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Cap.20
Si porta Alfonso colla Missione nella terra d'Iliceto
in Puglia, vi apre un'altra Casa, e passa nella città di Modugno.
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Tra i torbidi della
Casa di Nocera non mancò Iddio aprir la strada ad Alfonso per un'altra
Fondazione.
Non avendo eredi per le
sue sostanze D. Domenico Fiore professore di Musica, ed Eddomedario del Duomo
in Napoli, pensava stabilire una Casa del nostro Istituto nella Città di
Modugno sua patria. Questo progetto consolò estremamente Monsig. Gaeta
Arcivescovo di Bari, che ben conosceva Alfonso, e prevedeva il gran bene, che
risultato ne sarebbe alla sua Diocesi. Unito col Fiore richiese Alfonso per la
missione in quella Città, per così invogliarne anche i cittadini. Accettò l'invito
Alfonso, e restò in appuntamento, che nel Novembre sarebbe stato in Modugno.
Avendo avuta notizia in
Bracigliano di questo viaggio di Alfonso il Principe di Castellaneta D. Mattia
Miroballo d'Aragona, pregollo - 159 -
volersi fermare, passando per il ponte di Bovino, nel suo Feudo d'Iliceto,
e consolare i suoi naturali colla santa Missione.
Avendone dato avviso in
Iliceto, fu contemporaneamente invitato Alfonso, anche per parte del Ven.
Monsig. Lucci già Vescovo di Bovino, dal Sacerdote D. Giacomo Casati,
gentiluomo oriundo da i nobili Casati di Milano, e Canonico dell'insigne
Collegiata della medesima Terra.
Si compromise Alfonso
anteporre la Missione d'Iliceto, a quella di Modugno; e ci fu co' suoi a '
dodeci di Novembre 1744. La Missione
riuscì di profitto, e fervorosa al solito; molto più che il popolo è un
terreno molto atto a poter ricevere, e profittare della rugiada della Grazia.
Assai più che la
Missione, altro motivo interessante ebbe il Casati, invitando Alfonso in
Iliceto.
Giace al di fuori della
Terra, sopra un monticello, in un angolo di bosco detto Vallinvincoli,
un'antica Chiesa dedicata a Maria Santissima, sotto il titolo della
Consolazione. Un tempo era abitata questa Chiesa da' PP. Agostiniani, ivi
stabilita dal B. Felice da Corsano, Alunno dell'illustre Congregazione, che
nomasi in Napoli di S. Giovanni a Carbonara. Vedesi in questa Chiesa una
prodigiosa Imagine di Maria Santissima, venerata con culto tutto particolare
così dal popolo d'Iliceto, che da' luoghi adiacenti.
Essendo il Canonico
estremamente divoto di questo sagro luogo, e molto più dell'Imagine della
Vergine, tentato aveva, non avendo eredi, stabilirvi una comunità di operai.
Prevenuto dal Principe chi fosse Alfonso, e considerando il maggior culto, che
risultato sarebbe a Maria Santissima, ed il gran bene, che da' Missionarj
potevasi oprare in Puglia, non pose in forse di fermarlo in Iliceto, e fare la
Vergine, ed Alfonso eredi del suo patrimonio.
Compiacimento ne
sperimentò per tal determinazione il Ven. Monsig. Lucci, considerando il
vantaggio, ch'era per risultare a tutta la Diocesi. Non inclinava Alfonso per
questa Fondazione, essendo la Chiesa quasi un miglio e mezzo all'infuori
dell'abitato; ma pregato dal Canonico, e dal Capitolo a visitare la Sacra
imagine, ne fu così preso, e così animato dai Padri Cafora e Sanseverino, che
accettata l'offerta, ci si fermò a' ventiquattro di Dicembre con sommo
compiacimento di ogni cittadino, e molto più di Monsig. Vescovo di Bovino.
Come Alfonso fu situato
in Iliceto, se li fece subito avanti il vasto campo in Puglia del Tavoliere
Reale, ed in quella sterminata campagna migliaia, e migliaia di uomini al
servizio addetti di migliaia di agghiacci di pecore, di tenute immense di
sementati, e di mandre innumerabili di diversi bestiami.
Pianse vedendo
abbandonate, e destitute di spirituali soccorsi in ogni tenuta le cento,
duecento, e più persone, che, a grazia ne' giorni festivi, ove si ed ove no
avevano una messa in divota e strapazzata.
Facendoli compassione
uno stato così miserabile di tante Anime, sollecito spedì subito i suoi, per
isminuzzar loro il - 160 -
pane
evangelico. Destinò il P. Villani con un altro compagno in Ponte Alvanito gran
tenuta del Marchese del Vasto: i Padri Tortora, e di Antonio in Torre Alemanna,
soggiorno un tempo de' Cavalieri Teutonici, ed ora di pastori e contadini:
altri in altre massarie; e volle che quest'opera si avesse in seguito come fine
principale di questa nuova Casa. Similmente la Città di Canosa, che da tempo e
tempo non aveva veduto Missionarj, fu consolata col P. Cafora: così l'antica
desolata Terra di Castelluccio de' Sauri, anche maggiormente priva di qualunque
spirituale soccorso.
