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Giorgio Cicogna
I ciechi e le stelle

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IL CIRCOLO

 

Pochi soci fedeli sonnecchiavano qua e sui divani e sulle poltrone.

Il Presidente, assorto, respirava l'aria fresca della notte guardando, a tratti, dai balconi aperti, le stelle. Entrava dalle due porte spalancate il fragore confuso della strada. Nulla di nuovo, al Circolo, quella sera.

Un'ombra, allungandosi e accorciandosi secondo il gioco delle luci, scivolò sul marciapiede, sostò; un'altra ombra la raggiunse; formarono, mescendosi sull'asfalto chiaro, una figura strana e mutevole; poi dileguarono verso il buio, quasi avvinte.

Null'altro.

Ed ecco, d'improvviso, il Circolo riempirsi di una moltitudine tumultuante. Irruppero, primi, dalle finestre, due antichissimi fra i soci; tanto noti in quella sala e familiari, che parevano esserne divenuti suppellettile: ed entrambi, con le loro grida, ruppero, riempiendolo, il silenzio.

— Sono io! — gridava l'uno — io; Maria! Maria che ti volle, che ti cercò! che tu volesti e che t'ebbe! ch'è una cosa con te, una cosa sola, sì, io!

Amico, oh, amicissimo! — diceva l'altro. Da tanto tempo! Fratello, quasi; e mi hai voluto bene, e me ne vuoi. Guardami pure, sì il mio volto, i miei occhi, il mio sorriso; io, ti dico!

Gli altri, i presenti, accorsero subito; e si strinsero attorno al Presidente, quasi minacciosi; e fu un coro di grida:

— Ti crede lontano, ti crede al lavoro, a visitare i tuoi malati; si ritiene sicura! Vergogna! Gli parla; lo abbraccia, va con lui, sola con lui, guarda!

E subito, quasi a rincalzo, altri scalmanati, entrando insieme dalle porte: — Gli dice di tornare domani! — urlarono. Ha previsto tutto, tutto predisposto! Sa che a quell'ora tu non puoi essere con lei! Finge, t'inganna, t'insozza, ti copre d'onta e di ridicolo. Che aspetti? Che pensi? Corri, va, guardala, guardali!

Precipitosi, come se rotolassero, giù, dalle soffitte, in frotta, altri indemoniati s'aggiunsero al coro, affollando le scale, stringendo sempre più il cerchio intorno al Presidente. Pallido, disfatto, senza parole, egli girava qua e gli occhi, vedendo appena, quasi senza coscienza.

— Anche ieri! Anche or è un mese! Le gite improvvise, le visite, le opere di carità... Cieco! Sordo! Ricòrdati! Capisci! e va, che non ti sfuggano ancora!

Fermi tutti, vili! Che cosa dite, che cosa farneticate? Non è vero! Non può esser vero! Questi sono i baci, non della bocca, che non contano, ma del cuore, dell'anima! Ecco! Ecco il cuore! Ed ecco le parole; quelle che scendono in profondo, e rimangono; indelebili. Si cancellano queste? Si cancella l'idilio sotto l'oleandro, e quel pianto, quelle lagrime, versate in ginocchio, dietro la casa solitaria... Ecco, miserabili! a confusione della vostra infamia ecco le notti, ed ecco i risvegli, e... no! no! Non è vero!

Così aveva parlato, l'incognito difensore. Ma un'ombra, che nessuno aveva notata e che soltanto pochi, in quella sala, ricordavano d'aver veduta passare, rapida e leggera, qualche volta senza rumore, sorse come per incanto, e gli si parò dinanzi risoluta, afferrandolo al petto.

— Ah, io farneticavo dunque? io ch'ero costretto a nascondermi, perchè non mi si voleva, qui dentro; di cui si rideva, che si insultava e spregiava, ma che nessuno aveva il coraggio di affrontare, e voi, Presidente, non osavate scacciare? Eccola, la mia rivincita, se i fatti son fatti, e la realtà conta più delle chiacchiere. Che cosa suggerivo, quando il Presidente bamboleggiava nella sua illusione? E voi, signor avvocato difensore, che volete batter la testa nel muro, siete soddisfatto? La porporina vi par ancora oro di zecchino? Su, rispondete!

 

Làsciami, rettile! — rispondeva l'altro. Làsciami, ladro di felicità! Non ti basta il veleno che hai sparso? Ancora vuoi mordere, ancora strisciare?

Ma altra gente entrava, sconvolta, da ogni parte, da ogni vano. — L'ha baciata! — Si baciano ancora! — Incollati, incollati presso il muro; dicono del loro amore. — T'insultano. — Ella ha detto: s'egli sapesse! E hanno riso; di te; e la risposta egli gliela sulla bocca!

E sghignazzavano tutto. — Avvocato, avvocato, parladifendili!

