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Giorgio Cicogna
I ciechi e le stelle

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L'ASSE DEL MONDO

 

E ora? Che fare ora? Da che parte incominciare?

Come sempre accade in questo saturo mondo, aver terminata l'opera contava poco; bisognava presentarla, farla accettare, farle compiere il suo cammino.

Tutti sanno scrivere un libro, progettare un ponte, e anche, volendo, imbastire un sistema filosofico; il difficile sta nel trovare lettori, clienti, e proseliti. E nel suo caso, povero Màtter, le difficoltà da superare erano parecchie.

Se avesse avuto denaro sufficiente avrebbe tentata la sorte in grande stile, recandosi a bussare personalmente alla porta di qualche grosso e coraggioso uomo d'affari d'oltre oceano. Gli Americani, malgrado il male che se ne dice (e fanno il possibile perchè se ne dica parecchio) sono ancora, oggi, gli uomini di vedute più larghe, i soli capaci di affrontare a sangue freddo ed occhi aperti qualunque rischio, quando un utile si presenti come possibile; e forse in America la sua idea avrebbe potuto trovare rapidamente il terreno adatto per mutarsi in realtà. Ma dove trovare le molte migliaia di marchi occorrenti?

Passò rapidamente in rassegna i suoi amici berlinesi. , in quelle due stanzette le cui finestre s'aprivano sulla Potsdamerstrasse rumorosa, ne erano sfilati parecchi, negli ultimi mesi; e molti avrebbero potuto anche prendere interesse alla faccenda. I Tedeschi prendono interesse a tutto. Sperare un aiuto, in quei momenti, con la depressione economica che impastoiava il Reich, era una pazzia, ma in fin dei conti... In fin dei conti, pensò Màtter, nella più rosea delle ipotesi ci vorranno parecchi anni soltanto per terminare gli studi preparatori. Prima che il primo basamento possa essere gettato, della crisi sarà scomparso anche il ricordo. Tentiamo.

 

Alto, magro, pallido, scuotendo ogni tanto la sua criniera di capelli grigi, Fried Heinz lo ascoltava parlare già da mezz'ora, fissandolo di tratto in tratto con i suoi occhi penetranti, intento a non perdere una parola, interrompendolo ogni qualvolta l'esposizione richiedesse qualche chiarimento.

Fried Heinz era dottore in fisica, e non provava difficoltà a seguire le argomentazioni di Màtter, anche dove esse più s'inselvavano tra formule e cifre. Assentiva con frequenti cenni del capo, col godimento di chi intende ed approva; e quando Màtter ebbe finito lo guardò a lungo, assorto e silenzioso, continuando ad assentire ritmicamente, come se stesse riandando tra quel che aveva udito. Finalmente si riscosse, e fece per parlare.

— Lei sa — lo prevenne Màtter — che io La considero un po' come il mio maestro, la mia guida, e non solo per ciò che si riferisce al campo strettamente tecnico. La sua approvazione al mio progetto, sotto questo punto di vista, sarà per me la più sicura garanzia; ma la mia idea involge problemi tanto grandiosi ed importanti che io vorrei conoscere il Suo pensiero anche al di del lato tecnico della questione. Penso che, se vorrò combattere, sarà una dura battaglia; crede Lei che valga la pena di buttarcisi?

— Fra le imprese che un uomo può tentarerispose Heinz dopo un altro silenzio, — eh, sì... io non ne saprei immaginare una più grande. E più ardua!

— Sì, arduadisse Màtter. — Ma degna! Crede Lei, professore, che se la portata degli effetti raggiungibili potrà essere riconosciuta, le difficoltà economiche saranno sufficienti ad arenarla?

Hm! — fece Heinz. — Mah! Certo far saltare fuori... quanti? Quattro?...

— Tre o quattro, in vent'anni.

— Tre o quattro miliardi, sia pure in vent'anni, non è la cosa più facile del mondo. Bisognerebbe per lo meno che la certezza del ricupero apparisse così evidente da... Vent'anni sono molti! Dovrebbero mettercisi di mezzo i governi; a meno di non trovare dei finanziatori che sappiano guardare col canocchiale...

— L'olivo ne mette trenta, a dar frutto; e gli oliveti, tuttavia, si piantano.

Caro Màtterrispose Heinz sospirando — gli oliveti non costano miliardi. Che cosa posso dirle? Mi lasci il suo scartafaccio, i suoi calcoli, e qualche giorno di tempo. Per quel che può contare il mio parere, Lei lo avrà. Quanto al sapere oggi se la cosa potrà essere fatta o no, non è da fisici, è da profeti.

— Ma... scusi, sa, professore, se insisto. Il suo parere... come dire? di uomo?

— Ah, Màtter, Màtter! — esclamò Heinz sorridendosa che è un bell'originale lei? Viene qui, a trovarmi all'improvviso, e mentre mi aspetto da Lei che mi racconti gli ultimi pettegolezzi letterari o, che so io, mondani, mi esce fuori con la proposta di... Brr! Come dire: sa: ho trovato il sistema per tirar giù la luna; che ne pensa Lei? Che ne penso? Mi lasci tirar il fiato, perbacco! A meno che non voglia sapere...

— Non voglia sapere?

Bah! Lasciamo stare! Le mie opinioni filosofiche non è proprio il momento di sciorinarle. Le dirò qualche cosa di più interessante, e forse più utile, in questo momento. Lei conosce Peter Staff, il banchiere?

