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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap. 18 Altri nuovi attentati ne' Pagani contro alla Casa, e Congregazione; e zelo de' principali Cittadini in Napoli, ed in Roma.
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Cap. 18

Altri nuovi attentati ne' Pagani contro alla Casa, e Congregazione; e zelo de' principali Cittadini in Napoli, ed in Roma.

 


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La tempesta ne' Pagani, anzi che pacarsi, vedevasi tutto giorno infierita. In queste angustie così gravi, se chiese Alfonso l'opera dell'uomo, per veder protetta l'Opera di Dio, maggiormente ricorse all'aiuto divino aiutandosi coll'orazione, e colla mortificazion di se stesso. Stretto alla croce del travaglio, implorò ancora presso Dio e orazioni di molte Anime sante, specialmente di varj Monasteri.
Sopratutto, non mancava, mettendo nelle mani di Dio i suoi interessi, girare colle Missioni, e fare guerra al peccato ovunque era chiamato, o destinato ne fosse dall'Arcivescovo di Salerno, e dal Medesimo Monsig. de Dominicis.

 

Avanzate le contradizioni, non solo attraversar volevasi ne' Pagani questa nuova Casa, ma estirpar si voleva dal Mondo l'intiera Congregazione. Questo indebito livore, e molto più lo strapazzo di Alfonso, e de' suoi, accesero di zelo, non che i Gentiluomini de' Pagani, ma quei di Nocera, e dell'altre popolazioni. Con modo speciale ne' Pagani si dichiarò in favore dell'Opera l'ottimo Gentiluomo D. Lucio Tortora, ed in Nocera, e ne' Casali non ci fu casa, che non si dichiarasse per Alfonso.

Sette Università costituiscono il Comune di Nocera; ed oltre i proprj Sindaci, unite insieme, eleggono ogni anno, per li comuni bisogni, tre Sindaci generali. Tolta l'Università de' Pagani, che, come dissi, vedevasi divisa, tutte le altre interessate si dichiararono per la Fondazione, obbligando i Sindaci generali ad un generale parlamento. Fu questo tenuto a' trenta di Maggio 1744 nel luogo detto S. Angelo in Grotta.

Essendosi proposta da D. Pietro Longobardi uno de' Sindaci generali


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(e non erano meno i congregati di cinque in sei cento, buona parte Patrizi, e Gentiluomini), l'onestà de' Missionarj, e il loro zelo, ed i bisogni de' rispettivi paesi, tutti una voce vollero, che difesi si fossero, e confermata ne' Pagani la loro permanenza.
Tra i tanti popolari contrari, che ci erano, niuno ebbe lo spirito di profferir parola avanti un consesso così autorevole. Uno vi fu, che si oppose; ma inseguito colla spada alla mano dal zelante cittadino D. Gaetano di Francesco Gentiluomo di Nocera, se non dirupavasi da sopra un muro, troppo male si sarebbe venuto. Trovandosi esausta la cassa del Pubblico, tutti i radunati si obbligarono mantenere in Napoli a proprio interesse Avvocati e Procuratori in difesa di Alfonso, e de' suoi.

 

Quest'applauso così comune, se confuse, ed attirò le lagrime ad Alfonso, irritò vie più e Preti e Regolari. Ancorchè si avesse in contrario un torrente di cittadini i più prepotenti, non per questo si danno in dietro.


Sul principio di Giugno attaccano Alfonso in Napoli, ed in Roma. Benchè per la Fondazione ci fosse il consenso del Sovrano, danno faccia di Collegio illecito alla nuova Casa, e fanno presente al Re, che la Congregazione non era, che un ammasso di vagabondi, inutili allo Stato, e più nocivi alla Religione.
In Roma la rappresentano come combriccola fondata senza assenso apostolico, e contraria ai canoni, ed alle leggi pontificie.

Vedendo Alfonso, che coi rami si dava alla radice, e che ci andava di sotto tutta la Congregazione, richiamando in se gli spiriti antichi, voglio dire lo spirito del Foro, colle leggi Civili alla mano scioglie le opposizioni in contrario, assoda le ragioni a suo favore, e fa vedere alla Maestà del Principe quali siano o no i Collegi illeciti.
Così in Roma colle medesime Bolle Pontificie e coll'autorità de' canoni sostenne l'Opera, e pose in silenzio gli avversari. Rappresentò, che tutte le Religioni non furono approvate adulte nella Chiesa, senza prima essere state bambine sotto la protezione de' Vescovi. Con questo, siccome meritò in Napoli la clemenza del Sovrano, così godette in Roma la grazia del Papa, e di que' savi Porporati.

