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Giorgio Cicogna
I ciechi e le stelle

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I DUE RESOCONTI

 

Professore, — mi disse Rovalla avanzandosi con una gala di striscie bianche tra le due braccia — se vuol esaminare questi diagrammi, e confrontarli con quelli d'ieri...

Sciorinammo sulla gran tavola dell'aula le liste, accostandone i lembi e facendo corrispondere tra di loro gli inizi delle registrazioni; poi ci immergemmo nell'osservazione.

Da qualche giorno l'oscillografo della Sezione Misure presentava anomalie di funzionamento altrettanto bizzarre quanto inesplicabili. Di quando in quando gli specchietti delle coppie galvanometriche sembravano presi dal delirium tremens. Senza alcuna ragione al mondo, si mettevano spontaneamente in oscillazione per la durata di cinque, dieci, persino venti minuti. Il fenomeno ci aveva indotti a smontare l'apparecchio per verificarne accuratamente i delicati organi interni. Tutto era stato trovato in ordine; ma, riprese le misurazioni, erano ricominciati i disturbi.

Pensando che la causa perturbatrice si nascondesse in qualche macchinario dell'officina, avevamo deciso di eseguire qualche prova di controllo durante la notte. Ma benchè lo stabilimento fosse deserto ed i laboratori chiusi, i risultati non erano cambiati. Le striscie di carta sensibile presentavano tre veri e proprii oscillogrammi, identici a quelli apparsi nei giorni precedenti. Per di più altri strumenti rivelatori, situati da me per controllo accanto all'oscillografo, avevano confermato lo stabilirsi di un misterioso «campo magnetico».

— Il che significaconclusi — che qui dentro, vicino a me ed a te, caro Rovalla, c'è qualcuno, o qualche cosa che lo produce.

— Se non sono spiriti, professorerispose Rovalla sorridendotroveremo bene chi è!

 

Del Direttore della Casa di cui faccio parte avevo un'idea errata. Lo ritenevo uno di quei capitani d'industria energici, freddi, aridi, il cui tipo ci è venuto dall'America e che sembrano i soli uomini idonei a sopportare il peso di una grande azienda. Gli avvenimenti me lo dovevano mostrare sotto una luce ben diversa.

La faccenda degli oscillogrammi misteriosi, che si ripetevano con una frequenza preoccupante, prima lo interessò, poi finì con l'ossessionarlo. L'uomo d'affari, avvezzo a regolare la sua vita sui listini del cambio e sulle quotazioni di borsa, s'aprì come una scorza; e dallo spacco uscì l'alburno dell'uomo; di un Manlio Ruschi che non sospettavo; inseguitore di chimere e di trascendenze quanto nella vita pratica si dimostrava inaccessibile a ciò che non fosse concreta realtà. Dal giorno in cui, durante una riunione tenutasi per riesaminare e confrontare le striscie misteriose, Rovalla, battendosi improvvisamente la fronte aveva esclamato: — Ma questo è un alfabeto! — gli enigmatici documenti fotografici occuparono il primo piano della sua coscienza, non gli dettero più pace, tregua. Persuaso che fossero manifestazioni di un invisibile al di , volle che a lui solo fosse riserbato il privilegio di raccoglierli; che non se ne parlasse ad alcuno; si accinse con tutta la tenacia che gli era propria a cercare la chiave che gli avrebbe permesso di decifrarli; e si rinchiuse per lunghe notti nel laboratorio, costringendo spesso anche me a tenergli compagnia.

Io non sono, lo confesso, un metafisico un metapsichico, un meta in generale. Tutto ciò che va al di dei comuni mezzi d'osservazione non produce, io credo, in chi vi si dedica, che una perniciosa sovraeccitazione della fantasia. Ho conosciuto molti di codesti sparuti rincorritori di fantasmi e non uno mi è sembrato degno d'esser preso in seria considerazione; tuttavia, con la stessa lealtà, debbo dichiarare che, dopo dieci giorni di prove, controprove, esperienze e discussioni, i fenomeni di cui si trattava si erano mirabilmente arricchiti di misteriosità.

Determinata esattamente la sfera d'azione della forza che produceva il campo magnetico, avevamo riscontrato che essa non aveva più di due metri di diametro.

— Dunque concludeva Ruschi — non si tratta di una energia in arrivo da un punto lontano, ma di una energia che viene emanata sul posto, ed ha un piccolissimo raggio d'azione. Dunque, poichè le oscillazioni hanno luogo anche se tutti noi stiamo lontani dall'apparecchio, non può essere uno di noi a servire di tramite, sia pure inconscio, medianico, di questa forza; dunque c'è qui un ente invisibile, capace di sprigionare un campo magnetico, di modulare questo campo secondo un cifrario che ancora ci sfugge, e per di più capace di spostarsi, per raggiungere l'oscillografo o gli altri strumenti quando noi li spostiamo. Dunque...

Tac! — l'ancoretta del solenoide di una macchina di Atwood ch'era in un angolo del laboratorio, scattò, e il piccolo peso, che serve a misurare l'accelerazione della gravità, liberato, trascinando con se i rotismi del meccanismo, con un fruscio che nell'improvviso silenzio parve un frullo d'ali, precipitò fino a rimbalzare sulla lastra del basamento.

Datemi oracontinuò Ruschi, asciugandosi il sudore freddo che gli aveva imperlata la fronte — un'altra spiegazione, se lo potete.

 

Quella sera rincasai tardi. Non avevo sonno. La blanda notte d'aprile, invece che calmarmi i nervi, aveva acuito in me, lungo il tragitto fra il laboratorio e la mia casa, la sovraeccitazione a cui ero in preda. Gli uomini come me, positivi, materialisti, quando si trovano di fronte all'ignoto, si proteggono con il loro naturale scetticismo. Horrescunt abyssum e se ne difendono con l'incredulità, con l'ironia, persino con una certa istintiva ottusità dei sensi e del cervello. Ad un certo momento, quando non reggono più, cedono bruscamente; l'abisso li inghiotte, diventano gusci di noce nella tempesta. Temevo che stesse per accadermi qualche cosa di simile. Avevo un bel cercar di sfrondare gli avvenimenti da tutto ciò che poteva aver contribuito a rappresentarmeli in uno scenario di soprannaturalità: la penombra del laboratorio, la suggestione del silenzio, l'immaterialità di una forza come è il magnetismo... Magnetismo! Valeva la pena che Maxwell e Oersted e gli altri ci avessero lasciata un'eredità di nozioni, di leggi, di formule, perchè tutta la nostra oggettività di studiosi dovesse cadere così, al primo urto di un imprevisto...

Messaggi! Che cosa andava fantasticando quel pazzo di Rovalla di messaggi? Che cosa sognava quell'altro demente di Ruschi? Per qualche oscillogr...

