- 174 -
Cap.24
Alfonso ritorna di nuovo in Foggia: passa in Diocesi
di Conza; ed accetta un altra Casa nella Terra di Caposele
- 175 -
Troppo divota era
restata per Alfonso la Città di Foggia. Conoscendone il merito, non mancava ne'
suoi bisogni di far ricorso alle sue orazioni.
Una gran penuria di
acqua affliggeva, fin dal Marzo di quest'anno 1746 la Puglia tutta. Erasi nel
Mese di Aprile, e i sementati si vedevano secchi e perduti. Tra quelle comuni
afflizioni, il famoso Avvocato D. Francesco Ricciardi, e tutti que' Signori si
determinarono chiamare Alfonso in Foggia, per una solenne novena a Maria
Santissima, come persona molto favorita dalla Vergine.
Non ancora Alfonso era
libero in Iliceto dalla febbre, che vedendo il bisogno del pubblico, e
trattandosi di novena per Maria Santissima, così aggravato ed estenuto,
com'era, non mancò avviarvisi.
Lo volle il Ricciardi
in casa sua, credendo avere un Angelo alla sua custodia; ed Alfonso vi chiamò
pel catechismo il P. Villani, che con altri de' nostri stava facendo la
Missione nella Terra di Cella. Appena incominciò la novena, che cessò la febbre.
Fu questa novena per Foggia di tal profitto, che fu stimata una seconda
Missione. Quanto si volle, tanto si ottenne da Maria Santissima. L'acqua fu in
abbondanza, e si videro rimessi i sementati con somma consolazione, non meno di
Alfonso, che degli afflitti Foggiani.
Mentre Alfonso stava in
Foggia, Iddio aprì la strada per un'altra Fondazione nell'Archidiocesi di
Conza.
Viveva in una somma
afflizione Monsig. Nicolai Arcivescovo di quella Metropoli, vedendo quanto
vasta la sua Archidiocesi, altrettanto bisognosissima di spirituale ajuto, e
destituta di Operari Evangelici. Un giorno diffondendo il proprio Cuore con D.
Giovanni Rossi, un tempo Pio Operario, e poi zelante Arciprete in Contarsi sua
patria, e con D. Francesco Margotta Gentiluomo, e grande Operario nella Terra
di Calitri, tutti e due eminenti in santità, ed interessati per la gloria di
Gesù Cristo, costoro li proposero, come unico mezzo, lo stabilirsi in Diocesi
una Casa di Operari diretti dal P. Liguori.
Fatto inteso
l'Arcivescovo dell'Opera di Alfonso, e di quanto utile era alle altre Diocesi,
più non vi volle per abbracciare il progetto. Si fecero varie pensate, ma si
determinò, avendosi al di fuori della Terra di Caposele una Chiesa con rendita
dedicata a Maria SS., stabilirci in quel luogo i Missionarj.
Stando Alfonso in
Foggia, l'Arcivescovo vi spedì sollecito il medesimo Arciprete Rossi. Si
disimpegnò - 176 -
Alfonso
freddamente, contrapesando le circostanze de' tempi; ma animato dal P. Villani,
stabilì farsi la Missione in Caposele; e con questo vedere cosa Iddio ne
volesse. Se ne consolò Monsig. Arcivescovo, e rescrivendo ad Alfonso, aspettava
a momenti la sospirata Missione.
Da Foggia passò Alfonso
con altri soggetti nella Terra di Accadia: di là in Trevico, ed in Castello; e
da Trevico non prima de' ventidue di Maggio si ritrovò in Caposele. Non può
credersi, quale e quanta consolazione si sperimentò per il suo arrivo da que'
naturali, specialmente dal Clero, e dai Gentiluomini, che già ne stavano
prevenuti.
Aperta la Missione
sembrò a tutti Alfonso, come tuttavia si decanta, un nuovo Apostolo. Non erano
parole, ma tante saette li suoi detti, che non ferivano, ma squaricavano i
cuori. In uno de' giorni, e fu a' tre di Giugno, unito con varj Gentiluomini
portossi sopra la Chiesa, che se li osseriva, detta Mater Domini. Restò
soddisfatto del sito, perchè troppo a proposito, ed il paese in mezzo in quella
vasta Archidiocesi, con Diocesi adiacenti anche bisognose. Restò sodisfatto
anche della Chiesa, perchè bella, e spaziosa: venerò l'imagine di Maria
Santissima, ma non ne restò appagato, perchè di mano non perita. Pregato da
quei Signori a voler cantare sull'organo le litanie della Divina Madre, non fu
restio a compiacerli.