Non c'era più, l'avvocato. Scomparso, dileguato. In sua vece s'affacciò, ravvolto in un mantellaccio, un taciturno. Pesò, subitaneo, sull'assemblea, un silenzio d'incubo. L'uomo s'avanzò, fermandosi in mezzo alla sala. Nel vuoto che gli si fece intorno, parve, ad un tratto, quasi ingigantito. Afferrò i polsi del Presidente, si chinò, gli sussurrò qualche cosa all'orecchio.

Làscialodisse una voce pacata.

Come se fosse sorto dalla terra, un vecchio era apparso e aveva parlato. La sua voce era sicura e riposata; gli occhi chiari e senza lampi. Ma si sprigionava da quella calma una maestà che fece rimaner gli animi sospesi, come nell'aspettazione di un evento. Il vecchio si rivolse al Presidente.

— Non ti macchierai di un delitto. Non ti confonderai con la canaglia che ricompra con una vita un'offesa, solo perchè quest'offesa ha rubato il nome al disonore. Ella ha mentito e ti ha tradito: è donna. Egli ha frodato e predato: è uomo. Ma tu no, non volevi essere uno del gregge. L'ora di mostrare che te ne sei tolto, eccola. Il destino te la offre. Dov'è il tuo coraggio, se esiti? dov'è la tua forza se cedi? dov'è la tua grandezza se colpisci?

— Che m'importa ora, vecchio, di tutto ciò? — proruppe alfine il Presidente. — Lei, lei, la mia Maria! che io adoravo! che adoro ancora!..

Deve tutto a te! — incalzò la folla tumultuante dei soci — Hai ragione! Hai diritto! Le bastavi, l'adoravi; e ti ha straziato. Chi ti rimarginerà, ora, la ferita? Hai un sacro diritto! Guarda ancora! Si baciano! Vile, vile, mille volte vile!

 

Allora il Presidente fece davvero per slanciarsi; ma qualche cosa lo tratteneva, qualche cosa gli impediva di parlare, di muoversi, di dominare quel tremito insensato, di vincere quell'arsura, di fermare quel sangue che correva troppo forte su e giù, e gli toglieva il respiro, gli impediva di assaporare l'aria, l'aria fredda di cui aveva bisogno, tanto bisogno... Oh, piangere, piangere, versare tutte le lacrime in una volta, che non facessero tanto male, e poi correre, buttarsi ai piedi di lei... No! No! afferrarla, stringerla con le mani che le avevano donate tante carezze, e ora eran divenute d'acciaio...

Ma quella gente intorno! Tutta quella gente... i suoi compagni, i testimoni... Via, perdio! Fuori! Fuori tutti! Egli, egli solo, da ! Senza nessuno, così...

— Solo non puoi — gli sussurrò una voce.

— Io, che vengo di sotterra; tu non sai, nessuno sa, di dove, io, sì, posso. Prendo la tua mano, così, come quella di un fanciullo. Ecco. Con calma. Mira adagio. Animo. È fatto.

 

E venne il processo, e i giudici inquisirono e ascoltarono, e fecero anche dei sopraluoghi.

Ma il Circolo non era più quello. I soci s'erano rincantucciati e nascosti quasi tutti. Una legione di estranei, arruolati per la circostanza, usurpava i seggi e i divani. Molti di costoro il Presidente aveva dovuto farseli presentare; e per l'assoluzione furono i più preziosi.

 

— Non ho capito niente — disse Giancarlo, finito ch'ebbe d'ingollare il suo wisky — Quei soci, il Circolo, il Presidente... che cosa significa?

— Come?? Un'allegoria tanto facile! È evidente: il circolo il cervello, i soci i pensierispiegò il narratore.

— O quell'entrar pei balconi e scender dalle soffitte come i gatti? — chiese l'ingegner Saltastefani.

— Che poca perspicacia! Le finestre gli occhi, le porte gli orecchi, la soffitta la memoria e così via. Del resto è il rifacimento d'una storiella indiana, che la mia versione avrà certo sciupata.

— E questo Presidente? — incalzò Maxè1'«io»?

— Sì e no. — Tutti hanno concorso, alla determinazione; i pensieri buoni e i cattivi. Han vinto i secondi; ma chi ha provocata l'azione è stato l'intuito, il germe istintivo ch'è in noi, sepolto nelle ombre del subcosciente, e parla solo nel momento delle decisioni estreme. È lui che ha armato la mano del Presidente, il quale simboleggia lo spirito. Quest'ultimo crede d'essere la quintessenza dell'«io», ma in fondo, poi, è governato anch'esso da qualche cosa di più remoto.

— Questo immaginare gli uomini come scatoline giapponesi, che più se ne toglie e più ce n'è, sarà indiano, ma non mi piaceosservò Saltastefani — Siamo più semplici e più umani. Perchè, poi, chiamatelo spirito, Presidente, io, super io, o che so io, è sempre la stessa cosa.

E s'abbandonarono tutti ad una dotta dissertazione, nel corso della quale fu dato fondo allo scibile.

Soltanto Margot, la bella moglie di Giancarlo, ancora soprapensiero, quando tutto sembrava finito, chiese

— Ma su chi ha sparato? Su lui o su lei?

E pareva molto nervosa.




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