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Cap.22
Si abita dai nostri la nuova Casa eretta ne' Pagani:
zelo di Alfonso per l'osservanza regolare; ed industria del P. Sportelli per
vedersi aperta la nostra Chiesa.
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Persistendo così le
cose ne' Pagani, non ebbero più coraggio i nostri di vedersi tra' rumori di una
Casa secolaresca, minacciati, e mal veduti. Ancorchè poco atte fossero per
abitarsi le fabbriche della nostra nuova Casa, essi, non curando incomodo,
risolvettero ritirarvisi. Sortì il passaggio, lasciandosi la Casa del Contaldi,
la mattina de' ventiquattro di Settembre 1745 correndo la novena dell'
Arcangelo e Protettore san Michele.
Prevenuto Alfonso in
Iliceto, di questo passaggio che erasi per fare, ne godette estremamente, ed
inculca a tutti più esatta osservanza, e maggiore impegno di stringersi con
Gesù Cristo. Avendoci destinato Rettore il Padre Mazzini, così scrissegli a'
ventitre di Settembre.
"Prego V. R., ora
che imprende il governo di cotesta Casa, a voler mettere in piede l'osservanza.
Sin ora non si è potuto per ragione della Casa e liti; ma ora bisogna metterci
qualche sesto, altrimente si farà talmente l'uso all'inosservanza dai soggetti,
che farà difficile poi rimetterli alla perfetta osservanza della Regola. Io ne
incarico la sua coscienza, perchè sto lontano, nè posso vedere, nè fa per le
cose.
La Congregazione sarà portata avanti da Dio, fin tanto che vi farà osservanza,
ed i soggetti si vogliono far veramente santi. In altro caso tutto anderà in
fumo. Colla divina grazia già abbiamo tre Case, e bastanti soggetti a sostenere
gl'impieghi della Congregazione: tutto stà a portarci bene con Dio, e che
ciascuno attenda alla perfezione: Così la Congregazione si avanzerà,
cresceranno i soggetti, e si faranno molte cose di gloria di Dio; altrimente
Iddio ci abbandonerà, e caderà ogni cosa. Prego far sentire questo mio
biglietto a tutti, ed abbracciando tutti, prego raccomandarmi a Gesù Cristo, ed
a Maria Santissima".
Essendo dispiaciuto
questo passaggio agli emuli, tramata una cabala, ottenuto avevano nel Sacro
Regio Consiglio, che dai nostri niente si fosse innovato. L'intento era di
precludersi l'adito nella Chiesetta di San Domenico, ove disimpegnavasi il
nostro ministero, e che non si perfezionasse la picciola Chiesa, che già
vedevasi architettata.
Impedita questa,
stimavasi ottenuto, quanto desiderare si poteva, cioè impediti nostri proprj
esercizj, e la Fondazione, se non dismessa, in procinto di abbandonarsi. Tutto
era imperfetto nella nuova Chiesa, - 170 -
specialmente le volte erano per anche sostentute dalla forma, e da'
pontelli. La sera, che aspettavasi il Subalterno cantavasi vittoria, ed i
Preti, come dissi, per non veder fallito di colpo, già acchiappata si avevano
la chiave della Chiesa di S. Domenico, vale a dire, che venuto il Subalterno,
ed intimato il decreto, di necessità ritrovavansi i Missionarj in pian terreno,
cioè senza Chiesa, e senza esercizio del proprio impiego.
Avendo odorato il Padre
Sportelli, prevenuto dai Gentiluomini di Nocera, quello ch'era per succedere,
pregolli voler trattenere per quella sera in Subalterno. Tutto fu eseguito. La
notte lo Sportelli, contradicendo, anzi protestandosi il Capomastro, chiama
falegnami e muratori, coraggioso sforma le lamie, rassetta con mazzola terreno
e calcina, erigge all'infretta un altare posticcio, adatta un mal concio
Confessionale, ed abbellisce il meglio che potè l'Altare, e le fabbriche con
coltre, e tappeti, e con fettucce e rose arteficiali. La medesima sera avendo
ottenuto da Monsig. Vescovo il permesso di benedirla, vi celebra di per tempo
la mattina, vi predica, vi confessa, e somministra al Popolo la Santa
Comunione.
Tutto festoso, fatto
giorno, giunge il Subalterno seguito dal Popolo, ed in termini altitonanti,
chiamando a se il P. Sportelli, e quanti vi erano in casa, intima a tutti, per
parte del Regio Consiglio, che nulla in poi si ardisse innovare sotto le pene
nel decreto comminate. Niente, disse lo Sportelli, in ossequio degli ordini ricevuti; ma mi
protesto, che questa è Chiesa, ci ho celebrato, e predicato, ed ho partecipato
al popolo i Sacramenti, e i Divini Misteri.
Quale scarico
d'invettive ci fosse in quell'istante contro i nostri, se' l figuri chi legge.
Il popolo, vedendosi burlato, smaniando gridava: essere stalla la Cappella, e
non Chiesa: chi scopriva le mura, dimostrandone la rozzezza: chi smuovendo il
terreno, e facendo vedere, che mancavaci il pavimento, buttava in aria terra e
pagliaccia. I rimprocci, e le grida assordivano il Cielo.
Tutto fu fuoco in quella giornata. Il vero si è, che
l'Inferno restò abbattuto, ed i
nostri stabiliti con tutta pace nel
possesso della Chiesa, e delle proprie funzioni.
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