Tra questo tempo era in
visita l'Arcivescovo nella Terra di Calabritto, luogo non più, che due miglia
distante da Caposele. Stimò suo dovere Alfonso visitarlo e riconoscerlo di
persona. Vi si portò il dopo pranso del secondo giorno da che eravi giunto
colla Missione, e ci fu un incontro per esso, che non stimo trasandarlo, per
esser troppo grazioso.
Stava l'arcivescovo in
casa de' Signori del Plato; ed ei vi giunse, cavalcando al solito un somaro, in
tempo che quello stavane a tavola. Stimando non incomodarlo, si pose a recitar
l'Ufficio in una Cappella, che stava aperta di fianco al palazzo. Essendo
calato, per chiudere la Cappella, il Primicerio D. Saverio del Plato, allora
giovanetto, in vedere Alfonso lacero e male in arnese, con barba irsuta, e con
cappa tutta centoni, credettelo un qualche Prete vagabondo, che aspettasse
l'Arcivescovo, per istrappargli qualche limosina.
Dubitando di furto, signor mio, li disse,
abbiate la bontà di uscire, perchè debbo serrare la Chiesa. Pazientate un poco,
disse Alfonso, quanto dico Vespero, e
Compieto. Dico, che uscite, replicogli il Plato, ieri fu rubata una tovaglia: ce ne fosse oggi un'altra di soperchio?
Non vi fu pietà per Alfonso: dovette uscire, e si fermò a finir Vespero
accantonato in mezzo alla strada.
Fatto tardi, salì
sopra. Avuta l'imbasciata l'Arcivescovo, come intese Alfonso Liguori, tutto
lieto uscigli incontro con segni di somma stima. Restò confuso il Plato; e più
confuso in sentire, che Alfonso - 177 -
era Cavalier napoletano, e superiore della Missione. Non se ne diede per
inteso Alfonso. Avendo conferito con Monsig: Arcivescovo, e restati in
appantamento di vedersi in Caposele, terminata la visita, se ne ritornò, per
esser pronto alla predica. Questo fatto, se afflisse l'Arcivescovo, riconciliò
non però una maggiore venerazione per Alfonso.
Benedisse Iddio con
modo speciale questa Missione, come primizia in quell'Archidiocesi; e se fu
Alfonso ricevuto, come un uomo calato dal Cielo, egli non mancò dimostrarsi
tutto divino co' suoi portamenti. La sua umiltà, la sua modestia, quell'aspro
trattamento, che faceva di se medesimo, erano tante prediche, che compungevano
ogni cuore.
Proseguì questa
Missione, come mi attesta il Dottor Fisico D. Nicolò Santorelli, sempre con
ispasimo di denti. Una sera tra le altre rilevando il gran male, che si fa cogli
amoreggiamenti, non mi curo, disse, che spasimo: basta che vi dico quando tengo
nello stomaco. Tirò la predica circa due ore; ma, come mi disse il Santorelli,
non sembrò, che un momento. Increpò le madri, che introducevano i giovanetti in
casa; e così i giovanetti per la loro scostumatezza. Tante volte, attesta il
medesimo, vedevasi così lasso e defaticato, che ritornando a Casa, sostener si
dovea anche da altri.
Riepilogando il
Santorelli il gran bene, che vi fece, soggiugne: "Si pose in questa Terra
la frequenza de' Sacramenti: fu fatta da tutti la giusta idea della vera
divozione: si videro tolti molti scandali, riconciliate tante inimicizie,
detestate le bestemmie, abborrito il parlare sboccato, ed infervorò tutto il
popolo, specialmente nella divozione di Maria Santissima.
