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Cap. 15
Ritirandosi Alfonso dalla Diocesi di Napoli, effettua
un altra fondazione ne' Pagani, e portasi colle Missioni in altri luoghi.
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Benchè sperimentasse Alfonso
il gran profitto, che colle sue Missioni si ricavasse nella Diocesi di Napoli,
e 'l compiacimento, che tutto giorno dimostravane l'Eminentissimo Spinelli,
tutta volta non ci persisteva che con somma sua pena.
Rifletteva al bisogno
di tanti luoghi abbandonati in altre Diocesi, e che il bene, che da esso si
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in quella di
Napoli, potevasi dal Cardinale ottenere anche senza l'opera sua per mezzo di
tanti altri Missionarj, laddove tanti Vescovi, perchè privi di Operarj, nol
potevano conseguire nè in tutto, nè in parte. Questo riflesso affliggevalo
estremamente. Pregava, e macerava se stesso avanti a Dio, per accertare qual
fosse il suo divino volere.
Tra queste sue
angustie, non voleva Alfonso disgustare il Cardinale, ma rincrescevagli
compiacerlo di vantaggio. Era persona molto accetta all'Eminentissimo Spinelli,
perchè uomo di merito, il Canonico D. Giacomo Fontana. Alfonso non avendo avuto
lo spirito di spiegarsi col Cardinale, erasi spiegato tempo innanzi col
Fontana. Posto in bilancio dal Canonico l'uno, e l'altro bisogno: ed essendosi
persuaso della realtà delle cose, si compromise coadiuvarlo. Fu questo un
principio di fondata speranza per Alfonso: "Scrivo ora, che Sua Eminenza
non è stato parlato ancora, così scrisse al P. Sportelli; ma le cose stanno
bene incamminate, perchè Fontana si è capacitato, ed ha promesso favorirmi.
Benchè così sperasse
Alfonso per mezzo del Canonico, tuttavolta non mancò raccomandarsi a varie
Anime sante, che impegnate si fossero presso Dio, per ottenerli dal Cardinale
un libero ritorno nella sua diletta Casa di Ciorani. Questo istesso incaricò
anche ai suoi. Sopratutto raddoppiò in se la penitenza, e vedevasi ai piedi del
Crocifisso, per ottenere una tal grazia.
Vi è lettera al P.
Sportelli fin da' 22. Luglio, che scrive così: "Raccomandatemi tutti a
Gesù Cristo, e fatelo tutti specialmente nella Messa. Pregate che Gesù Cristo
mi liberi da Napoli, se è gloria sua. Il Cardinale non è tornato ancora; ma io
tengo in capo, che difficilmente ci lascerà partire: almeno come dicemmo, ne
caveremo l'andare, e venire.
Fu malamente intesa dal
Cardinale la parlata del Canonico Fontana, e la pretensione di Alfonso. Si
afflisse, si perturbò, anzi si dichiarò, essendo così, voler dismettere le
Missioni. Credeva, tant'era l'idea, che avevasi di Alfonso, che mancando esso,
sarebbe mancato tutto.
Questa risoluzione del
Cardinale amareggiò maggiormente, e pose in altra costernazione Alfonso, sì per
lo bene, che si sarebbe perduto in quella Diocesi: si perchè il Cardinale
sarebbe restato disgustato con se, e colla Congregazione. Ma insistendo il
Fontana, che l'opera, ancorchè mancasse Alfonso, non era per soffrirne
detrimento, essendoci il Sacerdote D. Matteo Testa, che colla sua abilità, e
zelo, poteva supplire a tutto, e far da Capo agli altri Missionarj; tanto più,
che le Missioni già eransi incamminate, e poste nel suo piede dal P. Liguori,
condiscese il Cardinale, ma con patto, che ci restasse il P. Sarnelli, e non il
Testa per Superiore, e Direttore degli altri.
Così si fece; e
persistette il Sarnelli con soddisfazione del Cardinale fino all'anno 1748.
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In atto che Alfonso
andò a licensiarsi dal Eminentissimo Spinelli, e fu a' 30 Luglio di questo
medesimo anno 1742, cavalcò al solito il suo somarello, e traversando Napoli
col P. Villani, andò a smontare nel cortile dell'Arcivescovado. Varie furono in
questa comparsa le derisioni de' spiriti superbi, ma i buoni se ne
compiacquero, e restarono edificati.
Mentre Alfonso se ne
stava umile, e dimesso in un angolo dell'anticamera, aspettando sfollata
l'udienza, e vi erano Cavalieri, e Canonici in quantità, uscendo il Cardinale
accompagnando non so chi, in vedere Alfonso si scusa per l'imbasciata non
ricevuta; e nulla badando ai tanti altri Signori, sel prende per la mano, e
tutto affetto l'introduce nella propria stanza. Che vi pare, Padre D. Alfonso, li disse a prima giunta, la mia Diocesi è anche bisognosa, come
tutte le altre? Entrati poi in discorso delle Missioni fatte, e da farsi,
volle intendere i suoi sentimenti, ed essere illuminato dello stato della
Diocesi, e di ogni altra cosa, che potevasi intraprendere in vantaggio di quei
Diocesani. Si spiegò, che con somma sua pena permettevagli il ritirarsi.
