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Battista Guarini Il pastor fido IntraText CT - Lettura del testo |
Linco, Silvio, Dorinda
[Lin.] |
Reggiti figlia mia; Reggiti tutta pur su queste braccia, Infelice Dorinda. Sil. oime Dorinda? Son morto. Dor. O Linco, Linco, O mio secondo padre |
Sil. |
È Dorinda per certo; ahi voce ahi vista |
Dor. |
Ben era, Linco, il sostener Dorinda Ufficio à te fatale. Accogliesti i singulti Primi del mio natale; Accorrai tu fors'anco Gli ultimi de la morte, E coteste tue braccia, che pietose, Mi fûr già culla, hor mi saran ferètro. |
Lin. |
Ò figlia, à me più cara Che se figlia mi fussi, io non ti posso Risponder, che 'l dolore Ogni mio detto in lagrime dissolve. |
Sil. |
O terra, che non t'apri e non m'inghiotti? |
Dor. |
Deh ferma il passo, e 'l pianto, Pietosissimo Linco, Che l'un cresce il dolor, l'altro la piaga. |
Sil. |
Ahi che dura mercede Ricevi del tuo amor, misera Ninfa. |
Lin. |
Fà buon animo, figlia, Che la tua piaga non sarà mortale. |
Dor. |
Ma Dorinda mortale Sarà ben tosto morta. Sapessi almen chi m'hà così piagata |
Lin. |
Curiam pur la ferita, e non l'offesa, Che per vendetta mai non sanò piaga. |
Sil. |
Ma che fai quì? che tardi? Soffrirai tu ch'ella ti veggia? havrai Tanto cor, tanta fronte? Fuggi la pena meritata, Silvio, Di quella vista ultrice; Fuggi il giusto coltel de la sua voce. Ah che non posso; e non sò come ò quale Necessità fatale A forza mi ritegna e mi sospinga Più verso quel che più fuggir devrei. |
Dor. |
Così dunque debb'io Morir senza saper chi mi dà morte? |
Lin. |
Silvio t'ha dato morte. |
Dor. |
Silvio? oime che ne sai? |
Lin. |
Riconosco il suo strale. |
Dor. |
Ò dolce uscir di vita, Se Silvio m'ha ferita |
Lin. |
Eccolo à punto in atto Ed in sembiante tal, che da se stesso Par che s'accusi. Hor sia lodato il cielo, Silvio, che sè pur ito Dimenandoti sì per queste selve Con cotesto tuo arco E cotesti tuoi strali onnipotenti, Ch'un colpo hai fatto da maestro, dimmi, Tu che vivi da Silvio e non da Linco: Questo colpo, che fatto hai sì leggiadro, È fors'egli da Linco, io pur da Silvio? O fanciul troppo savio, Havessi tu creduto A questo pazzo vecchio Rispondimi, infelice: Qual vita fia la tua, se costei more? So ben che tu dirai Ch'errasti e di ferir credesti un lupo, Quasi non sia tua colpa il saettare Da fanciul vagabondo, e non curante, Senza veder s'huomo saetti ò fera. Qual caprar per tua vita, ò qual bifolco Non vedesti coperto Di così fatte spoglie eh, Silvio, Silvio Chi coglie acerbo il senno, Maturo sempre ha d'ignoranza il frutto. Credi tu garzon vano, Che questo caso à caso hoggi ti sia Così incontratto? ò come credi male Senza nume divin, questi accidenti Sì mostruosi, e novi Non avvengono à gli huomini, non vedi Che 'l cielo è fastidito Di cotesto tuo tanto Fastoso, insopportabile disprezzo D'amor, del mondo e d'ogn'affetto humano? Non piace à i sommi Dei L'haver compagni in terra, Nè piace lor ne la virtute ancora Tanta alterezza. Hor tu sè muto sì, Ch'eri pur dianzi intollerabil tanto? |
Dor. |