— Di fama, molto. Personalmente, pochino. Gli ho parlato tre o quattro volte, al Circolo del Teatro; ma sono amicissimo di Maurizio del Pozzo, che è tra i suoi intimi.

Parli a Staff, — disse Heinz risolutamente, alzandosi. — Staff ha un fiuto infallibile, e, quel che più conta, ha dietro di la SIEGEL e i suoi capitali. Per di più ha relazioni con tutto il mondo dell'altissima banca. Se Lei riesce a convincere Staff, se Staff riesce a vedere il punto d'arrivo della traiettoria, la cosa è fatta. Staff non si spaventa di niente, e lo ha dimostrato già parecchie volte. Aspetti, ad ogni modo, prima di mettersi in campagna, una mia telefonata. Non che io non abbia fiducia in Lei, sa, ma quattro occhi vedono meglio di due... E poi, per quel che vuol fare Lei, una gran fretta non c'è, vero? Auguri, ad ogni modo, fin da ora! E congratulazioni! Eccomi, senza merito, amico d'un uomo che è sulla via di diventare il più celebre fra i nati di donna di tutti i secoli!

Sorrideva, aiutandolo ad infilarsi il pastrano, e poi rimase a guardarlo, sul pianerottolo, mentre scendeva le scale. — Bravo giovanepensava — e bella testa. — Ma non poteva dissociare da quel pensiero l'altro che, in sordina, quasi suo malgrado, lo commentava: Ventisei anni! Aspetta d'averne cinquanta, figliolo, e ne riparleremo; anche se tutto ti sarà andato liscio.

 

— Il signore Màtter, vero? Venga. S'accomodi. Ho qui un biglietto di Del Pozzo. Mi dice molto bene di Lei. Fuma?

Grazie. Grazie mille, signor Staff. Molto gentile. Io so che il Suo tempo è prezioso, e certo La disturbo...

— Affatto, caro Signore, affatto. Non si occupi del mio tempo; se non avessi potuto riceverLa l'avrei pregata di tornare. Veniamo a quel che Le sta a cuore. Un affare, credo. Grosso, è così? E misterioso, pare. Dico male?

Perdinci, come corre! — pensò Màtter, un po' imbarazzato, cercando le parole per cominciare. — Sì, Signorerispose. — Credo che per grossezza sia senza precedenti. Ha mai pensato Lei che cosa accadrebbe se l'asse terrestre invece di essere inclinato come è, fosse parallelo all'asse dell'eclittica?

Per quanto avvezzo a sentir le proposte più strampalate, Staff non potè far a meno di manifestare una certa sorpresa. «Un altro dei soliti pazzi da mettere garbatamente alla porta» pensò. «Però Heinz l'ha ascoltato, e del Pozzo me lo manda» continuò fra . «Posso dargli credito per altri cinque minuti».

Francamente no — rispose. — Ma immagino...

— Le dirò io, per brevità. Accadrebbe che, stando il Sole perpetuamente nel piano dell'equatore, non ci sarebbero più stagioni. Sempre caldo, un po' più di adesso, nella zona torrida; e sempre freddo, molto meno di adesso, nelle zone polari. Più precisamente, date le particolari facoltà d'acclimatazione della razza umana, una piccola diminuzione d'abitabilità nella zona equatoriale (già ora, d'altronde, quasi disabitata) e un forte aumento di abitabilità nelle zone polari; particolarmente nell'Antartide, con possibilità di sfruttamento di vaste risorse minerarie. Vantaggio numero uno.

Perdoni se la interrompo, caro Signore. Lei viene a prospettarmi un'ipotesi, o a propormi un affare? Perchè mi pare che il suo inizio non prometta niente di solido; a meno che Lei non abbia intenzione di tirar fuori un suo sistema per effettuare questo raddrizzamento. Badi; l'ascolterò in ogni caso. È soltanto per sapermi regolare circa il genere di attenzione che devo prestarle.

— Ho il sistema, definito in tutti i suoi particolari, rigorosamente verificato e approvato dal Professor Heinz; ho i preventivi di spesa e di tempo; e sono venuto qui per sottoporli a Lei; ma soltanto per sentire la sua opinione di uomo d'affari, pratico e positivo. Se Lei pensa che io sia uno dei soliti inventori del moto perpetuo, mi congedi subito, e non ne parliamo più. Ci terrei solo a non esser preso per un pazzoide. Lei sa che io sono laureato, e, quanto all'integrità delle mie facoltà mentali, può assumere informazioni presso chiunque mi conosca.

— Avanti, allora. Continui come se non avessi detto niente.

Seconda conseguenza: Niente stagioni, regime di temperature costante, tranne insignificanti variazioni, per ogni punto della Terra. A Gibilterra sempre 24 gradi, a Londra sempre 14, a Verkojansk sempre 2; naturalmente prescindendo dalle «escursioni diurne». Il corollario, per ora, mi limiterò ad enunciarlo, poichè la dimostrazione sarebbe lunghetta; ed è questo: la produzione agricola mondiale sarebbe più che raddoppiata.

Terza conseguenza: Regime di venti rigorosamente regolarizzato; zone di mare sempre calme o sempre agitate; gruppi di itinerari marittimi (quelli in zone tranquille), percorribili a velocità comunque elevate; altri gruppi di itinerari praticabili perpetuamente da velieri; navigazione aerea sviluppabile, senza gli incerti meteorologici, sino ad un grado enormemente superiore all'attuale; possibilità praticamente illimitata di sfruttamento delle correnti atmosferiche per scopi meccanici.