 

Fallito quest'attentato, che credevasi insuperabile, ci fu altro ricorso in Sacra Congregazione. Si espone dannosa, non che inutile la permanenza di Alfonso, e de' suoi ne' Pagani: che la Città, oltra tante Chiese, era assistita da un Rettore, e quattro Parochi: che in sussidio di questi ci erano i Padri Carmelitani, i Paolotti, e i Cisterciesi: che per la gioventù ci era un Collegio de' Padri Scolopi, ed a beneficio comune una Congregazione di Missionarj cittadini; e che il popolo veniva istruito di continuo da' Preti, e Regolari con prediche, catechismi, ed altre pie funzioni. Mancando la limosina delle messe colla venuta de' nuovi Missionarj, i Preti cittadini, che altro provento non avevano, ridotti si sarebbero a mendicare.


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Vere, o false che fossero queste cose, non ci mancò ancora la contumelia. Dicono, che con iscandalo i Missionarj compravano, e rivendevano a caro prezzo crocifissetti, cilizj e catenette: che, defraudandosi la mercede alle donne, davasi loro lino, e canape da travagliare, e che dopo la predica, anche con doppio scandalo, imponevasi al popolo il trasporto di pietre, ed altro con proprio utile.

Si lagnano, e sopratutto si fanno forti i Regolari, che introdotti si erano in Città i Missionarj senza il loro consenso, richiesto da' Canoni, e dalle pontificie Sanzioni: molto più, che non avendo questi rendite sufficienti, mendicar si vedevano con proprio pregiudizio. Uniti insieme Preti, e Regolari supplicano ordinarsi a Monsig. Vescovo, che sospenda la fabbrica di Casa, e Chiesa: che s'inibisca a' Missionarj il più mendicare; e che si obbligassero questi a comparire avanti la Santità Sua, come incorsi nelle censure comminate da' Canoni, e dalle Bolle Apostoliche.

 

Appena si seppe questo nuovo attentato, che subito si posero in armi in difesa di Alfonso i Gentiluomini de' Pagani, di Nocera, di Corbara, e Sant'Egidio.
Trentasei di questi a' sedici di Luglio costituiscono in Roma Avvocato, e Procuratore; ed oltre otto Parochi delle respettive popolazioni, anch'esso il Capitolo della Cattedrale, il Clero di Nocera, e tra gli altri, ventitré del Clero de' Pagani ricorrono al Papa, e ne prendono le difese.

Espongono al Papa il gran bene, che Alfonso coi compagni operato aveva colle sante Missioni in Diocesi di Salerno, ed altrove: le tante conversioni di ecclesiastici secolari, che vedevansi tutto giorno coi santi esercizj nella Casa de' Ciorani: l'aiuto, che prestavano ai Parochi de' rispettivi paesi; ed oltre i tanti divoti esercizj nella propria Chiesa, assistevasi a' moribondi, ed istruivasi la gioventù ne' doveri cristiani. Si esalta la vita esemplare di Alfonso, il suo disinteresse, il suo zelo per Dio e per le Anime, e supplicano il Papa di voler proteggere questa grand'opera di tanta gloria per Gesù Cristo, e di tanto vantaggio per la santa Chiesa.

 

I giri della Provvidenza sono imperscrutabili: ed uopo è dire che questa volta, con tale attentato, ingannò se stessa la propria malizia. Con sì fatte contrarietà e rapporti, essi medesimi i malevoli fecero strada in Roma, per conoscersi dal Papa chi fosse Alfonso, e di qual merito nella Chiesa la nascente Congregazione.
Sedeva sulla Cattedra di S. Pietro Papa Benedetto XIV. Sentendo questi nuovo istituto in Regno, e non essendoli nota la persona di Alfonso, incaricò l'Eminentissimo Spinola per un informo sincero dal Vescovo di Nocera.

Ricevuto l'incarico Monsig. de Dominicis, contesta a' tre di Agosto il numero de' Parochi, e de' Regolari, le varie Chiese, e i divoti uffici, che si facevano, ed accerta nel tempo istesso, che ogni Chiesa o di Preti


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o di Regolari sufficientemente era provveduta di rendite, e che cosa mancava per soddisfare alle proprie obbligazioni. Attesta, e smentisce con questo tutto il riclamo, cioè, che tra tutte le Chiese, e Cappelle ci erano ne' Pagani i perpetui legati di circa diciotto mila messe, che non potendosi soddisfare da' Preti, e Regolari del luogo, porzione distribuivasi ogni anno anche a' Preti, e Regolari forestieri.

Individua Monsignore l'applauso, con cui i Missionarj furono ammessi ne' Pagani in pubblico Parlamento da tutte le sette Università: l'allegrezza, che, buttandosi la prima pietra, si dimostrò anche da i Parochi: che vi intervennero Gentiluomini ed Uffiziali di tutte le Università; e che fin da Napoli fatto aveva eco a questo giubilo comune la Maestà del medesimo Sovrano. Evacua la calunnia dell'asserito traffico di crocifissetti e catenette, del canape, che davasi a filare, e del trasporto delle pietre, che dal popolo, terminata la predica, volontariamente si faceva.