Silvio, lascia dir Linco, Ch'egli non sà quale in virtù d'Amore, Tu habbi signoria sovra Dorinda E di vita e di morte. Se tu mi saettasti, Quel ch'è tuo saettasti, E feristi quel segno Ch'è proprio del tuo strale. Quelle mani, à ferirmi, Han seguìto lo stil de' tuo' begli occhi. Ecco, Silvio, colei ch'in odio hai tanto, Eccola in quella guisa Che la volevi à punto. Bramastila ferir, ferita l'hai, Bramastila tua preda, eccola preda, Bramastila alfin morta; eccola à morte; Che vuoi più tu da lei? che ti può dare Più di questo Dorinda? ah garzon crudo Ah cor senza pietà Tu non credesti La piaga che per te mi fece Amore: Puoi questa hor tu negar de la tua mano? Non hai creduto il sangue Ch'i' versava da gli occhi: Crederai questo, che 'l mio fianco versa? Ma, se con la pietà non è in te spenta Gentilezza e valor, che teco nacque, Non mi negar, ti prego, (anima cruda sì, ma però bella,) Non mi negar à l'ultimo sospiro Un tuo solo sospir; beata morte, Se l'addolcissi tu con questa sola Voce cortese e pia: Và in pace, anima mia |
Sil. |
Dorinda, ah dirò mia se mia non sei Se non quando ti perdo? e quando morte Da me ricevi, e mia non fosti alhora Ch'i' ti potei dar vita? Pur mia dirò, che mia Sarai mal grado di mia dura sorte; E, se mia non sarai con la tua vita, Sarai con la mia morte: Tutto quel ch'in me vedi, A vendicarti è pronto. Con quest'armi t'ancisi, E tu con queste ancor m'anciderai. Ti fui crudele, ed io Altro da te che crudeltà non bramo. Ti disprezzai superbo: Ecco, piegando le ginocchia à terra, Riverente t'adoro E ti cheggio perdon, ma non già vita. Ecco gli strali e l'arco; Ma non ferir già tu gli occhi ò le mani, Colpevoli ministri D'innocente voler; ferisci il petto, Ferisci questo mostro, Di pietate e d'Amor aspro nemico; Ferisci questo cor che ti fù crudo: Eccoti il petto ignudo. |
Dor. |
Ferir quel petto, Silvio? Non bisognava agli occhi miei scovrirlo, S'havevi pur desio ch'io tel ferissi. O bellissimo scoglio, Già da l'onda, e dal vento De le lagrime mie, de' miei sospiri Sì spesso in van percosso, È pur ver che tu spiri E che senti pietateò pur m'inganno? Ma sij tu pure ò petto molle ò marmo, Già non vò, che m'inganni D'un candido alabastro il bel sembiante, Come quel d'una fera Hoggi ingannato hà il tuo signore, e mio. Ferir io te? te pur ferisca Amore: Che vendetta maggiore Non sò bramar che di vederti amante. Sia benedetto il dì che da prima arsi Benedette le lagrime e i martìri Di voi lodar, non vendicar, mi voglio. Ma tu, Silvio cortese, Che t'inchini à colei Di cui tu signor sei, Deh non istar in atto Di servo, ò se pur servo Di Dorinda esser vuoi, Ergiti à i cenni suoi. Questo sia di tua fede il primo pegno; Il secondo, che vivi. Sia pur di me quel che nel cielo è scritto; In te vivrà il cor mio, Nè pur che vivi tu morir poss'io. E, se 'ngiusto ti par ch'hoggi impunita Resti la mia ferita, Chi la fe' si punisca: Fella quell'arco, e sol quell'arco pera: Sovra quell'homicida Cada la pena, ed egli sol s'ancida. |
Lin. |
Oh sentenza giustissima e cortese |
Sil. |
E così fia, tu dunque La pena pagherai, legno funesto; E, perche tu de l'altrui vita il filo Mai più non rompa, ecco te rompo e snervo, E, qual fosti à la selva, Ti rendo inutil tronco. E voi, strali di lui, che 'l fianco aperse De la mia cara donna, e per natura, E per malvagità forse fratelli, Non rimarrete interi, Non più strali, ò quadrella, Ma verghe invan pennute, in vano armate, Ferri tarpati, e disarmati vanni. Ben mel dicesti, Amor, tra quelle frondi In suon d'Echo indovina. O nume, domator d'huomini e Dei, Già nemico, hor signore Di tutti i pensier miei; Se la tua gloria stimi D'haver domato un cor superbo, e duro, Difendimi, ti prego, Da l'empio stral di morte, Che con un colpo solo Anciderà Dorinda e con Dorinda Silvio, da te pur vinto: |
Lin. |