Questi sono i tre gruppi di conseguenze più importanti. Ve ne sono numerose altre secondarie; ma tutte confluiscono verso due direzioni: l'aumento della facilità degli scambi, e l'aumento della ricchezza mondiale.

Cose sulle quali — io parlo da scettico, naturalmente, da avvocato del diavolo, — bisognerebbe sentire l'opinione di metereologi, di agronomi e di geografi, a dir poco.

— Anche questo è fattorispose Màtter — e queste duecento pagine di appendice, guardi, contengono i risultati dell'inchiesta preliminare che ho fatta io, con l'aiuto del professor Heinz, presso i migliori esperti che ci è stato possibile trovare. Leggerà lei stesso, se vorrà leggere. Vuole che le parli ora del metodo?

Bravo. Sono proprio curioso!

— Il metodo più economico sarebbe quello di aver pazienza e aspettare. L'inclinazione fra il piano dell'equatore e quello dell'eclittica diminuisce spontaneamente, per cause in parte note e in parte sconosciute, di circa mezzo secondo all'anno. Basterebbe pazientare centosettantamilaottocentoquarant'anni, e l'inclinazione sarebbe scomparsa. Ma è un metodo troppo lungo, e l'ho scartatodisse Màtter sorridendo.

— E allora?

— Allora, scartati numerosi progetti (se ne possono immaginare parecchi, ma tutti troppo costosi e lenti) mi sono fermato sull'unico attuabile. Durata dell'operazione: venti anni. Spesa: da tre a quattro miliardi.

— Ed è?

— Eccomi a lei. Quando io dico che un raggio di sole «scalda» un corpo, non faccio che esprimere con parole del linguaggio corrente questo fenomeno: il raggio solare attiva i movimenti, caotici e disordinati, delle molecole di quel corpo. Supponga di poter interporre fra il raggio e questo corpo un diaframma di una sostanza che goda della proprietà di lasciar passare soltanto quella parte di raggi capace di attivare tali moti in un solo senso, precisamente nella direzione del raggio. Che cosa accadrà? Il corpo non si «riscalderà» più; sarà invece «spinto» come se i raggi lo bombardassero materialmente.

— Che razza di diaframma sarebbe? L'ha inventato lei?

— Non è un diaframma materiale. Immagini un faro che proietti nello spazio, tutt'intorno, una raggiera di luce; una specie di ombrello giapponese fatto di radiazioni. Lo vede?

, e quest'ombrello?

Arresta e assorbe quella parte di energia dei raggi solari che non ci serve. L'altra parte, la parte utile, passa e arriva alla terra.

— E quando è sulla Terra?

Esercita una pressione di trentacinque chilogrammi per metro quadrato. Trentacinquemila tonnellate ogni chilometro quadrato. Questa pressione, fatta agire su determinate zone della superficie terrestre, ed in determinati momenti, è capace di raddrizzare l'asse terrestre in venti anni.

Di nuovo Staff dubitò di aver a che fare con un pazzo. Màtter si mise a sfogliare tranquillamente l'incartamento che aveva tra le mani.

— Ecco i datidisse. — Noi costruiamo ventisei di questi fari; metà distribuiti fra Canadà e Siberia; e metà fra Australia, Sud Africa e Sud America. Li facciamo agire opportunamente a seconda delle stagioni; tenendo conto che la terra reagisce girostaticamente, come una trottola, a primavera quelli del Nord, in autunno quelli del Sud. Ciascun faro è capace di assicurare, per tutta la durata dell'accensione, (6 ore al giorno) una pressione utile di circa 10 milioni di tonnellate. Data la rotazione della terra, il suo momento d'inerzia, le forze in gioco, eccetera eccetera, la raddrizziamo in venti anni. Spesa, come lei potrà vedere da questo accurato preventivo, al massimo 4 miliardi; che ricuperiamo con ogni probabilità entro i primi due anni dal raddrizzamento.

— Li ricuperiamo? Ma chi li ricupera? Chi?

Il mondodisse Màtter calmo, guardandolo.

 

— Questo Màtter è un pazzo, pazzo da legare, pazzo nel vero senso della parolaandava ripetendo fra se Staff, mentre scartabellava il volume che l'inventore gli aveva lasciato. Ma per quanto si sforzasse di pensarlo pazzo, non poteva cancellare dalla mente il nugolo di pensieri che quel colloquio gli aveva suscitati. Sentiva che qualche anello della catena doveva mancare, che le cose non potevano essere così semplici come Màtter le aveva prospettate; ma non vedeva ancora bene il punto vulnerabile del progetto. O le affermazioni di Màtter sulle proprietà dei suoi fari erano sballate, e allora la bolla di sapone avrebbe fatto presto a scoppiare; o erano esatte e allora non poteva esserci che una sola buona ragione per lasciar cadere la cosa: il dubbio sul risultato.

Questa considerazione lo spinse ad incominciare la lettura dalla fine; dalle relazioni cioè che Màtter aveva allegate al fascicolo, e che contenevano le previsioni relative all'andamento della vita sul pianeta dopo il raddrizzamento.