Mi mancò a un tratto il respiro. Salendo le scale, m'era parso di vedere come un'ombra sul pianerottolo del piano superiore. Il sangue, riprendendo violento la circolazione sospesa per un attimo, mi accese le gote, mi fece impeto nel cervello. Sentendo che perdevo il controllo di me stesso, mi misi a salire i gradini di corsa. Nulla. Mi facevo rabbia e sdegno. Volsi rumorosamente la chiave nella toppa del mio uscio e lo richiusi dietro di me con forza. Rimasi al buio, e devo dirlo, devo confessarlo, per trovare l'interruttore della luce elettrica, cui di solito la mia mano correva senza incertezza, annaspai un pezzo quasi convulsamente. Finalmente lo trovai. Scaraventai lontano un fascio dei maledetti diagrammi che avevo in tasca; mi spogliai in fretta, mi cacciai nel letto e mi accinsi a dormire.

 

Per calmare i nervi ed addormentarsi, quando si è turbati, giova stendersi supini, le gambe distese, le mani incrociate sul plesso solare, come i morti. Alla simmetria delle membra corrisponde una certa pace del pensiero. I buddisti che si immergono in contemplazione, i mussulmani che curvano la schiena protendendo le braccia, i cristiani che, inginocchiati, le giungono in atto di preghiera, osservano questa regola. Messomi così in una posizione di assoluto riposo cercai di far tacere i miei pensieri e specialmente quella pazza fantasia che voleva trascinarmi nei regni dell'assurdo.

Dopo dieci minuti di questo esercizio, credetti di sentirmi meglio. Alzai le braccia e le incrociai sopra il capo, attendendo che il sonno venisse a gettare il suo olio sulla piccola tempesta. Ma poco dopo mi assalse una specie di irrigidimento, come se tutte le membra mi si stiracchiassero involontariamente. Ero ancora perfettamente desto. Mi resi conto di quello che accadeva, ma siccome non era una sensazione sgradevole, sulle prime non reagii. Lo stiracchiamento divenne tensione spasmodica pur senza che un solo muscolo del mio corpo si contraesse. Ebbi l'impressione che ogni più piccolo vaso sanguigno, specialmente del cervello, mi si inturgidisse, si congestionasse, stesse per iscoppiare. Il pensiero, lucidissimo, corse subito ai pericoli di un travasamento. Sentivo che sarebbe bastato muovermi per far cessare tutto. Feci per mettermi seduto, per alzare le braccia, per muovermi, per respirare. Impossibile. Ero di marmo.

Passai un momento d'angoscia terribile. Mi vidi paralizzato, in preda alla morte per asfissia, per congestione cerebrale, per paralisi cardiaca, per tutte le cause che mi poterono venire in mente. Il senso di annichilimento aumentò, raggiunse un parossismo che mi fece desiderar la morte immediata, diminuì, si dileguò come d'incanto. Balzai a sedere sul letto, respirando a pieni polmoni come per assaporare la vita che mi era sembrata sfuggire. Accesi la lampada sopra il letto, e presi macchinalmente un libro per divagarmi, per ingannare me stesso ed il mio spavento; l'avevo appena aperto che una nuova causa di terrore venne ad agghiacciarmi il sangue nelle vene. Nel corridoio la suoneria, come toccata da una mano leggera, s'era messa adagio a tintinnare.

 

Non credo agli spiriti, non credo ai folletti, non credo alle stregonerie! Un imbecille, l'ombra intravista sulle scale, s'era introdotto certo nel mio appartamento, si divertiva a rappresentare quella commedia. Afferrai, in preda all'ira, la rivoltella; accesi tutte le lampade, uscii nel corridoio, spalancai le porte, rovistai ogni angolo della casa. La paura s'era convertita in furore. Ero deciso a sparare, e non in aria. Lo «spirito» colla goffa trovata dei campanelli che suonano da soli s'era tradito. Gli spiriti, se ve ne sono, hanno altro da fare che queste sciocchezze. Avrei sparato, per legittima difesa, con perfetta ragione, per un sacrosanto diritto di vivere in pace. Sì, ma contro chi? Contro il campanello che, ammutolito subito, stava lassù a guardarmi con quell'aria di perfetta innocenza? Non v'era assolutamente nessuno in casa. Il mio appartamento non ha nascondigli; e le porte degli armadi cigolano così forte che nessuno vi si potrebbe introdurre di nascosto. Mi ritrovai nella mia stanza accanto al mio letto, stringendo in pugno l'inutile arma, più sconvolto e più adirato di prima. Ma non volevo cedere. E rimasi sulla poltrona, dove m'ero gettato, vigile, con gli orecchi intenti e gli occhi sbarrati, pronto a far fuoco.

Fino all'alba. Inutilmente.

 

L'indomani era domenica e le officine erano chiuse. Mi recai a casa del direttore. Lo trovai a letto, febbricitante. Rovalla, giunto prima di me, era al suo capezzale. Non vi fu bisogno di molte spiegazioni. Con uno sguardo compresi tutto. Non ero stato la sola vittima dello «spirito».

— Verso le due — narrò Ruschisvegliatomi di soprassalto, udii distintamente le finestre della mia stanza tintinnare a più riprese. Tesi l'orecchio per sentire se stesse passando nella strada qualche veicolo. Nulla. O è il terremoto, pensai, o sono in preda ad una allucinazione. Ma l'acqua nelle bottiglie era immobile; i filamenti incandescenti nelle ampolle delle lampade non tremavano. Non era il terremoto, non era il vento; a che cosa pensare? Lo sguardo mi cadde su uno degli oscillogrammi di ieri, che stava spiegato su un tavolo. Sapete che di lontano non si distinguono bene le linee delle singole onde, ma si vedono chiari i gruppi che esse formano. Il caso vuole che nel momento in cui percepisco il primo di questi treni d'onde, mi giunga all'orecchio l'inizio di uno dei tintinnamenti misteriosi. Non occorre altro. Mentre seguo con l'occhio l'andamento del diagramma, ascolto l'altalena dei suoni. Identici. Perfettamente corrispondenti. Tanti intervalli, tanti gruppi, tanti intervalli e gruppi nei tremolii dei vetri. Mi precipito alla finestra; palpo con le dita il cristallo, mi sembra di intravedere un'ombra. Confesso che non ho avuto il coraggio di aprire. Mi sono messo a letto. A letto mi ha colto un attacco nervoso, ed ora ho ancora un po' di febbre.

— Un attacco nervoso? — esclamai — come se tutto il sangue le rifluisse dal cuore alla periferia?

— Sì.

— Come se la testa le si congestionasse fino a scoppiare?

— Sì, ma...

Accompagnato poi da un senso di paralisi assoluta, con la sensazione di morire...

Per farla breve, confrontato ciò che ci era accaduto durante quella straordinaria notte, constatammo che la parte soggettiva, ossia quella riferentesi alle sensazioni provate, era stata identica. Diverse erano state invece le manifestazioni esterne; io avevo udito vibrare una suoneria, Ruschi tintinnare dei vetri, e Rovalla...

Rovalla diceva d'aver notato alcune stranissime perturbazioni del filo d'acqua che da un certo rubinetto colava di solito senza rumore in un sottostante bacile; ma che, vibrando, produceva dei suoni simili allo sgranarsi di una collana su un pavimento di legno.

È noto che basta perturbare in misura anche lievissima una vena fluida per ricavarne in speciali circostanze, rumori considerevoli, tanto che su questo principio si basa un microfono a liquido. Ad un tratto uno spiraglio di luce si fece nelle tenebre della mia mente. Mi balenò un pensiero che per mi sembrò degno dell'acume di Sherlok Holmes.