Animato dal suo zelo, espose
Alfonso nel tempo istesso al Re Carlo lo stato deplorabile di quelle tante
popolazioni: la necessità dell'aiuto, ed il sollievo già dato colle fatiche de'
suoi. Ne godette il Re; ed il Marchese Brancone così li rescrisse: "Ha Sua
Maestà inteso con molto piacere il profitto spirituale, che, per mezzo delle
Sante Missioni, ritraggono cotesti popoli dalle apostoliche fatiche di V. S.
Illustrissima, compromettendosi la Maestà Sua, che voglia continuare, ed
accrescere sempre più il suo zelo, per maggior vantaggio cristiano di coteste
tante Anime quasi abbandonate. Compiacendosi dell'Opera, a' nove di Gennaro
1745 diede ancora il suo reale beneplacito per questa nuova Fondazione in
Iliceto.
Sistemate le cose in
questa nuova Casa, avendo Alfonso uniti i compagni, partì per Modugno verso la
fine del medesimo mese. Troppo scabrosa, e di gran fatica fu questa Missione.
Erano anni ed anni da
che in Modugno non eranvi stati Uomini Apostolici. La divozione vedevasi
raffreddata, e signoreggiarvi il peccato; ma corrispose alla fatica una messe
abbondante. Bandite si videro le illecite amicizie, e diradicati gli odi più
invecchiati: molti furono reintegrati nell'onore, e tanti e tanti
nell'indebitamente ritenuto. Tutto fu mozione nella Città. I peccatori più
ostinati, essendosi compunti, vedevansi detestare a' piedi di Alfonso, e de'
suoi le proprie scelleraggini.
Diradicando il male, vi piantò del bene. Ristabilì, ed infervoro le antiche
Congregazioni; riforma ci fu tra le Caustrali; tanti e tanti Ecclesiastici, che
quantunque morigerati, vivevano in ozio, si diedero ad operare. Sopratutto
promosse in ogni ceto divozione tenera verso Maria Santissima, e sommo amore
verso Gesù Sacramentato: animò tutti a comunicarsi frequentemente, e stabilì,
che ogni sera ci fosse in Chiesa la visita al Venerabile, con anche la visita a
Maria Santissima.
Quaranta giorni durò
questa Missione, tanto grande si sperimentò il bisogno di que' cittadini. In
vista di tanto zelo, acclamava ognuno la permanenza in Città di Alfonso, e de'
suoi. Era già per effettuarsi la Fondazione; ma avendo accordato il Re Carlo
nel medesimo tempo una Casa ai Padri di S. Vincenzo de Paoli nella Città di
Bari, - 161 -
non istimò
Alfonso erigere altare contro altare. Ringraziò l'Arcivescovo, ed animò il Fiore
a voler concorrere anch'esso nella Fondazione di Bari.
Esiste ancora in Modugno memoria del gran bene, che Alfonso vi operò, e come da
Dio veniva favorito. Mi si attesta dalle Monache di quel Monistero, che,
celebrando nella loro Chiesa una mattina, fatta la consegrazione, videsi da due
palmi e più elevato in aria sopra l'Altare.
Troppo penosa fu per
Alfonso, e per i suoi, dopo il ritorno da Modugno, la dimora nella Casa
d'Iliceto. Oltre le volontarie penalità, come nella Città di Scala, e Cajazzo,
che non istimo ripeterle, tutto per esso fu miseria, ed estremo patimento.
Avendosi il Casati riserbato in vita proprietà, e frutto, altro sussidio non si
aveva, che la sola Messa. Benchè io abbia tracannato col nostro Padre in questa
Casa la feccia di un Calice così amaro, essendomi ritirato nell'Ottobre del
1746, chiamo non però in testimonio del vero il nostro P. D. Francesco
Garzilli, che da Canonico di Foggia ammesso in Congregazione nel Gennaro di
questo medesimo Anno, ne succhiò anch'esso il fiore, e tutta la sostanza.
"Il pane era di
grano con bufo, così si spiega il Garzilli, ma nero come il carbone, e
malamente preparato: talvolta anche questo mancò, ed eravamo soccorsi dalla
pietà di un vecchio contadino, chiamato Benvenuto Soriano, che, vivendo col
frutto di poche capre, abitava un romitaggio, e seminava poco terreno in
vicinanza della Casa.
Per minestra si aveva o
semola, o pancotto, o fave; ma perchè vecchie di più anni, anche bianche come
il pane. Carne mai, ed a stento si aveva una cotenna di lardo sopra la
minestra. Stimavasi a lautezza, se si aveva un poco di carne di qualche pecora,
o bue morti per lassezza.