Quelle relazioni portavano firme davanti alle quali bisognava inchinarsi; e i pareri che esse contenevano erano tali che Staff, quand'ebbe finito di scorrerle, le rilesse, poi divorò tutto il resto dell'incartamento, e infine rimase un pezzo a fantasticare, contrariamente alla sua indole e alle sue abitudini.

Più d'una volta nella sua vita l'ambizione lo aveva accecato; ed ogni volta aveva pagato a caro prezzo quell'oscuramento del suo senso critico; molte altre, in compenso, aveva veduto chiaro dove altri non avevano osato neppur guardare. Ora il caso lo metteva di fronte ad un problema gigantesco; veniva a solleticarlo nel suo punto debole con una prospettiva di grandiosità inaudita; lo sfidava al suo gioco preferito, mettendogli sotto gli occhi la più sbalorditiva delle poste.

Non gli passò neppure per la mente l'idea che l'impresa potesse essere studiata, decisa ed attuata da altri che da lui. Per un uomo come lui, il denaro in cassa «liquido ed immediatamente spendibile» non contava quasi nulla. Contava il credito; il prestigio; il nome. Una firma di Staff rialzava le sorti di un'industria pericolante; una sua frase bastava a provocare o ad arrestare il tracollo di un titolo. Talora doveva sorvegliarsi perchè, muovendosi da ciclope in mezzo ai complicati e delicati labirinti della finanza, una sua mossa involontaria non avesse a produrre guasti. La sua voce varcava le mura delle Borse, e dove arrivava suscitava echi che non si smorzavano tanto presto facilmente.

Avere il denaro non contava. La voce pubblica lo diceva miliardario; l'unico miliardario, forse, del vecchio continente; ma il fatto d'avere o non avere il denaro non entrava in quel momento nei suoi pensieri. Il denaro si trova. Duecento milioni all'anno, se Staff parla, si mettono insieme. La questione non sta qui; sta nell'intuire se l'affare sia buono o cattivo; l'affare mastodontico al termine del quale o si precipita nel nulla, o si resta nella storia.

La Terra era una trottola, stupidamente inclinata, come tante altre trottole del resto, sul piano della sua orbita. Raddrizzarla costava caro; ma si poteva. Bisognava destare l'attenzione del mondo; gli uomini, questi fanciulloni, farli sognare ad occhi aperti; promettere e lusingare; sedurli col miraggio di quella ricchezza che, questo era certo, avrebbe fatto sorgere nuovi bisogni, e quindi non avrebbe aumentato che per breve tempo il benessere reale; ma illudersi di star meglio è già star meglio; anzi forse è il solo modo di star veramente meglio; e a lui sarebbe spettato il merito d'aver creata questa illusione.

Avrebbe fondato un istituto internazionale. Quattro miliardi, a duecento milioni l'anno; immaginò rapidamente tre o quattro piani per il servizio degli interessi; cercò di frugare in quel futuro ipotetico, per vedere dove avrebbe potuto attingere per il ricupero della somma spesa, degli interessi, e poi... Vent'anni! Ne aveva quarant'otto; contava, con la sicurezza cocciuta e irragionevole del suo temperamento, di arrivare per lo meno agli ottanta. Ma poi, che importava il guadagno? Lo affascinava l'impresa. Lo affascinava l'immensa battaglia che ci sarebbe stata. Ci si sarebbe gettato con tutto il suo peso di colosso che non conosce ostacoli e, se ve ne sono, li stronca. Avrebbe misurata la sua statura in un cimento da par suo, finalmente!

— Questo Màtter è pazzo; pazzo da legarepensò di nuovo, come conclusione. Ma riprese lo scartafaccio, e si rimise a leggerlo, senza lasciarsi sfuggire una virgola.

 

Matto lo giudicò anche Maurizio, Maurizio del Pozzo, il collega d'università con cui Màtter era stato «laureando» e poi «laureandissimo» a Padova, non molti anni prima. Agente di un Istituto di credito, del Pozzo era a Berlino per ragioni d'impiego, come Màtter; e il posto glielo aveva trovato Staff, ch'era stato amico del padre.

La casa di Maurizio non era il lussuoso appartamento di Staff; ma vi si potevano gustare la pasta asciutta e il caffè; due cose difficili a trovarsi in Charlottemburg. Ed era stato proprio dopo una sobria cenetta all'italiana, anzi alla bolognese, che Màtter aveva esposto a del Pozzo il suo progetto.

— Sei il solito gran talentaccio — aveva concluso Maurizio, dopo aver attentamente ascoltato. — Se ti mettessi a fare qualche cosa sul serio!

— Sul serio? Ma queste son cose serissime! Guarda qui. Li vedi questi fascicoli? Ti pare che Heinz, Jordan, Mitchell, e questi altri mi avrebbero data la soddisfazione di scrivermi qui il loro parere se non si trattasse di cose serie?

— Ma cosa? Pensi veramente di raddrizzare l'asse terrestre?

— E che? Ho scherzato, allora?

— Non dico che tu abbia scherzato. Il progetto sarà bellissimo e anche possibile, ma realizzarlo è un altro paio di maniche. E poi, queste conseguenze che tu ti proponi di raggiungere...

— Ebbene?

— Ma sono pazzesche, caro Màtter! Abolire le stagioni! Regolarizzare vento, mare, pioggia, fiumi... senza più imprevisti! senza più diversità! tutto meccanico, prevedibile, esatto; ma questo non sarebbe più il mondo! almeno un mondo fatto per uomini di carne e d'ossa.