— Potrebbe dirmi, direttorechiesi a bruciapelo — quale di questi vetri tintinnasse?

— Quelli della finestra accanto a lei; per esser più precisi, anzi, la terza coppia a cominciare dal basso.

— È ben certo che tintinnassero tutti e due insieme?

Sicuro no. Quando ho messo la mano su di essi le vibrazioni erano cessate.

— Questo bollo di gomma era dove si trova ora? — aggiunsi indicando una di quelle piccole ventose munite di gancio che si fanno aderire alle superfici piane per sospendere piccoli oggetti e che era attaccata appunto ad uno dei vetri indicati.

— Sì.

— Posso staccarlo un momento?

— Certo; ma perchè quest'interrogatorio?

— Per pura curiosità, signor Direttore. E vorrei sapere da lei, Rovalla, a che ora precisa siano accaduti i fatti che ha raccontati.

— Verso l'alba, professore. Tanto che io, un po' per l'impressione provata, un po' per cercare di rendermi ragione di un fatto così curioso, non mi sono più rimesso a letto.

Mentre stavo per trarne le conclusioni più lusinghiere per la mia perspicacia, vidi, o mi parve di vedere, Rovalla in atto di spostare col piede, senza parere, un oggetto ch'era sotto il letto. Trovai un pretesto per chinarmi; potei vederlo; era un piccolo elettromagnete.

 

— Mio caro professoredisse Ruschi; — non m'illudo io certo di convincerla. Per voi non spiritisti, anzi, dirò meglio, per voi negatori a priori ed a qualunque costo di ogni fenomeno che possa rientrare in questa grande categoria di fatti inesplicati, non c'è eloquenza che valga. Non le farò il torto di riferirle tutti gli argomenti che sono stati addotti da uomini superiori ad ogni sospetto in favore della tesi che le ripugna. Ogni persona colta conosce i libri, gli opuscoli, la letteratura esistente sull'argomento, o per lo meno ne ha sentito parlare. Ogni persona colta conosce i nomi dei fautori, degli studiosi, dei protagonisti dello spiritismo, da Apollonio di Tiana a Conan Doyle. Non le farò questo torto perchè so, creda — e sorrise — pur nella mia «cecità intellettuale», come ella chiama dentro di il mio modo di vedere, che l'ostacolo che ci separa e ci vieta ogni terreno d'intesa non è nei fatti, ma è nella nostra diversa forma intellettuale. Quello che ci divide è una disposizione fondamentale dello spirito. Il mio, nella sua apparente aridità (io sono creduto un freddo costruttore di ricchezza) è disposto all'accettazione; salvo il diritto, poi, di critica; il suo non può e non vuol giungere all'accettazione se non dopo ed attraverso la critica. Sono atteggiamenti che fanno parte della propria persona tanto strettamente quanto strettamente alla mia persona corrisponde il mio volto, ed alla sua il suo. Ci possiamo noi scambiare il volto? Così non ci possiamo scambiare, io penso, questo atteggiamento-base. Atteggiamento-base che divide gli uomini in due categorie. Io le immagino raggruppate sotto due bandiere. Sull'una è scritto «Può essere». Sull'altra: «Non può essere». Ciascuna delle due schiere ha la sua parte di ragione, checchè, avvicendandosi, provino alternativamente i fatti (ed esistono poi prove dei fatti?). Dalla sua escono, in linea di massima, gli uomini d'azione; dalla mia, salvo qualche eccezione, io, per esempio, i contemplativi. Gli uni assaltano l'ignoto dal particolare; vogliono giungere alla sintesi attraverso l'analisi. Gli altri seguono la via opposta; e sforzandosi di abbracciare tutti gli orizzonti sono inclini a cercare nei fatti soltanto la controprova di ciò che presuppongono. Oh non m'interrompa! Le sue obiezioni le so, professore. A noi sono riservate le più amare delusioni e le più cocenti smentite. Lei vuol dir questo? Oh, sì! E lei, professore di elettrotecnica, ne sa, dell'origine e dell'essenza del «fluido» elettrico più di quanto ne sappia io di quella del «fluido» medianico?

— Il «fluido» elettricorisposi non potendo più contenermi — è di natura sconosciuta; ma se ne conoscono le leggi. Il fluido medianico è una pura astrazione.

— Che si pesa, si registra, si misura! Che, se non erro, le del filo da torcere, torcendo i fili degli specchietti dei galvanometri! Ha qualche teoria sua che spieghi in modo soddisfacente i fatti di questi giorni? Avanti. Io ascolto.

Direttoredissi io cercando di mantenermi calmo, ma con una gran voglia di prorompere — io non sono tanto chiuso alle sue concezioni quanto lei immagina. Anch'io accetterei il suo punto di vista se una volta sola, se per un momento solo, potessi sospettare che qualche cosa esista all'infuori della nostra sfera percettiva. Il caso di cui ci occupiamo in questo momento non è effetto di cause soprannaturali, ma dello stupido capriccio di un uomo!

— Eh? Che cosa dice?

— Se ella vuole avere la bontà di sdraiarsi su quel divano, mi permetterò di riprodurre per lei il cosiddetto «attacco nervoso» che abbiamo sofferto l'altra sera.

— Ma, professore...

— Un trucco, direttore, un volgarissimo trucco. Il Sig. Rovalla, per quali ragioni non so davvero, si è voluto divertire alle nostre spalle. Il Sig. Rovalla ha costruito un minuscolo apparecchio elettromagnetico che può nascondere, per le sue dimensioni, sotto gli abiti. Il Sig. Rovalla col semplice scatto di una molla, fa agire un congegno di orologeria che distribuisce, per mezzo di un piccolo rullo, una corrente alternata ad un elettromagnete. Avvicinato ad un oscillografo, questo apparechio può farne oscillare gli specchietti e permettere la registrazione del «messaggio» preventivamente preparato sul rullo. Applicato ai fili di una suoneria questo sciocco giocattolo può farla trillare anche attraverso una porta chiusa. Accostato ad una lastra di vetro a cui sia fissato un dischetto di gomma provvisto di un'appendice di ferro, questo apparecchio da fanciulli può far vibrare il vetro nel solito modo. Infine, avvicinato a certi centri nervosi può produrre quelle sensazioni che ci hanno tanto spaventati.

Il Sig. Rovalla ha giocato il suo allegro tiro prima a me e poi a lei; indi, per dissipare i sospetti, ha inventato la storiella del disturbo sofferto e dell'acquedotto musicale; infine, fatta la pentola, ha dimenticato il coperchio; e nella sua stanza, sotto il letto, ha lasciato il corpo del delitto. Eccolo qui. Questo è il piccolo elettromagnete di cui il Sig. Rovalla si è servito e per mezzo del quale potremo smascherarlo. Perchè le prove siano irrefutabili io La prego di sottoporsi a questo esperimento, che ho già fatto su me stesso iersera. Poichè le vibrazioni producono una momentanea paralisi, io arresterò la prova appena mi accorgerò che lei avrà cessato di respirare.