Lo ringraziò Alfonso
de' favori ricevuti, ed implorò il di lui Patrocinio per la sua Congregazione.
Essendosi licenziato dal Cardinale, passò di nuovo nella Barra; e soddisfatto,
come promesso aveva per la Novena dell'Assunta, tutto lieto fe ritorno col P.
Villani nella Casa di Ciorani.
Non andarono a vuoto i
progetti del Rettore Contaldi in Nocera, nè i desiderj de' Cittadini de' Pagani
per avere i nostri a loro beneficio. Tutti erano in moto per questo: Preti,
Religiosi, e Gentiluomini.
Monsig. de Dominicis ne
sospirava i momenti; e non finiva consolarsi il zelante Prelato, vedendo il
gran bene, che risultar poteva alla sua Diocesi. Assodato il tutto, venne
chiamato Alfonso da' Ciorani, e vi fu sulla fine di Settembre in unione del P.
Sportelli.
Donò il Contaldi molti
mobili, e stabili, riserbandosi in morte altra disposizione di ducati tremila.
Si spiegò di voler convivere coi nostri, e donò ancora il proprio Palazzo. Così
si obbligò anche Alfonso alimentare il Contaldi, e farlo servire, come si
conveniva. Il tutto si vide effettuato ai tredici di Ottobre del medesimo anno
1742, con soddisfazione di tutti i ceti.
Si fermarono in Casa
del Contaldi i Padri Sportelli, Mazzini, e Giordani, destinandoci Alfonso per
Rettore lo Sportelli. Tutti avrebbero voluto Alfonso di permanenza ne' Pagani;
ma non potette compiacerli, e fe di nuovo ritorno nella Casa di Ciorani.
Disbrigato Alfonso
dalla Diocesi di Napoli, ripigliò all'entrata di Novembre le sue Missioni.
Sulle prime si portò nello Stato di Montuori: indi predicò la Penitenza nel
Casale di S. Pietro, e nell'altro, ch'è detto Piazza di Pannola. Non potendo
dar in dietro la Diocesi di Nocera, perchè troppo vedevasi obbligato con
Monsig. Vescovo, passò colla Missione nel mese di Gennaro 1743 nella Terra di
Corbara, e nel casale di S. Lorenzo.
In seguito fu di nuovo
in Diocesi di Salerno, e fu con sommo profitto di quei Popoli, in S. Maria ad
Ogliaro, e nell'altro Casale di Antessano. Monsig. de Dominicis, che ben
vedeva, come Iddio benediceva le sue fatiche, non mancò premurarlo per riaverlo
in Diocesi.
Verso la metà di Marzo
portossi Alfonso nel Casale di San Michele, luogo popolato di circa tremila
Anime, e consolò ancora, con una messe troppo abbondante, il Casale di
Fioccano, e l'altro de' Pareti. Nel cader di Aprile ritornò di nuovo in Diocesi
di Salerno. Fu colla Missione nel Casale di Spiano, ed in varj altri luoghi di
quella vastissima Archidiocesi.
Gran frutto fece
Alfonso per le Anime in queste Missioni, e grandi furono i meriti che acquistò
per se medesimo.
Avendo fatta la
missione in una di quelle tante popolazioni, ed a stento avendo abitato in un
Convento de' Regolari, così obbligati da Monsignor Arcivescovo, se di mala
voglia fu ricevuto, inumanamente fu licenziato. Appena terminata la missione,
ancorchè aggravato da febbre, il Superiore fe sentirli di presto sloggiare;
come di fatti, colla febbre addosso; senza punto lagnarsi, ne partì.
Essendosi portato dopo
questa missione, anche per ispecial commessa di Mons. Arciv. a S. Tecla, Casale
di Montecorvino, ebbe ivi, ancorchè convalescente, un altro complimento. In
sentire il Parroco, che egli era per arrivare, essendosi fatto avanti, tutto
fuoco, qui non ci è luogo, li disse: Ve l'ho mandato dicendo, e con questo
lo caricò di termini non dovuti. Alfonso ad una tale accoglienza non si fa
ragione per l'avviso non ricevuto, si umilia, e cerca raddolcire il Parroco: ma
tutto fu inutile. Non potendo soffrire tale e tanta sgarbatezza un Notaro, si
offerse, e condusselo in Casa sua. Si fece la missione, e riuscì con gran
frutto.
Non altrimenti, così
permettendo Iddio, fu onorato in Conca. Essendovisi portato, premuto da Monsig.
Arciv. di Amalfi, il Parroco, che non voleva la missione, bruscamente lo
ricevette, e con maggiore sgarbo li negò qualunque ricetto. Alfonso non si
scompose, ma con tutta pace risolvette ricettarsi in un cantone della Chiesa.
Vedendolo così
malmenato un gentiluomo, sgrida, e si risente col Parroco, e diedeli luogo in
casa sua. La missione riuscì fervorosissima: vi furono molte conversioni,
restituzioni di somme eccedenti, e famiglie rappacificate. Tutto il popolo nel
partire si vide al lido del mare, e piangendo gridava: Padre già ci lasci; nè si ritirarono dal lido, se non quando lo
perdettero totalmente di veduta.