— Non vedo perchè. Anzi, ognuno potrebbe spostarsi a piacimento per andar a stare nel luogo che in un determinato momento preferisse. Quanto al fatto di sottrarsi agli incerti metereologici, non mi pare affatto un inconveniente, ma al contrario un grosso vantaggio. L'aviazione, per esempio...

— Tu sei infatuato della tua idea; naturale. Ma vedrai che, ammesso che tu possa proporla, troverai il più serio ostacolo proprio in quegli uomini che pretendi di beneficare. Beneficare! Andando contro natura in questo po' po' di maniera!

— Ma andar contro natura è lo scopo supremo di tutti gli uomini, te compreso! La natura! Ma tutto, tutto, nella civiltà, procede nel senso di correggerla, la natura! Tu per il primo, che ti copri con questi abiti, e adoperi il telefono e il treno, e ti servi dei ritrovati più moderni per la tua vita, non vai contro natura?

Bravo! E giusto perchè esiste un male, tu ne vuoi aggiungere un altro più grosso? Dove credi che porti, questo affannarsi dietro alle chimere meccaniche della civiltà moderna? Alla perdizione, alla rovina, se ci si lascia trasportare supinamente...

— Ma che cosa dici? Pretenderesti di fermare l'evoluzione solo perchè cammina un po' più in fretta di quel che non comporti la tua pigrizia?

— Ah, non è pigrizia, caro Màtter! È l'unica salvezza che ci rimanga, questa di resistere un po', ciascuno per quel che permettono le sue forze, a questa corrente che ci trascina, e salvare quel che si può ancora salvare di buono, di vero, di nobile, in questo scatenarsi di forze demoniache! Demoniache. Demoniache. Ti faccio sorridere, vero? Ti sembro un retrogrado, un «codino». Ma che cosa pretendi? Che io approvi la tua idea di cambiare l'ordine che Dio ha stabilito per la nostra Terra? Che ti dica bravo perchè hai trovato un sistema di mettere in pratica questa tua bella idea, che ha lo scopo di rendere il genere umano un'accolta di fantocci automatici? Cosa ci avrà guadagnato il mondo, dimmi, quando per un po' di denaro avrà rinnegata la primavera? Non parliamone, via... Vedi che sono sincero. Il tuo talento mi fa sbalordire. Ti ammiro; ti dico che con la tua testa puoi riuscire in quel che vuoi. Ma hai avuto, questa volta, un'idea pazza; e non attecchirà, vedrai. Il mondo, in fondo, ha risorse di buon senso che al momento buono vengono a galla. Quello che tu vorresti fare è un delitto... Ma se c'è una sola cosa buona, santa, che ancora ci rimanga, viaproseguì raddolcendosi — ed è questo po' di mistero, di indefinito, di poetico che ancora ci avvolge; e che ancora ci fa sognare davanti ai colori di un'aurora, all'azzurro di un cielo, all'improvviso scroscio di una pioggia d'estate... No. Nel tuo mondo tutto è calcolato, catalogato, codificato. Dalle ore sette alle nove, qua pioggia, sole, in quest'altro luogo vento; sempre, per l'eternità, a ora fissa, al minuto. Pazzo! Pazzo!

Màtter non rispose; pensava che dall'azzurro del cielo si può, con appropriati calcoli, determinare il numero di Avogadro; e che l'abisso che lo separava da Maurizio era più profondo e incolmabile di quello che non lo dividesse dal più umile dei battellieri della Sprea.

— Che debbo dirti, caro Maurizio! — esclamò alfine. — Non ci guasteremo per questo. Io resterò nella mia opinione, e tu nella tua. Chi te lo fa, questo caffè?

— Io, io, — disse Maurizio con orgoglio. — Lo preparo io ogni mattina. Ne bevo un po' troppo, veramente; e dovrei invece limitarmi. Ma, sai, la sera lavoro; qualche volta fino a tardi; e un po' di caffè ci vuole.

Passarono nello studio. Poi Maurizio, con visibile soddisfazione, andò a prendere, da un cassetto della scrivania, il suo lavoro, per farlo vedere all'amico.

— Una cosettadisse. — Non sono cose difficili come quelle di cui ti occupi tu. Ma ci vuole amore e pazienza. Sai? è una agiografia limitata ai Santi tedeschi. Sapevi per esempio che San Bruno, vescovo di Whurzburg e patrono di Franconia...

 

Pochi giorni dopo Fried Heinz saliva le scale dell'appartamento di Màtter, che, bloccato da un leggero ma noioso attacco di influenza, era costretto a rimanersene a letto nella sua stanzetta di Potsdamerstrasse. Il malato, già in via di convalescenza, lo accolse con grande gioia.

Dopo tutto Heinz era, dei tre, il più vicino a lui; quello verso cui, per naturale simpatia, egli si sentiva più attratto.

Professore! Professore! Non s'accosti per carità! Non mi faccia avere il rimorso di averle comunicata l'influenza...

Lasci stare i rimorsi, caro Màtterdisse Heinz, accostando una sedia al letto e sedendo. — Mi dica come va, piuttosto.

Domani mi alzorispose Màtter, gaio. — Sono stufo; non ne posso più.

— Non faccia imprudenze, amico. È troppo facile ricadere. E lei deve aver bisogno di star bene ora, se quel che mi ha telefonato proprio adesso Staff è vero.

Staff? Staff le ha telefonato?