Per frutta non si
avevano, che castagne selvatiche, o fave e ceci arrostiti, e talvolta sorbe
secche, ma così dure, che dovevansi ammollire con acqua bollente. Il vino non
era più di mezza libra; ma guastava, e non confortava lo stomaco, perchè
tutt'acqua, e non senza qualche difetto".
"Non vi era
biancheria, così egli seguita, e non vi era modo da comprarla: mancavano
specialmente la camice; e quelle, che si avevano erano così rattoppate, che se
ne ignorava l'origine; ma queste istesse non si avevano, che ogni due o tre
settimane. Per qualche tempo supplirono le mie, avendone portato venti da
Foggia; ma perchè fine, subito si logorarono. La sporchezza, e gli animaletti
erano tanti, che ci commovevano lo stomaco. Qualche pizza si aveva nelle
ricreazioni solenni, ma rustica, e della istessa farina del pane, e solo
imbottita di formaggio, o salsume. Nè zuccaro, nè pepe si usava in quel tempo.
Era tale la povertà, che il P. Muscato di Serino, ed il Primicerio Nola di
Nocera, non fidandosi reggere, se ne ritornarono al secolo".
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Questo, che sembra
molto, anche è poco.
"Simile povertà,
e simile miseria, seguita a dire il Garzilli, non si legge in veruna Cronaca
Religiosa. Le vesti esteriori erano un centone di pezze trafficate in Napoli
alla Giudea: mancavano i fazzoletti, e non ci servivamo, che di stracci; e le
coltre da letto ivi ritrovate, non avevano sostanza, perchè vecchie, e
strapazzate.
Vi è cosa dippiù. Un Convento soppresso fin da' tempi d'Innocenzio XI, non
ostentava, che fracidume, e rovina. I venti dominavano, più dentro che fuori:
le fabbriche ove aperte, ed ove rovinate, e tante riparate coi soli muraccioli
di mattoni accatastati, ma senza calce: le finestre delle stanze, a riserba di
sei fabbricate dal Conte Appiani, davan lume più di notte, che di giorno: i
tetti maltenuti, e senza suffitte alle celle, e talvolta vedevansi i letti, in
tempo d'Inverno, coperti della neve. Se più mi spiego, dice il Garzilli, si
stenterà a prestarmi fede. "
Quanto ho detto
rilevasi in accorcio anche in una lettera di Alfonso medesimo al Gentiluomo D.
Andrea Calvino, che fu convittore in questa Casa in tempo del Conte Appiani.
Questi prevenne il
Canonico Casati del passaggio di Alfonso, ed animò Alfonso a volersi fissare in
questo luogo, ancorchè sulle prime con poche rendite, per esserci quantità di
Messe, ed oblazioni "Dove sono, li scrisse Alfonso, le oblazioni, e le
Messe? sarò obbligato, se Dio non provede, rimandarne i Compagni, per non
esserci modo da vivere" ancorchè abbiamo mangiato fave, ed acquasale, pure
abbiamo fatto da docati sessanta di debito.
Tra queste miserie,
anzi a causa delle medesime, restò privo Alfonso in questo tempo, ma con somma
sua pena, del diletto Fratello Vito Curzio.
Non essendoci da vivere in Casa, lo fece uscire nel Mese di Agosto per qualche
limosina in grano. Ancorchè non avvezzo il buon Fratello a quei trapazzi per le
arse campagne della Puglia, ubbidì; ma una sera, essendoli stato negato
l'alloggio in una Casa Religiosa, dormendo all'aperta campagna, fu sorpreso la
notte da una febre di mutazione, ma così ardente, che non potendo tirare in
nostra Casa, fu accolto in Iliceto da un ottimo Sacerdote. Quarantanove giorni
durò in casa di quello la sua penosissima infermità; e passò al Cielo in giorno
di Sabbato a' diciotto di Settembre di questo medesimo anno 1745.
Fu di somma pena questa
perdita per Alfonso. Si consolò bensì per esser morto l'ottimo Fratello carico
di meriti e di virtù. Il Capitolo associò il cadavere fino alla porta della
Terra, e quantità del Clero unito processionalmente co' nostri l'accompagnò
fino alla nostra Casa. Ci furono tutte le Confraternite, ed un gran numero di
popolo non mancò seguirlo, implorandone la protezione, ed acclamandolo come
Santo.
Alfonso cantò egli la
Messa tra un diluvio di lagrime, e dovette più - 163 -
volte interrompere la colletta, non fidandosi
proseguirla. Tutti vollero qualche cosa di suo uso. Nè fu così divoto Monsig.
Amato Vescovo di Lacedogna, che a capo di tempo ne volle il teschio. Per venti
e più anni se 'l tenne sempre presente sopra l'inginocchiatoio, ove meditava.
Passato egli all'altra vita, si ricuperò da' nostri, ed ora si ha con venerazione
nel coro della medesima Casa d'Iliceto.
Alfonso ha dato fuori un compendio della sua Vita; e
sarà sempre viva tra di noi la memoria di questo primo Fratello, e degno figlio
della nostra Congregazione.
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