Feci concitatamente il mio discorso, infervorandomi via via, e battendo su quei: Il Sig. Rovalla... con un crescendo di grande effetto. E mentre finivo la mia brillante requisitoria aiutavo il direttore a sdraiarsi; lo accomodavo sul divano, gli applicavo l'elettromagnete in corrispondenza della prima vertebra, a circa dieci centimetri di distanza. Poi mentr'egli, sbalordito, senza opporre resistenza, eseguiva docilmente, lanciai corrente nel vibratore.

Ora comincierà a sentirsi un formicolioavvertii — Ecco. Un momento ancora. Stia inerte col pensiero come se dormisse. Così. Con le membra rilassate, mi raccomando. Ecco. Ora, precisamente... ... così...

Ebbi un bel dire: «Ecco», e: «»... Ebbi un bel ripetere la prova, aumentando la tensione d'alimentazione fino a riscaldare l'elettromagnete. Il direttore non sentì proprio niente. E quando, pieno di disappunto e di rabbia per la mancata conclusione, volli rifare la prova su me stesso, mi confessò, ridendo, che l'elettromagnete era suo.

 

La mia sconfitta fu molto più amara di così.

Il Sig. Rovalla, a cui avevo attribuita la paternità del creduto scherzo, la notte successiva cadeva in deliquio. Trovato all'alba a piedi del letto, come in catalessi, non rinveniva che dopo quattordici ore; e rinveniva pazzo.

Costernati, il Direttore ed io assistemmo al suo trasporto in una clinica. Lo spettacolo di quegli occhi che guardavano senza vedere, di quella bocca che s'apriva per emettere sillabe senza senso, suoni inarticolati, grida rauche e convulse! Povero Rovalla! Ed io che l'avevo calunniato, io che per la stupida vanità di risolvere un problema di giorno in giorno più tremendo, avevo con tanta leggerezza gettato su di lui un'accusa così sciocca!

Eccolo ora, nel bianco letto, nella squallida lattea stanza di una casa di salute. In piedi, nell'inerte atteggiamento di chi nulla può tentare, nulla sperare, lo guardavamo col cuore stretto da un'angoscia che andava più in del dolore. Sentivamo d'esser legati alla sua orribile sorte da un filo che la mostruosità di una forza ignota aveva ordito, senza un perchè; e sotto la pietà che provavamo per quella giovinezza perduta, ferveva un terrore che non ci confessavamo, simile a quello che si prova in conspetto della morte, ma più intenso, perchè più immediato era il pericolo, il sordo, oscuro, indefinibile pericolo che pesava ormai sulla nostra vita.

Le labbra del demente si schiusero. Ne uscì prima un suono confuso, un mormorio indistinto; poi le sillabe cominciarono a prender forma, a sgranarsi, ad incidersi l'una dopo l'altra nel silenzio; e con raccapriccio, impietriti, riconoscemmo nelle indistinguibili parole un ritmo; il ritmo maledetto; l'implacabile ritmo degli oscillogrammi, fino alle tre ultime battute, fino ai tre gruppi finali che il folle pronunziò interi, staccati, chiarissimi, a gran voce Néhe! Néhe! Néhe!

(La narrazione del prof. Ennio Vinchi, libero docente di fisica industriale e capo della Sezione Misure del Laboratorio elettrico dalla società***, si arresta qui.

Il prof. Vinchi è morto la sera successiva a quella cui si riferiscono le ultime parole del racconto sopra riportato. I medici hanno attribuita la morte a paralisi cardiaca.

Il Sig. Rovalla è tuttora ricoverato in un manicomio, dove viene curato amorosamente, con l'assistenza assidua e fraterna del Sig. Ruschi.

Questi si è potuto salvare in parte grazie alla forte fibra che gli ha permesso di superare lo sconvolgimento subito, ed in parte grazie all'immediata cessazione degli inesplicabili fenomeni sui quali forse getterà qualche luce il seguente secondo resoconto).

 

II.

 

... Staccatomi dal terzo anello nell'istante segnalatomi con la sigla convenuta, ho compiuta la prima parte del mio tragitto in modo piuttosto movimentato e con qualche irregolarità. Per tutto lo spessore della zona radiante ho dovuto superare numerose e continue interferenze di vibrazioni che hanno alquanto ostacolato la mia marcia lungo l'onda portante principale.

Non saprei a che cosa attribuire queste onde perturbatrici. Forse qualche centro organico del Sud Néhe, non avvertito della mia impresa, eseguiva prove di radiazione con qualche altro pianeta; se pure non si tratti di onde di scarica tra gli anelli. Comunque, appena raggiunta la zona azoica, ogni disturbo è improvvisamente cessato; l'accelerazione ha potuto raggiungere il suo valore di regime senza il più piccolo senso di reazione da parte mia.

Da questo momento il mio viaggio è stato delizioso. Sentivo di correre sull'onda portante con assoluta regolarità. L'affievolimento graduale dell'attrazione magnetica di Néhe compensava esattamente quello dell'energia dell'onda portante. Mi sentivo nello spazio in perfetto equilibrio organico. Nessuna sensazione di velocità accompagnava il mio cammino. Non ebbi bisogno di ricorrere alla paralisi intellettiva se non durante le ore strettamente indispensabili. Un senso di benessere indescrivibile mi attraversava ritmicamente, pervadendomi all'unisono con le pulsazioni magnetiche. Non rimpiangevo menomamente la cellula-recipiente lasciata sul terzo anello e mi divertivo anzi a pensare al pellegrinaggio di cui essa era meta, laggiù sul pianeta simile ormai ad una grande sfera aureolata scintillante nel sole.

Quanto sia durato il mio viaggio è noto. Nessun incontro lo ha turbato. Anche la zona degli asteroidi è stata traversata senza il menomo incidente, grazie all'oculatezza delle determinazioni preventivamente eseguite. In prossimità dell'unico satellite del globo verso il quale era diretto, ho incominciato a diminuire la mia ricettività per iniziare la fase di rallentamento. Ho cercato di passare accanto a tale satellite quanto più rasente possibile, pensando che il magnetismo da esso emanante avrebbe energicamente frenata la mia velocità; ma contrariamente ad ogni previsione questa «luna» non possiede magnetismo. Il suo effetto è stato pressocchè nullo; io, d'altra parte, privo affatto di materia, potevo sperare di far agire su di me il campo gravifico che stavo attraversando.

Cinquantadue diametri terrestri mi separavano ormai soltanto dalla Terra. La mia velocità benchè leggermente diminuita si manteneva intorno ai tremila cicli-raggio. Se non avessi trovato il modo di rallentare avrei corso il pericolo di penetrare così profondamente dentro la scorza terrestre da aver scarse probabilità di uscirne. Fortunatamente il pianeta è circondato da zone di diversissima permeabilità magnetica; il mio passaggio attraverso di esse provocò una serie di reazioni che, se da un lato mi fecero temere di non resistere al calore che se ne sviluppava, dall'altro mi permisero di toccare la superfice abbastanza dolcemente. Penetrai dentro il pianeta per circa un decimo del suo diametro, entro una materia compattissima, somigliante a quella delle agglomerazioni granulari degli strati interni di Néhe. Nessuna traccia di vita intorno a me, almeno per quanto potei osservare durante quella mia breve permanenza.