— Un'ora fa. Come vede non ho tardato a venire; in veste di evangelista: portatore di buone novelle. Adesso si rimbocchi bene le coperte fin sul naso, e faccia bene attenzione. Dunque mi ha detto Staff... Ma no, caro Màtter! Le ho detto di mettersi sotto, e lei salta su come una cavalletta. Giù, sotto, da bravo, così.

Màtter obbedì, come ipnotizzato, senza staccare gli occhi da quelli di Heinz; ma il cuore già gli batteva forte, e un rossore di gioia gli saliva alle gote. Dunque Staff...

— Dunque Staff le appuntamento per domenica alle nove a casa sua. Si scusa di non averle scritto, e di non essersi fatto vivo per un mese. Lei sa meglio di me che uomo sia Staff, e non c'è bisogno di cercare giustificazioni al suo silenzio. Dice che in questo mese ha riflettuto molto sulla sua proposta, e che, in linea di massima, salvo naturalmente uno studio più accurato da farsi insieme con lei, e senza che ciò costituisca impegno da parte sua, è disposto a prenderla in considerazione. Ma stia giù, benedetto figliolo! Vuol riammalarsi proprio ora?

Questo è quanto io dovevo dirle da parte del signor Staffcontinuò. — Per conto mio posso aggiungere, molto riservatamente, s'intende, che mi consta che egli abbia eseguita una specie di inchiesta molto segreta tra un certo numero di «esperti». Lo so perchè tra questi esperti... c'ero anch'io.

— E lei? E lei professore? — interrogò Màtter ansioso — Che cosa ha detto?

— Non ho detto niente, io. Io ho mostrato. Credo che lei mi avesse autorizzato a farlo, vero? Ho fatto assistere Staff ad alcune prove di pressione, per radiazione meridiana, a cielo sereno.

— Quanto ha registrato? — interruppe Màtter.

Undici chilogrammi circa, per una superficie di tremila centimetri quadrati. Corrisponde.

— E si è convinto? Convinto del tutto?

Credo bene di sì. Ma parlerà lei stesso del resto. Io per il momento la mia missione l'ho compiuta, e felicemente. È contento?

— Se sono contento, professore! Salterei dalla gioia, se lei non mi avesse proibito di muovermi! Come la ringrazierò ora? Se ho potuto entrare in relazione con questo miracoloso uomo lo debbo a lei! e ancora a lei debbo la revisione dei miei calcoli!

— Che erano esattissimi! Dunque vede che di mio ci ho messo molto poco! esclamò Heinz, cordiale. — Mi ringrazierà dandomi un posticino nelle sue Memorie, quando le scriverà. Memorie dell'uomo che raddrizzò l'asse terrestre: Erdachsenrichtererinnerungen.

Dirò in queste memorieosservò Màtter ridendo, — che il professor Heinz non ha voluto però dire la sua opinione personale sulla mia impresa.

— Mio caro Màtter, Fried Heinz ha cinquantatrè anni, ma è di spirito assai vecchio, molto vecchio. Quel che potrebbe dirle non gioverebbe che a raffreddare il suo bell'entusiasmo, e lei ha bisogno invece di energia e di fede.

— Come? — esclamò Màtter sorpresoRaffreddare il mio entusiasmo? In che modo? Perchè?

— Ma no, ma no. Idee da vecchi, le dico. Perchè vuol che le guasti la sua grande gioia di oggi?

— Ma perchè quel che pensa lei mi preme saperlo! Perchè ho fiducia in lei! E questo suo voler tacere mi fa pensare che lei abbia delle riserve da fare, spiacevoli per me.

— No, no — disse Heinz, rassicurante. — Niente, proprio niente di spiacevole. È il mio modo di vedere le cose. Io non sono un pessimista, sa, nella vita. Ho sempre lavorato. Ho sempre avuto davanti a me qualche meta. Molte di queste mete le ho raggiunte. Poi, man mano che le raggiungevo, mi accorgevo che non valeva la pena di averle perseguite. Ho finito col convincermi che non esiste niente che valga veramente la pena di essere raggiunto.

— Ma, il mio caso, anzi... —   obiettò Màtter.

So cosa vuol dire. Il suo caso è tipico; è l'eccezione per antonomasia. Se non vale la pena di portar a compimento un'impresa come la mia, pensa lei, niente vale la pena di esser fatto. Ma appunto perchè il suo è il caso tipicamente eccezionale, la mia opinione si conferma. Ma perchè devo affliggerla con le mie geremiadi?

— Al contrario, la prego, la prego io, di dire il suo pensiero, tutto! — esclamò Màtter.

Heinz allargò le braccia. — E allora parlerò disse. — Il mio pensiero è semplice. Per un uomo non ci sono che due vie; o vedere la vita come una strada da percorrere, o vederla come uno spettacolo da guardare. Se si ha la fortuna di vederla come una strada; tutto va bene. Dal garzone di stalla al ministro, l'immensa maggioranza degli uomini vede così. Badi che per «strade» io intendo anche quelle che salgono. Percorrere una carriera, farsi un nome, diventare potente e famoso, sono variazioni di un unico tema: quello del benessere da raggiungere, della vanità da soddisfare. Chi vive così appartiene alla schiera dei contentabili, e può essere felice a qualunque tappa si trovi del suo cammino, ogni volta che qualche fatto esterno venga a produrgli un incremento di benessere. La felicità non è nel benessere; è nel suo aumento. Più l'aumento è rapido, più intensa è la felicità. In gergo matematico la felicità è la «derivata» del benessere rispetto al tempo1. Il naufrago nel momento in cui riesce ad afferrare il salvagente, è felice; eppure nessuno potrà dire che il suo benessere in quel momento sia grande. Ma queste sono divagazioni. Per chi si contenta, dicevo, la felicità è a portata di mano, a tutte le ore; ma per chi guarda la vita dal di fuori, le cose vanno diversamente.