Così Morte crudel, se costei more, Trionferà del trionfante Amore. Così feriti ambiduo sete; ò piaghe E fortunate, e care, Ma senza fine amare, Se questa di Dorinda hoggi non sana Dunque andiamo à sanarla. |
Dor. |
Deh Linco mio non mi condur ti prego, Con queste spoglie à le paterne case. |
Sil. |
Tu dunque in altro albergo, Dorinda, poserai che 'n quel di Silvio? Certo ne le mie case, O viva ò morta, hoggi sarai mia sposa; E teco sarà Silvio ò vivo ò morto. |
Lin. |
E come à tempo, hor ch'Amarilli ha spento E le nozze e la vita e l'honestate O coppia benedetta, ò sommi Dei, Date con una sola Salute à duo la vita. |
Dor. |
Silvio, come son lassa, à pena posso Reggermi, oime su questo fianco offeso. |
Sil. |
Stà di buon cor, ch'à questo Si troverà rimedio, à noi sarai Tu cara soma e noi à te sostegno. Linco, dammi la mano. Lin. Eccola pronta. |
Sil. |
Tienla ben ferma, e del tuo braccio, e mio A lei si faccia seggio; Tu, Dorinda, qui posa; E quinci col tuo destro Braccio il collo di Linco, e quindi il mio Cingi col tuo sinistro; e sì t'adatta Soavemente che 'l ferito fianco Non se ne dolga. Dor. Ahi, punta Crudel che mi trafigge. Sil. A tuo bell'agio Accónciati, ben mio. |
Dor. |
Hor mi par di star bene. |
Sil. |
Linco, va' col piè fermo. Lin. E tu col braccio Non vacillar; ma va' diritto e sodo, Che ti bisogna, sai? questo è ben altro Trionfar che d'un teschio. |
Sil. |
Dimmi, Dorinda mia: come ti pugne Forte lo stral? Dor. Mi pugne, sì, cor mio Ma nelle braccia tue L'esser punta m'è caro e 'l morir dolce. |
CHORO |
Oh bella età de l'oro, Quand'era cibo il latte Del pargoletto mondo e culla il bosco; E i cari parti loro Godean le greggi intatte, Nè temea il mondo ancor ferro nè tosco Pensier torbido e fosco Alhor non facea velo Al sol di luce eterna. Hor la ragion, che verna Tra le nubi del senso, ha chiuso il cielo, Ond'è ch'il peregrino Va l'altrui terra, e 'l mar turbando il pino. Quel suon fastoso, e vano, Quell'inutil soggetto Di lusinghe, di titoli, e d'inganno, C'honor dal volgo insano Indegnamente è detto Non era ancor degli animi tiranno. Ma sostener affanno Per le vere dolcezze; Tra i boschi e tra le gregge La fede haver per legge, Fù di quell'alme, al ben oprar avvezze Cura d'honor felice, Cui dettava honestà: Piaccia, se lice Alhor tra prati e linfe Gli scherzi, e le carole, Di legittimo amor furon le faci: Havean pastori, e ninfe Il cor ne le parole: Dava lor Imeneo le gioie, e i baci Più dolci, e più tenaci. Un sol godeva ignude D'Amor le vive rose: Furtivo amante ascose Le trovò sempre, ed aspre voglie e crude, O in antro ò in selva ò in lago, Ed era un nome sol marito, e vago. Secol rio, che velasti Co' tuoi sozzi diletti Il bel de l'alma; ed à nudrir la sete Dei desiri insegnasti Co' sembianti ristretti, Sfrenando poi l'impurità segrete Così, qual tesa rete Tra fiori, e fronde sparte, Celi pensier lascivi Con atti santi e schivi; Bontà stimi il parer, la vita un'arte; Nè curi (e parti honore) Che furto sia, pur che s'asconda, amore. Ma tu, de'spirti egregi Forma ne' petti nostri, Verace Honor, de le grand'alme donno. O regnator de' Regi, Deh torna in questi chiostri, Che senza te beati esser non ponno. Dèstin dal mortal sonno Tuoi stimoli potenti Chi per indegna e bassa Voglia seguir, te lassa, E lassa il pregio de l'antiche genti. Speriam, che 'l mal fa tregua Talhor, se speme in noi non si dilegua. Speriam, che 'l sol cadente anco rinasce, E 'l ciel, quando men luce, L'aspettato seren spesso n'adduce. |