humani
Tante fiere procelle
D'impetuosi e torbidi desiri,
Di pianti e di sospiri,
Che madre di tempeste, e di furore
Devria chiamarti il mondo,
E non madre d'Amore:
Ecco in quanta miseria
Tu hai precipitati
Que' due miseri amanti.
Hor và tu, che ti vanti
D'esser onnipotente,
Và tu, perfida Dea; salva, se puoi,
La vita à quella Ninfa,
Che tu, con tue dolcezze
Avvelenate hai pur condotta à morte.
Oh per me fortunato
Quel dì che ti sacrai l'animo casto,
Cintia, mia sola dea,
Santa mia deità, mio vero nume,
E così nume in terra
De l'anime più belle,
Come lume del cielo
Più bel de l'altre stelle.
Quanto son più lodevoli e sicuri
De cari amici tuoi l'opre e gli studi,
Che non son quei de gli infelici servi
Di Venere impudica
Uccidono i Cinghiali i tuoi devoti;
Ma i devoti di lei miseramente
Son dai Cinghiali uccisi.
O arco, mia possanza e mio diletto;
Strali, invitte mie forze;
Hor venga in prova, venga
Quella vana fantasima d'Amore
Con le sue armi effeminate, venga
Al paragon di voi,
Che ferite, e pungete.
Ma che? troppo t'honoro,
Vil pargoletto imbelle;
E, perche tu m'intenda,
Ad alta voce il dico:
La ferza à gastigarti
Sola mi basta. Basta.
Chi sè tu che rispondi?
Eco, ò più tosto Amor, che così d'Eco
Imita il sòno? Sono.
A punto i' ti volea; ma dimmi: certo
Sè tu poi desso? Esso.
Il figlio di colei che per Adone
Già si miseramente ardea? Dea.
Come ti piace, su di quella dea
Concubina di Marte, che le stelle
Di sua lascivia ammorba
E gli elementi? Menti.
Oh, quanto è lieve il cinguettare al vento
Vien' fuori, vien'; nè star ascoso. Oso.
Ed io t'hò per vigliacco. Ma di lei
Sè leggittimo figlio
O pur bastardo? Ardo.
O buon nè figlio di Vulcan per questo
Già ti cred'io. Dio.
E Dio di che? del core immondo? Mondo.
Gnaffe de l'universo?
Vindice sì possente,
E sì severo? Vero.
E quali son le pene
Ch'à tuoi rubelli e contumaci dai
Cotanto amare? Amare.
E di me, che ti sprezzo, che farai,
Se 'l cor più duro hò di diamante? Amante.
Amante me? sè folle
Quando sarà che 'n questo cor pudico
Amor alloggi? Oggi.
Dunque sì tosto s'innamora? Ora.
E qual sarà colei
Che far potrà ch'hoggi l'adori? Dori.
Dorinda forse, ò bambo,
Vuoi dir in tua mozza favella? Ella.
Dorinda, ch'odio più che lupo agnella?
Chi farà forza in questo
Al voler mio? Io.
E come? e con qual'armi? e con qual arco?
Forse col tuo? Col tuo.
Come col mio? vuoi dir quando l'havrai
Con la lascivia tua corrotto? Rotto.
E le mie armi rotte
Mi faran guerra? e romperailo tu? Tu.
Oh, questo sì mi fa veder affatto
Che tu sè ubbriaco.
Và, dormi va' Ma dimmi:
Dove fien queste maraviglie? qui? Quì.
O sciocco ed io mi parto.
Vedi come sè stato hoggi indovino
Pien di vino. Divino.
Ma veggio, ò veder parmi,
Colà, posando in quel cespuglio starsi
Un non sò che di bigio,
Ch'a lupo s'assomiglia.
Ben mi par desso, ed è per certo il lupo.
Oh, come è smisurato, ò per me giorno
Destinato à le prede, ò dea cortese,
Che favori son questi? in un dì solo
Trionfar di due fere?
Ma che tardo, mia Dea?
Ecco, nel nome tuo questa saetta
Scelgo per la più rapida e pungente
Di quante n'habbia la faretra mia.
A te la raccomando:
Levala tu, saettatrice eterna,
Di man de la fortuna e ne la fera
Col tuo nume infallibile la drizza,
A cui fò voto di sacrar la spoglia,
E nel tuo nome scocco.
Oh bellissimo colpo,
Colpo caduto à punto
Dove l'occhio e la man l'ha destinato
Deh, havessi il mio dardo,
Per ispedirlo à un tratto,
Prima che mi s'involi e si rinselvi
Ma, non avendo altr'arme,
Il ferirò con quelle de la terra.
Ben rari sono in questa chiostra i sassi,
Ch'a pena un qui ne trovo.
Ma che vo io cercando
Armi, s'armato sono?
Se quest'altro quadrello
Il va à ferir nel vivo; oime che veggio?
Oime Silvio infelice,
Oime che hai tu fatto?
Hai ferito un pastor sotto la scorza
D'un lupo, ò fiero caso oh caso acerbo,
Da viver sempre misero, e dolente
E mi par di conoscerlo, il meschino;
E Linco è seco, che 'l sostene e regge.
Oh funesta saetta oh voto infausto
E tu che la scorgesti,
E tu che l'esaudisti,
Nume di lei più infausto e più funesto
Io dunque reo de l'altrui sangue? io dunque
Cagion de l'altrui morte? io, che fui dianzi
Per la salute altrui
Sì largo sprezzator de la mia vita,
Sprezzator del mio sangue?
Và, getta l'armi e senza gloria vivi,
Profano cacciator, profano arciero
Ma ecco lo infelice,
Di te però men infelice assai.