Sostai qualche tempo per riacquistare il magnetismo perduto. Il campo, in seno a quella massa era molto debole per me, e distribuito irregolarmente, con due centri principali lontanissimi ed in opposte direzioni. Malgrado le condizioni poco favorevoli mi rimisi presto in istato di efficienza, e dopo un lungo girovagare per cercare a tentoni la direzione giusta, pervenni finalmente alla superficie.

 

La conformazione geografica e la struttura geologica del terzo pianeta sono troppo note perchè io mi dilunghi a parlarne. Alcune anomalie che ho riscontrate formano argomento di un promemoria che allego a questa relazione. Poichè lo scopo della mia missione era quello di tentare di comunicare coi suoi abitanti, mi limiterò a render conto dell'opera svolta in tal senso.

Non è vero prima di tutto che gli abitanti del terzo pianeta siano più evoluti di noi. Nella scala delle formazioni di coscienza, stanno tra loro i similari del secondo e quelli del quinto; all'incirca al livello degli abitanti degli asteroidi. Questo conferma quanto già si sospettava circa l'ordine di precedenza delle forme vitali esse seguono appunto la legge di Half; prima il pianeta, poi, in ordine decrescente, gli altri.

La forma di vita è, come si supponeva, quella della materializzazione integrale. Nessuna facoltà degli abitatori del pianeta, che per brevità chiamerò com'essi dicono, «uomini», si presenta staccata da un attributo gravifico: tutto ciò che agisce pesa, o nasce da qualche cosa di pesante. Lo stesso pensiero, che per molto tempo mi tenne in dubbio sulla sua essenza, è indiscutibilmente l'emanazione di centri cellulari delimitati e ponderabili. Questo fatto, di importanza capitale per lo studio degli «uomini», spiega perchè essi non riconoscano e non attribuiscano diritto di esistenza se non a ciò che essi possono misurare in qualche modo. Le grandi correnti vitali che regolano le collettività, essendo necessariamente prive dell'attributo del peso, sfuggono completamente alla loro osservazione. Tutto ciò che non si può misurare viene chiamato astrazione ed il suo valore è straordinariamente variabile con le diverse razze, e nella stessa razza, da individuo a individuo.

La livellazione scarseggia nelle specie secondarie, o degli «animali»; in quella primaria, o degli «uomini», manca totalmente. Per noi abitanti di Néhe (gli uomini dicono Saturno) è inconcepibile pensare ad una collettività senza immediata livellazione; per essi meraviglioso sarebbe il contrario. Esseri quasi identici nell'aspetto vivono l'uno accanto all'altro rimanendo a gradi di evoluzione stupefacentemente diversi. Ci si rende conto di questo fenomeno, che a prima vista sembra una contraddizione in termini, pensando a due fatti essenziali. Il primo è che la vita essendo basata sul peso, ossia sul percettibile, basta la similitudine dei percettibili per creare negli uomini criterî di identità assolutamente erronei; il secondo è che anche gli «uomini», come gli esseri del secondo pianeta e degli asteroidi, sono suddivisi in due classi; per la riproduzione è necessario che un uomo della classe detta maschile si accoppi con un uomo detto della classe femminile. Non sempre le unioni avvengono col consenso reciproco; molte volte anzi si impegnano fra l'uno e l'altro degli individui delle vere battaglie, nelle quali l'uno cerca l'unione e l'altro la sfugge.

Su queste due basi io credo vada impostato ogni studio del genere umano. Non sarebbe assolutamente possibile spiegare il fatto dell'incessante movimento e dei conflitti di uomini e di pensieri senza presupporre questa differenziazione irriducibile, come non sarebbe possibile spiegare la enorme dispersione di energie psichiche senza questa necessità di accoppiamento; ed è meraviglioso come malgrado questi tremendi ostacoli i piccoli «uomini» procedano instancabilmente nel loro cammino evolutivo.

Il perfezionamento costa ad essi tanto più caro in quanto non è raro il caso che intere collettività, spinte dalla ferrea morsa del bisogno, si riversino su altre collettività cercando di sopraffarle e di impossessarsi del loro «ponderabile». Questi movimenti periodici di masse, nei quali trovano la morte migliaia e talora milioni di individui vengono chiamati «guerre». Chi li regola sono i «motori di razza» la cui esistenza, per quanto io ho potuto capire, e affatto ignota sul terzo pianeta. Il loro aspetto è impressionante; le quantità d'energia che racchiudono sono prodigiose; credo che il più piccolo di questi centri motori basterebbe a tenere accesa la vita su tutto Néhe.

Pur attraverso queste difficoltà il cammino percorso dagli uomini, considerata la giovinezza della razza umana, è grandissimo. Come su tutti i pianeti, l'evoluzione procede nel senso dello sviluppo delle coscienze. La storia degli esseri animati della terra è quindi presto fatta. Sin dalla prima comparsa della vita, le condizioni del pianeta l'hanno indirizzata verso la materializzazione. Scarsamente magnetico e, per contro, ricco di energie termiche, il terzo pianeta ha dato origine a forme non appoggiate a cellule-recipienti come fra noi, ma stabilmente incapsulate entro involucri corporei. La vita sin dal primo momento è rimasta prigioniera di questi involucri e legata alle loro vicende; cosicchè non v'è essere animato, sulla terra, cui non corrisponda un corpo.

Questi corpi nascono, crescono e muoiono con la stessa legge con cui si avvicendano in Néhe i nostri centri organici.

Ma mentre sul nostro mondo la mancanza di condizionamenti esteriori permette alle nostre energie di elaborarsi quasi senza sforzo in forme sempre più complesse, sulla Terra questa necessità di trasformazione si imbatte in ostacoli formidabili; perchè parallelamente all'evoluzione della coscienza deve evolvere il recipiente che la contiene. Per tale ragione sono occorsi periodi di tempo straordinariamente lunghi perchè dalle rudimentali forme organiche si giungesse all'attuale uomo; e lungo il percorso infinite specie di esseri sono apparse e scomparse; in parte esse rimangono ancora a popolare la Terra e vengono chiamate animali; esse rappresentano altrettante aberrazioni dell'evoluzione; ciascuna specie è la testimonianza di un lieve errore d'indirizzo degenerato via via in un irrimediabile assurdo vitale: la vita senza possibilità di perfezionamento. Sono tutte destinate a scomparire, quali per esaurimento intrinseco, quali per lento assorbimento da parte degli esseri più evoluti.

Quello fra gli innumerevoli tentativi d'organizzazione che era meglio indirizzato, si incarna negli attuali «uomini».

Questi uomini, grazie alla possibilità di sviluppo di un organo che essi chiamano cervello, hanno potuto salvarsi dalla decadenza. Tale organo è costituito da un insieme di cellule sufficientemente complesse per poter assicurare, oltre che il mantenimento e la riproduzione del corpo, anche la sua graduale evoluzione.

Lo stato attuale degli uomini è dunque uno stato di transizione tra la meccanicità pura degli animali e la libertà pura degli esseri come noi. Tutto ciò che appartiene al mondo esterno è già in grado d'esser elaborato dal loro cervello, ma non può giungere ad esso che attraverso un certo numero di tramiti ch'essi chiamano sensi; i quali naturalmente hanno un campo molto ristretto.

