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Cap. 18
Altri nuovi attentati ne' Pagani contro alla Casa, e
Congregazione; e zelo de' principali Cittadini in Napoli, ed in Roma.
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La tempesta ne' Pagani,
anzi che pacarsi, vedevasi tutto giorno infierita. In queste angustie così
gravi, se chiese Alfonso l'opera dell'uomo, per veder protetta l'Opera di Dio,
maggiormente ricorse all'aiuto divino aiutandosi coll'orazione, e colla
mortificazion di se stesso. Stretto alla croce del travaglio, implorò ancora
presso Dio e orazioni di molte Anime sante, specialmente di varj Monasteri.
Sopratutto, non mancava, mettendo nelle mani di Dio i suoi interessi, girare
colle Missioni, e fare guerra al peccato ovunque era chiamato, o destinato ne
fosse dall'Arcivescovo di Salerno, e dal Medesimo Monsig. de Dominicis.
Avanzate le
contradizioni, non solo attraversar volevasi ne' Pagani questa nuova Casa, ma
estirpar si voleva dal Mondo l'intiera Congregazione. Questo indebito livore, e
molto più lo strapazzo di Alfonso, e de' suoi, accesero di zelo, non che i
Gentiluomini de' Pagani, ma quei di Nocera, e dell'altre popolazioni. Con modo
speciale ne' Pagani si dichiarò in favore dell'Opera l'ottimo Gentiluomo D.
Lucio Tortora, ed in Nocera, e ne' Casali non ci fu casa, che non si
dichiarasse per Alfonso.
Sette Università
costituiscono il Comune di Nocera; ed oltre i proprj Sindaci, unite insieme,
eleggono ogni anno, per li comuni bisogni, tre Sindaci generali. Tolta
l'Università de' Pagani, che, come dissi, vedevasi divisa, tutte le altre
interessate si dichiararono per la Fondazione, obbligando i Sindaci generali ad
un generale parlamento. Fu questo tenuto a' trenta di Maggio 1744 nel luogo
detto S. Angelo in Grotta.
Essendosi proposta da
D. Pietro Longobardi uno de' Sindaci generali - 151 -
(e non erano meno i congregati di cinque in sei
cento, buona parte Patrizi, e Gentiluomini), l'onestà de' Missionarj, e il loro
zelo, ed i bisogni de' rispettivi paesi, tutti una voce vollero, che difesi si
fossero, e confermata ne' Pagani la loro permanenza.
Tra i tanti popolari contrari, che ci erano, niuno ebbe lo spirito di profferir
parola avanti un consesso così autorevole. Uno vi fu, che si oppose; ma
inseguito colla spada alla mano dal zelante cittadino D. Gaetano di Francesco
Gentiluomo di Nocera, se non dirupavasi da sopra un muro, troppo male si sarebbe
venuto. Trovandosi esausta la cassa del Pubblico, tutti i radunati si
obbligarono mantenere in Napoli a proprio interesse Avvocati e Procuratori in
difesa di Alfonso, e de' suoi.
Quest'applauso così
comune, se confuse, ed attirò le lagrime ad Alfonso, irritò vie più e Preti e
Regolari. Ancorchè si avesse in contrario un torrente di cittadini i più
prepotenti, non per questo si danno in dietro.
Sul principio di Giugno attaccano Alfonso in Napoli, ed in Roma. Benchè per la
Fondazione ci fosse il consenso del Sovrano, danno faccia di Collegio illecito
alla nuova Casa, e fanno presente al Re, che la Congregazione non era, che un
ammasso di vagabondi, inutili allo Stato, e più nocivi alla Religione.
In Roma la rappresentano come combriccola fondata senza assenso apostolico, e
contraria ai canoni, ed alle leggi pontificie.
Vedendo Alfonso, che
coi rami si dava alla radice, e che ci andava di sotto tutta la Congregazione,
richiamando in se gli spiriti antichi, voglio dire lo spirito del Foro, colle
leggi Civili alla mano scioglie le opposizioni in contrario, assoda le ragioni
a suo favore, e fa vedere alla Maestà del Principe quali siano o no i Collegi
illeciti.
Così in Roma colle medesime Bolle Pontificie e coll'autorità de' canoni
sostenne l'Opera, e pose in silenzio gli avversari. Rappresentò, che tutte le
Religioni non furono approvate adulte nella Chiesa, senza prima essere state
bambine sotto la protezione de' Vescovi. Con questo, siccome meritò in Napoli
la clemenza del Sovrano, così godette in Roma la grazia del Papa, e di que'
savi Porporati.
Fallito
quest'attentato, che credevasi insuperabile, ci fu altro ricorso in Sacra
Congregazione. Si espone dannosa, non che inutile la permanenza di Alfonso, e
de' suoi ne' Pagani: che la Città, oltra tante Chiese, era assistita da un
Rettore, e quattro Parochi: che in sussidio di questi ci erano i Padri
Carmelitani, i Paolotti, e i Cisterciesi: che per la gioventù ci era un
Collegio de' Padri Scolopi, ed a beneficio comune una Congregazione di
Missionarj cittadini; e che il popolo veniva istruito di continuo da' Preti, e
Regolari con prediche, catechismi, ed altre pie funzioni. Mancando la limosina
delle messe colla venuta de' nuovi Missionarj, i Preti cittadini, che altro
provento non avevano, ridotti si sarebbero a mendicare.