Mentre Alfonso a
dispetto del Mondo crocifiggeva se stesso ne' Ciorani, ed operava tanto per
Gesù Cristo, e per le Anime, il mondo non lasciava mezzo per guadagnarlo.
Rincrescendo a D. Giuseppe suo Padre - 140 -
vederlo in mezzo a' Pretazzoli, e marcire tra' Contadini, e tra' Proquoi,
non avendo avuto l'intento di vederlo decorato da secolare nel Senato di
Napoli, cercava vederlo vantaggiato in quello della Chiesa colle cariche
Ecclesiastiche. Non poteva mancare ad Alfonso una Chiesa delle più cospicue nel
Regno, sì per la nobiltà de' Natali, che per gli suoi talenti, e maggiormente
per l'opinione di uomo zelante e tutto di Dio, che presso tutti godeva. Varj
erano i maneggi che suo Padre faceva, e tenevalo anche ricordato colle sue
lettere.
Non gradiva questo
fiotto Alfonso. Tra l'altro così si spiega in una sua de' 5 Agosto.
"Per lo Vescovado, Gnore mio, a non me lo nominate più,
se non volete darmi grave disgusto, mentre ancorchè riuscisse, io son pronto
rinunciare anche l'Arcivescovado di Napoli, per attendere a questa grand'opera,
alla quale mi ha chiamato Gesù Cristo. Se io la lasciassi, io mi stimerei quasi
per dannato, perchè lascierei la chiamata, che Iddio mi ha fatto conoscere con
tanta evidenza. Onde vi prego non parlarne più nè con me, nè con altri: tanto
più che nel nostro Istituto abbiamo per Regola doversi rinunciare i Vescovadi,
e tutte le Dignità. Io non lascio raccomandarvi a Gesù Cristo; e voi beneditemi
sempre, acciocchè io sia fedele a quel Dio, a cui devo tutto. Resto con
baciarvi i piedi umilmente, e cercandovi la Santa Benedizione".
D. Giuseppe, non v'ha dubbio, troppo vedevasi impegnato per veder
in questo mondo vantaggiato il figlio, ma non tanto, quanto era sollecito
Alfonso per veder suo Padre vantaggiato in Cielo.
Spesso spesso, come
aveva l'occasione di scriverli, non mancava ricordarli il gran negozio della
propria Anima. Una volta tra le altre così li scrisse:
"Vi prego Gnore mio a stare un poco più unito con Dio, confessarvi più
spesso, e tenere i conti apparecchiati, perchè quando viene Gesù Cristo, allora
non è tempo di rimediare. Pensate, che già siete avanzato di età: Chi sa fra
quanto tempo, non vi trovarete più su questo Mondo; ed è certo, che questo ha
da essere, o volete o no. Io ogni mattina vi raccomando alla Messa, e temo
molto molto della vostra salute eterna: spero a Maria Vergine, che vi abbia da
aiutare; ma Maria Vergine senza Voi non potrà far niente, e vi bacio i
piedi".
Manca la data. Calca la
penna Alfonso, perchè troppo ne viveva interessato.
Sino a questo tempo ebbe Alfonso, come dissi, per sua
guida nelle cose dell'Anima, ed anche per gl'incidenti della Congregazione,
Monsignor Falcoia Vescovo di Castellammare.
Essendo questo passato
a miglior vita a 20 Aprile 1743 elesse suo Direttore, e colla stessa legge di
soggettarsi - 141 -
sub gravi il nostro Padre D. Paolo
Cafaro uomo Santissimo, e troppo esperto nella guida delle Anime.
Fu sensibile a tutti, e
molto più ad Alfonso la morte di questo S. Prelato. Amava Monsignor Falcoia
l'Opera di Alfonso, come opera sua, e non mancava coadiuvarlo in tutto quello
che poteva. Vedendosi assistito dallo Sportelli, anche suo figlio in Gesù
Cristo, e da altri de' nostri, tutto si consolava. In quelli estremi, rivolto a
Monsignor Anastasio, Arcivescovo di Sorrento, protestando, e richiamando in se
tutto lo spirito, Monsignore, li
disse additando lo Sportelli, quest' è
Opera di Dio (intendendo la Congregazione), Dio la benedirà, e si propagherà come gramigna.
Monsignor Milante, suo successore
fa in ristretto un compendio della di lui vita. Avendo questi formato nella
Cattedrale un sepolcro comune a tutti i Vescovi, e trasportandosi a capo di
anni in questo sepolcro anche le ossa del Falcoja, il Sacerdote D. Giuseppe Cerchia ne prese tre della mano, ma aride, e sciolte;
ed avendole date avvolte in una carta alla serva di un Conservatorio, che egli
il Falcoja eretto aveva, questa per istrada sentendosi riscaldata la mano,
guarda, e vede tutta la carta insuppata di vivo sangue.
Questo
solo basta, se altro manca, per autenticare la santità di Monsignor Falcoja.
Posizione Originale Nota - Libro II,
Cap. XV, pag. 140
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