L'«intelligenza» che risiede nel loro cervello ha permesso, però, ad essi di compiere un rilevante numero di raccostamenti sintetici tra i fatti che vedono accadere e le circostanze capaci di produrli. Hanno allora codificati questi ravvicinamenti e si servono di tali codici per provocare a loro talento i fenomeni che desiderano far accadere. L'importanza di tutto ciò non appare a prima vista. Ma ponendo mente al gran numero di limitazioni a cui il genere umano è soggetto, essa diventa evidente.

Gli uomini non possono spostarsi se non con velocità infinitesime, ed eccoli trovare il modo di aumentare queste velocità servendosi di veicoli che essi fanno muovere utilizzando energie inorganiche; non possono a causa del peso staccarsi dalla superficie del pianeta, ed eccoli congegnare strumenti che li trasportano fino a considerevoli altezze; percepiscono le cose attraverso sensi di scarsa portata, ed eccoli aiutarsi con svariatissimi mezzi ed aumentare il loro raggio di azione; sono insensibili a molte forme d'energia ed eccoli costruire apparecchi che trasformano queste energie in altre capaci di cadere sotto i loro sensi; non possiedono la comunicabilità del pensiero ed eccoli creare «linguaggi», ossia materializzazioni di questo pensiero capaci di ritrasformarsi in pensiero quando sottoposte ai sensi di un altro individuo. Infine non possiedono che in piccola misura la facoltà di sintesi ed eccoli appagarsi di ipotesi provvisorie, abbastanza verosimili per tacitare il loro desiderio di sapere e abbastanza superficiali per poter dissolversi via via ed essere sostituite da altre: l'ipotesi della «creazione» con cui colmano l'ignoranza circa le loro origini; l'ipotesi dello «spirito», con cui simboleggiano l'essenza della vita di cui non hanno nozione; l'ipotesi di esseri superiori, (divinità), cui attribuiscono in blocco la funzione dei centri motori cosmici, di razza e di individui.

Ricordando quanto ho detto sin da principio, e cioè che la vita sulla Terra è basata sul «ponderabile», si capirà facilmente come, per la vita e lo sviluppo di esseri a materializzazione integrale siano necessarie condizioni ambienti riguardanti essenzialmente la materia.

Prendiamo ad esempio uno scambio di pensiero tra uomini lontani spazialmente. Esso può aver luogo in molti modi diversi; ma quasi tutti richiedono spostamenti di peso. Infatti, o si spostano gli esseri che devono comunicare fra di loro, o si spostano i tramiti-veicolo del pensiero che vogliono scambiarsi. Materia non si sposta senza materia; ed ecco la necessità di speciali sostanze-ausilio capaci di sprigionare l'energia necessaria a questo spostamento.

Ho voluto citare questo esempio caratteristico per dare un'idea della straordinaria complicazione della vita terrestre. In pratica i più intensi ed importanti spostamenti sono proprio quelli delle sostanze-ausilio, il cui bisogno è risentito in misura molto diversa nei diversi punti della Terra, e che sono utilizzate quasi sempre in regioni diverse da quelle da cui vengono estratte ed elaborate.

La stessa vita corporea degli uomini è vincolata a questi scambi. La conservazione degli involucri organici ha luogo a patto di continue aggiunte di materia esterna, che viene assimilata e trasformata volta per volta secondo i bisogni specifici. Questa materia esterna deve essere a sua volta organica. Come sul secondo pianeta, anche sulla Terra la vita non ha luogo che a patto della distruzione d'altre vite. Gli uomini incorporano gli animali inferiori come questi incorporano altri organismi meno complessi; oltre a ciò assimilano anche sostanze organiche più semplici che vengono prodotte dalla superficie del pianeta e che sono dette vegetali.

Ecco così delineato il quadro completo dei bisogni degli uomini: terreno da cui ricavare queste sostanze; terreno per far vivere gli animali di cui nutrirsi; terreno per estrarne le sostanze-ausilio che permettono gli scambi.

Tutti questi scambi poi avvengono col tramite di simboli-intermediari la cui invenzione ed il cui uso costituiscono una delle più geniali manifestazioni dell'attività e dell'intelligenza degli uomini. I simboli-intermediari non sono altri che sintesi del ponderabile; un piccolo frammento di ciascuno d'essi può valere quanto una grande quantità di materia; e gli uomini se li scambiano come se si trattasse appunto di oggetti di grande necessità. In realtà questi simboli-intermediari, che costituiscono ciò che vien chiamato «denaro» non servono in a nulla; ma con essi ciascuno può procacciarsi qualunque sostanza gli abbisogni.

Questa istituzione del «denaro» è forse la più mirabile opera che gli uomini abbiano compiuta per aiutare la propria evoluzione. Essi lo sanno, ma per ragioni che mi sono sfuggite mostrano di pensare il contrario. Non ho proprio capito perchè sia tanto diffusa la consuetudine di disprezzare come cosa vile questa perfetta sintesi di ricchezza, cioè di energia. Una energia non può essere, in , buona cattiva; può soltanto essere adoperata per farne un uso buono o cattivo. Probabilmente gli uomini hanno una vaga coscienza d'esser più inclini all'uso cattivo che a quello buono; e perciò, semprechè non si tratti di stessi, ritengono che desiderare il possesso di molti simboli-intermediari sia indice di poca perfezione di animo.

I raggruppamenti d'individui che, a grandissime linee si rassomigliano, costituiscono i popoli, e questi sono quasi tutti organizzati in nazioni.

Quanti sono questi popoli? Moltissimi; e ciascuno crede d'essere il migliore, e come tale cerca di imporre agli altri la propria perfezione. Ne risulta che il mondo è teatro di singolari lotte; ciascun popolo si sforza di sopraffare l'altro; e invece di cercar soltanto di acquisire i pregi di tutti gli altri, ciascuno bada ad attribuire la principale importanza ai propri. I motori di razza alimentando questo apparente assurdo operano saggiamente. Esso è il mezzo più energico e rapido per dare impulso agli attriti fra popolo e popolo, indispensabili ad un graduale livellamento.

Neppure in seno ad un medesimo popolo regna la concordia degli intenti e degli apprezzamenti. Di qui una serie di gruppi e sottogruppi, classi e sottoclassi, di cui sarebbe lungo e tedioso parlare. Si riproduce in piccolo quel che avviene fra i popoli e fra le razze; ogni gruppo si ritiene depositario della verità e cerca di imporla; il che non deve far meraviglia quando si pensi che, tirate le somme, questo è il principio informatore di tutta la vita degli uomini: giacchè persino fra singoli individui ciascuno ha una sua verità particolare da opporre a quella di qualunque altro suo simile.

In ciò non v'è errore; ma soltanto ossequio ad una legge generale, che potrebbe enunciarsi così: sul terzo pianeta la vita si svolge secondo il principio dell'affermazione individuale.