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Vere, o false che
fossero queste cose, non ci mancò ancora la contumelia. Dicono, che con
iscandalo i Missionarj compravano, e rivendevano a caro prezzo crocifissetti,
cilizj e catenette: che, defraudandosi la mercede alle donne, davasi loro lino,
e canape da travagliare, e che dopo la predica, anche con doppio scandalo,
imponevasi al popolo il trasporto di pietre, ed altro con proprio utile.
Si lagnano, e
sopratutto si fanno forti i Regolari, che introdotti si erano in Città i
Missionarj senza il loro consenso, richiesto da' Canoni, e dalle pontificie
Sanzioni: molto più, che non avendo questi rendite sufficienti, mendicar si
vedevano con proprio pregiudizio. Uniti insieme Preti, e Regolari supplicano
ordinarsi a Monsig. Vescovo, che sospenda la fabbrica di Casa, e Chiesa: che
s'inibisca a' Missionarj il più mendicare; e che si obbligassero questi a
comparire avanti la Santità Sua, come incorsi nelle censure comminate da'
Canoni, e dalle Bolle Apostoliche.
Appena si seppe questo
nuovo attentato, che subito si posero in armi in difesa di Alfonso i
Gentiluomini de' Pagani, di Nocera, di Corbara, e Sant'Egidio.
Trentasei di questi a' sedici di Luglio costituiscono in Roma Avvocato, e
Procuratore; ed oltre otto Parochi delle respettive popolazioni, anch'esso il
Capitolo della Cattedrale, il Clero di Nocera, e tra gli altri, ventitré del
Clero de' Pagani ricorrono al Papa, e ne prendono le difese.
Espongono al Papa il
gran bene, che Alfonso coi compagni operato aveva colle sante Missioni in
Diocesi di Salerno, ed altrove: le tante conversioni di ecclesiastici secolari,
che vedevansi tutto giorno coi santi esercizj nella Casa de' Ciorani: l'aiuto,
che prestavano ai Parochi de' rispettivi paesi; ed oltre i tanti divoti
esercizj nella propria Chiesa, assistevasi a' moribondi, ed istruivasi la
gioventù ne' doveri cristiani. Si esalta la vita esemplare di Alfonso, il suo
disinteresse, il suo zelo per Dio e per le Anime, e supplicano il Papa di voler
proteggere questa grand'opera di tanta gloria per Gesù Cristo, e di tanto
vantaggio per la santa Chiesa.
I giri della
Provvidenza sono imperscrutabili: ed uopo è dire che questa volta, con tale
attentato, ingannò se stessa la propria malizia. Con sì fatte contrarietà e
rapporti, essi medesimi i malevoli fecero strada in Roma, per conoscersi dal
Papa chi fosse Alfonso, e di qual merito nella Chiesa la nascente
Congregazione.
Sedeva sulla Cattedra di S. Pietro Papa Benedetto XIV. Sentendo questi nuovo
istituto in Regno, e non essendoli nota la persona di Alfonso, incaricò
l'Eminentissimo Spinola per un informo sincero dal Vescovo di Nocera.
Ricevuto l'incarico
Monsig. de Dominicis, contesta a' tre di Agosto il numero de' Parochi, e de'
Regolari, le varie Chiese, e i divoti uffici, che si facevano, ed accerta nel
tempo istesso, che ogni Chiesa o di Preti - 153 -
o di Regolari sufficientemente era provveduta di rendite, e che cosa
mancava per soddisfare alle proprie obbligazioni. Attesta, e smentisce con
questo tutto il riclamo, cioè, che tra tutte le Chiese, e Cappelle ci erano ne'
Pagani i perpetui legati di circa diciotto mila messe, che non potendosi
soddisfare da' Preti, e Regolari del luogo, porzione distribuivasi ogni anno
anche a' Preti, e Regolari forestieri.
Individua Monsignore
l'applauso, con cui i Missionarj furono ammessi ne' Pagani in pubblico
Parlamento da tutte le sette Università: l'allegrezza, che, buttandosi la prima
pietra, si dimostrò anche da i Parochi: che vi intervennero Gentiluomini ed
Uffiziali di tutte le Università; e che fin da Napoli fatto aveva eco a questo
giubilo comune la Maestà del medesimo Sovrano. Evacua la calunnia dell'asserito
traffico di crocifissetti e catenette, del canape, che davasi a filare, e del
trasporto delle pietre, che dal popolo, terminata la predica, volontariamente
si faceva.