Quando il benessere materiale o morale non basta più — continuò Heinz dopo una pausa — la faccenda si fa più grave. Che cosa appaga più? Niente. Si pensa (parlo di me, ma forse qualche cosa di quel che dico vale anche per lei) si pensa che non ci si potrebbe appagare se non di un assoluto. Ma dove sono gli assoluti? La ricchezza e la potenza sono degli assoluti? Basta la rottura di un minuscolo vaso sanguigno per scaraventare sotto terra il più potente degli uomini. Dopo, tutto tornerà uguale; nell'economia dell'Universo, che cosa sarà valsa la breve vita? L'immortalità; ecco un assoluto; quello, anzi, tra gli assoluti, a cui più mirano gli assetati di quest'acqua chimerica. Per assicurarsene una parodia, essi prodigano per cinquanta, sessanta, settanta anni, tutte le energie di cui sono capaci. Ma è una parodìa. Che la memoria di un uomo duri due giorni o duemila anni che importanza ha? Lei che è matematico sa che esistano, di fronte all'infinito, differenze tra quantità finite? Se si respira una volta sola l'atmosfera dell'illimitato, tutto ciò che ha un termine asfissia; eppure tutto ciò che è umano ha un termine. Noi ricordiamo Platone e anche Mosè; ma di Atuni, divinizzato dai suoi contemporanei Lemuri, chi di noi ha mai sentito parlare? E da quel tempo l'asse terrestre, da lei preso di mira, non ha compiuto ancora un intero cono di precessione!

Altri assoluti? Sì; l'onnipotenza; è la meta, perdoni, verso cui inconsciamente si è incamminato lei. Ma quando avrà raddrizzato l'asse terrestre, che cosa avrà fatto? Avrà impresso uno spostamento angolare di 23 gradi e mezzo ad uno dei duemila miliardi di mondi costituenti uno degli ottanta miliardi di sistemi stellari di cui si compone quello che noi chiamiamo Universo. La sua fama durerà su quel corpuscolo per parecchi millenni; qualche cosa come la decimiliardesima parte dell'età che noi crediamo di poter attribuire oggi ad una determinata trascurabile fase (la fase di «espansione») della vita di questo Universo.

È molto poco. La facoltà veramente grandiosa della nostra mente è quella di comprendere. Questo sì che vale! Questo sì che è grande! In un piccolo cervello trovano posto tutti gli infiniti, anche quelli che i sensi non afferrano e solo la matematica suggerisce. Ma «fare»! Che cosa può fare l'uomo che stia alla pari, per grandezza, con quello che egli può comprendere? Che gioia può ricavare dall'azione un uomo che abbia potuto riflettere in , anche per un solo momento, tutto l'esistente? Raddrizzare l'asse terrestre? È un'impresa che, nell'economia dell'universo, conta poco più che spostare questa sedia.

— Ma se nessuno agisse, se nessuno avesse mai agito, a questo mondoprotestò Màtter, — lei non potrebbe neppure, ora, pensare così! Quello che lei oggi sa, lo deve al lavoro degli uomini che l'hanno preceduto, i quali hanno studiato ed operato perchè lei e noi potessimo cogliere il frutto della loro fatica; e la nostra conoscenza non ha altra radice che l'azione!

— E che importanza ha che io possa pensare così? Quando avrò pensato qualche anno ancora sarò morto. La mia sapienza mi avrà dato qualche soddisfazione; ma se fossi stato un selvaggio, soddisfazioni non me ne sarebbero ugualmente mancate!

— Ma in un livello ben più basso!

— Ma il mio livello attuale è forse un assoluto? Di fronte agli abitanti di cento milioni d'altri mondi della gran patria universale, noi siamo certo peggio che selvaggi, se la legge della probabilità non sbaglia, il che sarebbe il più curioso dei casi. Ne abbiamo forse coscienza? Macchè! Ci pare d'essere dei privilegiati. Ma lei si scopre continuamente, mio caro Màtter! Si metta sotto, tranquillo, e pensi a realizzare il suo sogno. Questo è ciò che importa in questo momento. Vede che sono sceso dal mio scanno? E tanti auguri. E arrivederci presto. Se domani starà meglio, mi mandi un biglietto; e poi venga sabato sera a casa mia. Discuteremo sugli impianti preliminari per le sue officine. Non ci pensi, a quello che ho detto. Idee da vecchio; da vecchio che ha ancora poco da campare.

 

Il Reichstag buttò giù con molti voti di maggioranza il Gabinetto; e al timone dello Stato il vecchio Presidente del Reich dovette chiamare un cattolico di destra dal poco peregrino nome di Müller. Il quale il giorno stesso si recò di persona in casa di Staff ad offrirgli il dicastero dell'Economia.

Un grande, audace piano di riforme tributarie era balenato alla mente di Müller; e Staff, l'uomo del momento, malgrado la sua nota ingerenza in una quantità di imprese industriali e bancarie, era l'unico che fosse in grado, col suo acume e la sua esperienza, di sbrogliarne l'intricata matassa.