Curioso è il fatto che gli uomini, pur obbedendo fedelmente a questa legge, sogliono rinnegarla. Essi amano attribuire sempre i loro atti a forze superiori, come se temessero la responsabilità di ciò che fanno. Un uomo non comunica mai ad altri uomini i motivi che lo spingono ad una qualsiasi azione; o lo fa solo quando vi scorga un utile diretto ed immediato. Come norma, si dichiara ispirato e guidato da «principi astratti» che in realtà sono generalmente troppo deboli per determinarlo all'azione che ha compiuto. Tutti però accettano questo stato di cose, come quello che più si confà alla loro natura.

Anche questo fatto dipende soltanto dalla circostanza fondamentale del diverso grado di maturazione della coscienza. Non possedendo una base comune, gli uomini sono costretti a crearsi delle basi provvisorie; per esempio il criterio di distinzione fra ciò che giova e ciò che nuoce è variabile secondo gli individui; ne deriverebbe un'impossibilità di convivenza; ed ecco il rimedio, costituito, come al solito, da un postulato fondamentale, imposto con argomenti affatto estranei alla ragione di chi non lo accettasse; nel caso specifico questo rimedio consiste in prescrizioni, diverse da popolo a popolo, ma cui tutti devono sottostare, sotto pena di essere privati della facoltà di spostarsi, ed anche della vita medesima.

Molto interessante è ciò che riguarda le relazioni fra individui delle due classi, maschile e femminile. L'accoppiamento segue regole ben determinate. Solo a questo patto gli uomini possono costituire quel nucleo che vien chiamato famiglia e che forma ancora la base delle collettività attuali. Questa forma di accoppiamento non è, di regola, tale da soddisfare l'uno l'altro dei due individui; perciò anche in questo caso viene applicato il principio generico del rimedio provvisorio. Secondo questo principio ciascuno cerca per proprio conto di sottrarsi alla regola che ha accettata e magari dettata.

Gli individui femmine, essendo loro devoluto il faticoso compito della formazione dei nuovi esseri, si trovano necessariamente ad un livello di inferiorità rispetto agli individui maschi. Generalmente accudiscono a lavori attinenti questo loro ufficio; partecipano scarsamente alle deliberazioni relative alla collettività, e solo recentemente hanno iniziata una curva evolutiva propriamente detta; ma le relazioni fra le due classi — i così detti sessi — sono definite da tanto tempo che occorreranno innumerevoli cicli-raggio prima che esse possano sostanzialmente mutare, benchè il problema abbia già cominciato ad affacciarsi alle coscienze più sviluppate.

In mezzo ad esseri così fatti mi sono dunque trovato emergendo dalla crosta terrestre. Intorno a me era un agglomeramento di astucci (case) ciascuno dei quali può racchiudere molte intere famiglie. Benchè in seguito dovessi assistere a ben altri spettacoli, per la vista degli spostamenti di materia mi sbalordì. Che traffico di uomini e di scatole-veicolo! Che vivacità, che fervore di vita per noi avvezzi alle calme assolute di Néhe! Che commozione pensando ai ferrei imperativi di quella forza immensa che si chiama vita, e che si manifesta successivamente attraverso forme così svariate!

Poco mi bastò per convincermi che gli uomini non si accorgevano affatto della mia presenza. Del resto, assolutamente privo di materia, non potevo certo essere percepito in alcun modo, a meno che gli uomini non fossero stati in possesso di un apposito senso rivelatore. Mi divertii a spostarmi lungo i nastri attraverso i quali si svolge il traffico, a penetrare nelle case, ad introdurmi via via in tutti i corpi solidi che mi si presentavano. E fu nel lasciarmi attraversare da un veicolo contenente alcuni uomini che m'accorsi per la prima volta della presenza di una sostanza reagente rispetto al mio magnetismo. Esplorai subito le varie parti del veicolo. Alcuni elementi di questo erano costituiti da materia permeabile al magnetismo; altri da materia inerte. Mentre mi rendevo conto del fatto, m'assalse all'improvviso una magnetizzazione alternata così forte da rassomigliare in tutto all'urlo di mille abitanti di Néhe messi insieme. Ma pur essendo un urlo ritmico, era assolutamente inarticolato. A costo di disorganizzarmi mi inoltrai risolutamente verso la sorgente che lo produceva. Chiamate a raccolta tutte le mie forze, attutita quanto mi fu possibile la percettibilità, riuscii a collocarmi nel punto-sorgente che emanava le onde.

Subito il veicolo si fermò; uno degli uomini ne scese e venne ad aprire la minuscola scatola dove m'ero introdotto. Cominciai a comprendere. Quella magnetizzazione era una condizione essenziale del movimento. Infatti, allontanatomi, il veicolo si potè rimettere in moto.

Sarebbe troppo lungo fare la storia di tutti i tentativi, le indagini, le prove che compii per rendermi conto delle materie sulle quali potevo o non potevo agire. Dopo innumerevoli spostamenti che mi fecero percorrere intere regioni e mi misero successivamente a contatto con molti diversi esemplari d'uomini potei constatare che le specie più progredite avevano costruito una grande quantità di macchine fondate sulla proprietà di un metallo speciale (detto ferro) di immagazzinare e restituire determinate quantità di magnetismo. Questa energia magnetica, però, non viene utilizzata se non in quanto serve di appoggio ad un'altra energia detta «elettrica» di cui non ho potuto assolutamente rendermi conto, non avendo alcun mezzo per percepirla. Sembra che questa energia elettrica accompagni tutti i fenomeni magnetici e possa anche provocarne. Se così fosse ciascuno di noi, abitanti di Néhe, dovrebbe essere una sorgente di elettricità, e il nostro pianeta un immenso serbatoio di tale energia!

Tutte queste sorgenti magnetiche sono assolutamente automatiche, cioè sprovviste di vita. Il loro funzionamento è l'effetto meccanico di determinate condizioni che gli uomini provocano ed in seguito alle quali esse agiscono. Nessuna possibilità quindi di servirmi di esse come di tramite per le comunicazioni con gli uomini; mi furono però utilissime per rifornirmi di energia tutte le volte che ne avevo bisogno. Invece che far agire il debolissimo campo terrestre, andavo a mettermi accanto ad una di queste sorgenti; bastava una brevissima esposizione per farmi ricuperare l'energia perduta.

Per quel che avevo potuto constatare, dunque, non v'era alcun sistema per far sì che gli uomini s'accorgessero di me. Ben diversamente accadeva per la cosa reciproca. Non soltanto io mi accorgevo perfettamente di essi e di tutti gli oggetti che mi circondavano a meno che non fossero di ferro, nel qual caso li percepivo appena, ma fui in grado in brevissimo tempo di seguire quel che accadeva nei cervelli umani. Il processo del loro pensiero è semplicissimo; i concetti, stampati come in una matrice nelle sedi-elemento che costituiscono il cervello, reagiscono collettivamente in presenza di ogni apporto dall'esterno; la risultante di queste reazioni determina uno squilibrio molecolare nelle cellule che non può essere eliminato se non a patto che esse assumano un diverso assetto interno. Il movimento che ne deriva stimola, ove occorra, appositi alveoli-serbatoio, i quali, liberando determinate quantità dell'energia che racchiudono, mettono in moto gli organi materiali da essi comandati. È l'identico processo che, astrazione fatta dalle sedi cellulari, in noi mancanti, avviene nei nostri centri.