Entra in fine
Monsignore, ed è quello che più importava, nell'intento propostosi da Alfonso,
fondando la sua Congregazione, cioè, il soccorso colle missioni alle Anime più
derelitte: la riforma del Clero coi santi Esercizj, e quella de' Gentiluomini
con altre opere, che abbracciato aveva. Si spiega, che prima di dar l'assenzio
per questa fondazione, volendo sperimentar l'Opera, chiamato aveva la missione:
e perchè vidi, ei dice, udii, e colle proprie mani toccai
l'indicibil profitto, che ancora persevera, non mai così risultato dalle
antecedenti missioni, m'invogliai averli nella mia Diocesi: Encomia la
virtù di Alfonso: la venerazione, in cui si aveva in tutta la Diocesi, e la
stima, che ne facevano l'Eminentissimo Spinelli, Monsig. Rossi Arcivescovo di
Salerno, e quella, che ne aveva il di lui antecessore D. Fabrizio di Capua.
Tra questa tempesta si
mosse ancora in difesa di Alfonso, e della Congregazione Monsig. Vigilante
Vescovo di Cajazzo. Avendo questi inteso i gravi travagli, ch'egli soffriva ne'
Pagani, o si mosse da se, o che spinto ne fosse da Monsig. de Dominicis,
anch'esso avanzò lettera in Roma all'Eminentissimo Firrau, perchè amico, e
Prefetto della Congregazione. Giustifica la condotta di Alfonso e fa presente
al Cardinale l'indebita vessazione, che soffriva. "La causa, per esser di Dio, così egli conchiude, deve tirarsi per necessità l'avversione di
molti, e tanto più forte, quanto più grande è l'Opera. Anche questa mia Diocesi
ha ben sperimentato in tre anni, che vi dimorarono, il frutto spirituale
risultato dalle fatiche di questi degni sacri operai, avendovi santificato sino
l'aria de' paesi, ove risedevano ". Monsignore piange la perdita: ma
dice, che nè esso, nè altri avevan modo a potergli mantenere con un qualche
onesto appannaggio.
Fallito quest'altro
colpo in Roma, non per ciò si sgomentarono - 154 -
i nostri contrari. Non potendosi in Napoli impedire la Casa, cercano
s'impedisca la Chiesa. Occupano il dispaccio del Re, e profondono danaro nella
Real Segreteria: ove il Re permesso aveva Casa con Chiesa, corrotto l'Ufficiale
di carico, fanno ritrovare nel registro: Casa senza Chiesa. Con questo
dispaccio alla mano ricorron furiosi dal delegato della Real Giurisdizione il Marchese
Fraggiani, e fanno vedere Alfonso come refrattario degli ordini reali. A'
diciannove di Luglio spedisce il Delegato in Nocera il Mastro d'Atti di
Salerno, ordinando a i nostri il desistere dalla fabbrica della Chiesa.
Trionfo ci fu per
questo colpo. Alfonso non sa che si dire, e nella confusione, in cui si vide,
spedisce in Napoli dal Marchese Brancone Segretario di Stato, il P. D.
Francesco Sanseverino. Restò sorpreso a tal novità il Marchese, ricordandosi
benissimo essersi accordata dal Re Casa con Chiesa, e con biglietto di suo
pugno dirige all'Uffiziale di Sanseverino.
Questi, perchè
preoccupato, esibisce francamente il registro, e fa vedere non esserci cosa in
contrario. Vedendosi avvertito di sbaglio, monta in bestie, e mottegiando il
Padre, disse: Ci perdete il tempo. Sua
Maestà non concede tal cosa a Congregazione di questa fatta, ed aver Chiesa
pubblica, come se fossivo Regolari.
Ritornato il Sanseverino dal Marchese, si chiama questi l'Uffiziale, e
chiestoli il registro, con franchezza glielo presenta, persistendo che non
altrimenti fu accordato. Conobbe la frode il Marchese, e guardandolo di
mal'occhio, sò io, disse, la mente del Re, e dato di penna alla carta, fa di
suo pugno: Casa con Chiesa. Non contento di questo, ordina in pena al medesimo
Uffiziale, che vada in persona a darne parte al Marchese Fragianni. Confuso lo
dovette fare; ed a' ventuno di Luglio il Delegato fa sentire al Governatore de'
Pagani, che proseguito si fosse Casa, e Chiesa.
Afflizione non picciola
sperimentar dovette Alfonso a traverso di queste sue consolazioni, e fu la
perdita in Napoli dell'ottimo Padre D. Gennaro Maria Sarnelli, una delle pietre
angolari di sua nascente Congregazione.
Avendo questi perfezionata l'opera contra le
meretrici, e tante volte con pericolo di sua vita, vedendo Napoli espurgato, e
quelle, come dissi, accantonate in uno de' sobborghi, sin da trenta dello
scorso Giugno, tra le lagrime di tutt'i buoni, reso aveva la bell'Anima a Dio.
Troppo sensibile fu per
Alfonso questa perdita. Consolossi non però, avendovi certo in Cielo un
Protettore, ma troppo interessato, per la sua travagliata Congregazione.
Abbiamo la Vita del Sarnelli scritta in compendio da
Alfonso medesimo.
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