Staff prese ventiquattro ore di tempo per studiare la situazione e riflettere. Quell'offerta lo sconcertava; ma nello stesso tempo lo lusingava. La situazione politica s'era inverosimilmente ingarbugliata negli ultimi giorni; quella economica lo era già da un pezzo; occorreva, per trovare in quel caos una via d'uscita, un uomo di eccezionali qualità di mente e di energia; e il vedere che in quel frangente il cattolico Müller era stato costretto a pensare proprio a lui, non certo sospettato di simpatia per il gruppo di Müller, lo faceva legittimamente inorgoglire. Una vecchia idea, da tempo abbandonata, risorgeva in quella circostanza, nel cervello del dinamico Staff; un'idea sottile e nello stesso tempo grandiosa; la cui riuscita avrebbe potuto provocare una rinascita finanziaria che avrebbe avuto per l'Europa l'effetto di un magistrale colpo di scena. La perfezionò febbrilmente, in quelle ventiquattr'ore, consultando archivi e documenti, riempiendo di cifre fogli su fogli. Voleva esser ben certo che avrebbe potuto tradurla in realtà, ed esordire come ministro con un atto di accortezza e di audacia tali da far sbalordire. Se il suo piano riusciva, se il gioco andava bene, quale successo! Müller era un debole; una figura di secondo piano; egli, Staff, ne valeva dieci, di Müller; le sue qualità avrebbero avuto campo di brillare nello scialbo gabinetto, e dall'Economia alla Presidenza il passo non sarebbe poi stato tanto lungo.

Hans.

Comandi, «Eccellenza».

— Non dir sciocchezze, Hans... A che ora debbo andare dal Presidente?

— Alle nove, domattina.

Bene. C'è niente di impegnato per quell'ora?

— Nulla. Ah, sì! Màtter, il signor Paolo Màtter.

Staff rimase un momento sopra pensiero. Poi si scrollò nelle spalle.

— Gli dirai... gli dirai che sono dal Presidente.

— E devo farlo tornare?

Digli che gli scriverò io. Ma che abbia pazienza. Con bel garbo. Fagli capire che per un bel pezzo avrò molto da fare. Ah, se volesse in restituzione un certo incartamento, è quello , guarda, sullo scaffale, nella cartella rossa.

 

L'idea di Staff, una volta tanto, era stata cattiva.

Il piano fallì. Staff, trascinato dall'ingranaggio che aveva messo in movimento, ne fu stritolato.

Nella crisi con cui il paese scontò gli errori dei suoi governanti, molte industrie furono travolte, e il numero dei disoccupati raggiunse cifre così alte come mai negli ultimi vent'anni. Màtter, licenziato per necessità dalla ditta in cui era impiegato, rimase solo, sperduto e senza mezzi, nella città dove aveva sognato i suoi grandi sogni; e dovette all'amicizia di Maurizio la fortuna di trovare miracolosamente un posticino di quart'ordine nella banca di Maurizio stesso.

Sullo scartafaccio contenente l'invenzione, molta polvere s'era accumulata quando, una sera, scorrendo il giornale, Màtter vi lesse l'annuncio della morte dell'ex ministro. Staff s'era ucciso con una rivoltellata, nella stanza di un albergo. La catastrofe lo aveva vinto; l'uomo dei rovesci e delle fortune, stanco, aveva perduto la forza di lottare.

Màtter alzò gli occhi, quasi meccanicamente, dal giornale alla mensola dov'era il suo incartamento. Ora era finita per davvero. Si sentiva stanco, invecchiato, senza energia. Pensò che dieci giorni lo separavano ancora dalla riscossione del prossimo stipendio; in tasca non aveva più che pochi marchi. Avrebbe dovuto chiedere del denaro a Maurizio, un'altra volta; gliene avrebbe dovuto chiedere dell'altro il mese successivo; e così via, chi sa fino a quando; chi sa per giungere a quale mèta. Lottare? Resistere? Pensò alle teorie di Heinz; in fondo non erano poi tanto assurde. Della scala da salire, egli era ripiombato all'ultimo gradino; bisognava ricominciare, su, su, ancora, per anni, per altri anni... Perchè? Per vincere. E poi? Per morire; come Staff, come tutti, uno dopo l'altro. Era stanco, stanco...

La macchinetta del caffè mise un fischio, vaporando improvvisa e quasi festosa. Màtter balzò su come a un richiamo. Aspettò che la tazzina fosse piena, bevve. Poi accese una sigaretta, si passò una mano sulla fronte come per scacciare un cattivo sogno, e andò allo scrittoio. C'era un mucchio di pagine, piene di minuti caratteri manoscritti; la tesi di laurea di uno studente ricco, da rivedere e correggere per cinquanta marchi: una somma. Sedette e ricominciò la lettura, annotando di tratto in tratto, attento; e con la lettura ricominciava la vita, la sua vita; quella che lo avrebbe portato — presto o tardi o mai, non importava — alla mèta che non potevano aver veduto Staff il miope, Heinz il presbite, Maurizio l'astigmatico.

E questo riprendere, nudo e impavido, il cammino, era sì un assoluto; l'unico assoluto che possa dissetare gli uomini, l'unico che possa portare, ai lor occhi ciechi, le stelle; ed è: ascoltarsi e viversi.




1 Vedi note.




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