Per comprendere quindi ciò che avveniva nel pensiero di un uomo, io non avevo che da avvicinarmi al suo cervello; e, comunque fosse stato formulato il suo ragionamento, me ne rendevo immediato conto; ma quanto a provocare il fenomeno reciproco nel mio «soggetto» tutti i miei tentativi fallivano. Gli uomini non si accorgevano in alcun modo della mia presenza.

Vista l'impossibilità della corrispondenza diretta, pensai allora di adattarmi alle circostanze e servirmi anch'io di un linguaggio. In che modo? L'unica forza che io potevo esercitare e che fosse tale da cader prima o poi sotto i sensi degli uomini era quella magnetica.

Mi ricordai d'essere capitato un giorno in un grande edificio pieno di macchine. In alcuni scomparti di questo edificio avevo osservato che certi individui trascorrevano gran parte del loro tempo ad osservare i movimenti provocati in minuscole lamine da onde appunto magnetiche. Se fossi stato in grado di sostituirmi alle cause che producevano quelle onde, e di provocare a mia volta quei movimenti, certo gli uomini avrebbero finito con l'accorgersene. Mi esercitai a lungo; prima di tutto per abituarmi a produrre oscillazioni regolari, poi per inventare un sistema, un cifrario di gruppi di oscillazioni che potesse apparire ad essi come proveniente da una entità organica. Quando mi parve d'aver raggiunto un'attitudine sufficiente, tentai le prime prove.

L'esito di queste prove è stato negativo. Gli uomini si sono bensì accorti che qualche cosa d'insolito accadeva, ma la consueta abitudine dell'ipotesi provvisoria li ha subito, in diverse direzioni, tratti irrimediabilmente in inganno. Peggio è stato quando ho tentato di manifestarmi in altre maniere. Caricandomi d'energia fino a soffrirne sono andato una notte a provocare tutte le manifestazioni esterne che m'è stato possibile nelle case degli stessi soggetti che avevo messi in avviso, con le oscillazioni, da tanti giorni. Ho fatto agire piccoli magneti, ho impresso vibrazioni a lastre, ho fatto vibrare persino una corrente fluida che conteneva traccie di ferro. Mi sono introdotto nel cervello di ciascuno d'essi, scaricandovi tutta l'energia che potevo: nulla. O per meglio dire molto; ma con quali conseguenze! Accecati totalmente dalle singole ipotesi provvisorie e non trovando i fatti concordanti con quelle, i miei individui sono caduti in una caratteristica forma perturbativa ch'essi chiamano «paura». È una reazione meccanica che tende ad allontanarli da ciò che non possono spiegare. Pare che questa «paura» sia stata nel caso attuale, tanto intensa da provocare effetti disastrosi; ad uno di essi ha causato la morte; ad un altro una deformazione permanente delle sedi-elemento; il terzo ha potuto resistere soltanto perchè ho subito cessato ogni azione; ma ne ha avuto una scossa i cui effetti non spariranno tanto facilmente.

Poichè gli individui su cui avevo agito appartenevano alla categoria più evoluta fra quelle degli uomini terrestri, e poichè d'altra parte io non vedevo assolutamente la possibilità di tentare altre prove, essendo anche prossimo il termine utile per il mio ritorno, ho lanciato il segnale convenuto per il mio richiamo. Le vicende del mio ritorno e il pericolo corso per l'errore d'apprezzamento del campo magnetico del trentunesimo asteroide sono conosciute.

 

Voglio ora cercare di trarre qualche conclusione.

La vita terrestre non presenta, secondo me, proprio nessuna delle anomalie che si credeva attribuirle. Tutto ciò che si sapeva sui mondi e sulle loro forme vitali appare sostanzialmente confermato. Gli uomini della Terra sono, durante l'attuale fase evolutiva, duramente provati; ma non vi è dubbio che ascenderanno alle nostre forme organiche superiori. Debbono superare due gradini formidabili: il livellamento di razze prima e quelli di sessi poi.

Per il livellamento delle razze sono quasi sulla buona strada. Nulla potrebbe essere più efficace, per raggiungere questo scopo, che l'indirizzo attuale della loro civiltà, che è rivolto quasi esclusivamente alla intensificazione degli scambi. Non importa se questi scambi debbano avvenire forzatamente per via esterna ed attraverso innumerevoli impacci; questo è effetto di uno stato di cose per il quale non c'è rimedio. Prima di giungere alla livellazione integrale bisogna che ancora innumerevoli movimenti di masse e di idee abbiano luogo; e quindi conflitti, alternarsi di civiltà, eliminazione di sottoprodotti, affinamento graduale di facoltà. Ma entro un periodo di tempo che misurato a secoli non andrà oltre il centinaio, questa livellazione avrà avuto luogo. Un'unica razza, omogenea, abiterà la Terra. Avrà imparato a servirsi delle energie che essa contiene non per gli scopi attuali, ma per dare continuo incremento alla evoluzione sempre più rapida.

Compiuto questo passo, si compirà l'altro, senza il quale nessuna forma organica superiore è possibile. La differenziazione dei sessi scomparirà radicalmente, e il succedersi delle vite sarà regolato dagli uomini medesimi, come accade già nel nono e nel quinto pianeta. Da quel momento la vita terrestre, affrancandosi via via da tutti i condizionamenti, potrà pian piano avviarsi ad assumere la forma definitiva a cui inconsciamente sin d'ora tende.

Qui sorge spontanea la domanda: giunta a questo punto la razza umana sarà superiore od inferiore alla nostra? Io credo di poter rispondere: nettamente superiore. Questo resoconto sommario non è la sede adatta a trattare la questione in tutta la sua complessità; ma esso può bastare, io credo, a rafforzare la convinzione che: «gli sviluppi organici procedono, come tempo, in ordine inverso della loro distanza dal rispettivo centro motore cosmico (nel nostro caso il Sole); e, come intensità, in ordine diretto»; salvo l'apparente già citata anomalia della legge di Haf, di cui le mie constatazioni costituiscono una luminosa conferma».

 

— È un caso dei più straniconcluse il celebre psichiatra, curvo su Rovalla sempre vaneggiante, dopo che i medici curanti gli ebbero fatta la storia della malattia; — sì, sì, indubbiamente è un caso dei più strani.

— Lei, maestroardì interrogare sommessamente Ruschi — non crede che possa trattarsi di una forma, per così dire, di presa di possesso delle forze psichiche da parte di qualche entità sconosciuta, che la scienza, malgrado le sue risorse ed i mezzi di cui dispone...

— Ah, è lei lo spiritista? — rispose lo psichiatra, ripulendosi accuratamente le lenti.

Credo che intorno a noi esistano forze di cui ignoriamo la natura, ecco tutto. E lei, non pensa...

— Io penso, vede, non se n'abbia a male, che quello — e indicò Rovalla — potrò forse guarirlo...

— ... mentre io, è vero, sono spacciato, non è così?

E risero tutti e due, da uomini di mondo, accomiatandosi.

Poi se ne andarono, ciascuno verso le proprie tenebre.




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