Entra in fine Monsignore, ed è quello che più importava, nell'intento propostosi da Alfonso, fondando la sua Congregazione, cioè, il soccorso colle missioni alle Anime più derelitte: la riforma del Clero coi santi Esercizj, e quella de' Gentiluomini con altre opere, che abbracciato aveva. Si spiega, che prima di dar l'assenzio per questa fondazione, volendo sperimentar l'Opera, chiamato aveva la missione: e perchè vidi, ei dice, udii, e colle proprie mani toccai l'indicibil profitto, che ancora persevera, non mai così risultato dalle antecedenti missioni, m'invogliai averli nella mia Diocesi: Encomia la virtù di Alfonso: la venerazione, in cui si aveva in tutta la Diocesi, e la stima, che ne facevano l'Eminentissimo Spinelli, Monsig. Rossi Arcivescovo di Salerno, e quella, che ne aveva il di lui antecessore D. Fabrizio di Capua.

 

Tra questa tempesta si mosse ancora in difesa di Alfonso, e della Congregazione Monsig. Vigilante Vescovo di Cajazzo. Avendo questi inteso i gravi travagli, ch'egli soffriva ne' Pagani, o si mosse da se, o che spinto ne fosse da Monsig. de Dominicis, anch'esso avanzò lettera in Roma all'Eminentissimo Firrau, perchè amico, e Prefetto della Congregazione. Giustifica la condotta di Alfonso e fa presente al Cardinale l'indebita vessazione, che soffriva. "La causa, per esser di Dio, così egli conchiude, deve tirarsi per necessità l'avversione di molti, e tanto più forte, quanto più grande è l'Opera. Anche questa mia Diocesi ha ben sperimentato in tre anni, che vi dimorarono, il frutto spirituale risultato dalle fatiche di questi degni sacri operai, avendovi santificato sino l'aria de' paesi, ove risedevano ". Monsignore piange la perdita: ma dice, che esso, altri avevan modo a potergli mantenere con un qualche onesto appannaggio.

 

Fallito quest'altro colpo in Roma, non per ciò si sgomentarono


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i nostri contrari. Non potendosi in Napoli impedire la Casa, cercano s'impedisca la Chiesa. Occupano il dispaccio del Re, e profondono danaro nella Real Segreteria: ove il Re permesso aveva Casa con Chiesa, corrotto l'Ufficiale di carico, fanno ritrovare nel registro: Casa senza Chiesa. Con questo dispaccio alla mano ricorron furiosi dal delegato della Real Giurisdizione il Marchese Fraggiani, e fanno vedere Alfonso come refrattario degli ordini reali. A' diciannove di Luglio spedisce il Delegato in Nocera il Mastro d'Atti di Salerno, ordinando a i nostri il desistere dalla fabbrica della Chiesa.

 

Trionfo ci fu per questo colpo. Alfonso non sa che si dire, e nella confusione, in cui si vide, spedisce in Napoli dal Marchese Brancone Segretario di Stato, il P. D. Francesco Sanseverino. Restò sorpreso a tal novità il Marchese, ricordandosi benissimo essersi accordata dal Re Casa con Chiesa, e con biglietto di suo pugno dirige all'Uffiziale di Sanseverino.

Questi, perchè preoccupato, esibisce francamente il registro, e fa vedere non esserci cosa in contrario. Vedendosi avvertito di sbaglio, monta in bestie, e mottegiando il Padre, disse: Ci perdete il tempo. Sua Maestà non concede tal cosa a Congregazione di questa fatta, ed aver Chiesa pubblica, come se fossivo Regolari.
Ritornato il Sanseverino dal Marchese, si chiama questi l'Uffiziale, e chiestoli il registro, con franchezza glielo presenta, persistendo che non altrimenti fu accordato. Conobbe la frode il Marchese, e guardandolo di mal'occhio, io, disse, la mente del Re, e dato di penna alla carta, fa di suo pugno: Casa con Chiesa. Non contento di questo, ordina in pena al medesimo Uffiziale, che vada in persona a darne parte al Marchese Fragianni. Confuso lo dovette fare; ed a' ventuno di Luglio il Delegato fa sentire al Governatore de' Pagani, che proseguito si fosse Casa, e Chiesa.

 

Afflizione non picciola sperimentar dovette Alfonso a traverso di queste sue consolazioni, e fu la perdita in Napoli dell'ottimo Padre D. Gennaro Maria Sarnelli, una delle pietre angolari di sua nascente Congregazione.

 Avendo questi perfezionata l'opera contra le meretrici, e tante volte con pericolo di sua vita, vedendo Napoli espurgato, e quelle, come dissi, accantonate in uno de' sobborghi, sin da trenta dello scorso Giugno, tra le lagrime di tutt'i buoni, reso aveva la bell'Anima a Dio.

Troppo sensibile fu per Alfonso questa perdita. Consolossi non però, avendovi certo in Cielo un Protettore, ma troppo interessato, per la sua travagliata Congregazione.

Abbiamo la Vita del Sarnelli scritta in compendio da Alfonso medesimo.




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