Conchiude, che
predicando si vedeva sempre assorto e fuori di se; e che una sera nell'atto
della predica, vide in ispirito il gran travaglio, che soffrivasi da' suoi
nella Casa d'Iliceto: Noi, disse, siamo quì a fare la Missione, ed il
Demonio sta travagliando i poveri figli miei in Iliceto. Di fatti la sera
susseguente sopraggiunse di là con triste novelle un Fratello laico, che
conferì con Alfonso da circa tre ore.
Fu l'Arcivescovo in
Caposele, e ritrovossi alla predica della Madonna: pianse anch'esso per
tenerezza, nè mancò assisterci ogni sera con suo compiacimento.
Contemporaneamente vi furono l'Arciprete Rossi da Contursi, D. Francesco
Margotta da Calitri, ed il Dottor D. Pietro Zoppi da Santo Menna, che impegnato
per lo bene della Diocesi, prometteva anch'esso ducati trenta annui per questa
Fondazione.
Tutto caminava di
concerto, ed avevasi per effettuata la Fondazione, ma non poteva l'Inferno non
far delle sue. Credendo il Clero, che Monsig. Arcivescovo volesse spogliarlo di
ogni suo dritto, a' quattro di Giugno si dichiarò tutto in contrario. Sentendo
la rivolta Alfonso, Ho a caro, disse
al P. de Robertis, che ci sia
opposizione: segno è, che il Demonio provede il suo danno, ma la vincerà Iddio,
e non il Demonio.
- 178 -
Essendo salito lo
stesso giorno sopra il Romitaggio Monsig. Arcivescovo cogli anzidetti Rossi,
Morgotta, e Zoppi con quantità di Gentiluomini, vi salì per sostenere le
ragioni del Capitolo, e per la totale negativa il Sacerdote D. Salvatore
Corona, uomo dotto, e Gentiluomo prepotente nel Clero, e nella popolazione.
Se l'Inferno faceva i suoi sforzi per opporsi all'Opera di Dio, la Vergine
anch'essa volle far mostra di sua possanza. Entrando il Corona in Chiesa per
visitare la Vergine, ma pieno di mal talento per la Fondazione, non sì tosto fu
avanti l'Altare, che sorpreso si vide da un foriero apopletico, e tale, che li contorse la bocca.
Nell'istante conobbe il Corona il giusto castigo, che se li dava in pena del
suo assunto; e rivolto alla Vergine:
Madre di Dio, disse, mi protesto, che
non intendo più contradire la Fondazione. Così dicendo si vide libero
dall'insulto, e rimessa la bocca nel suo stato. Sessionandosi col Clero, e
l'Arcivescovo, il Corona non fece il Fiscale, ma l'Avvocato dell'Opera, e tale
fu poi in ogni tempo.
Per l'opposto un altro
colpo di tentazione assalì anche l'Arcivescovo. Benche questi fosse tutto zelo
per la Fondazione, tutta volta sperimentar voleva prima i Padri, e poi
sbilanciarsi per lo di più, che contribuir ci voleva. Questa rendita in spe non
soddisfece Alfonso.
Vedendo i Preti restii
a rilasciar in parte i beni della Chiesa, e Monsig: Arcivescovo ritenuto
anch'esso in assegnar cosa del suo, io
non son venuto quì, disse a Monsignore,
per fare la Fondazione, ma per la Missione, e per servire V. E. Avendo adempito
a questo, non ho altro che pretendere. Considerando l'Arciprete Rossi,
quali sciolto il trattato, si butta tutto lagrime ai piedi dell'Arcivescovo,
supplicando non darla per vinta al Demonio.
S'intenerì l'Arcivescovo, e pianse anch'esso
vedendosi ai suoi piedi un uomo canuto, e così venerabile. Tutto quello che
posso, disse, tutto voglio farlo. Fattoseli presente dal Rossi, e dagli altri
non esser rendita competente, la rendita della Chiesa, e quello, che
somministrar voleva il Margotta, ed il Zoppi, Monsignore per unire la rendita
di docati cinquecento, vi aggiunse del suo altri docati due mila. Così a'
quattro di Giugno, con finirsi la Missione, restò anche conchiusa la Fondazione
di questa nuova Casa.
Sparsa la notizia in
Caposele di essersi effettuata la permanenza de' Missionarj, tutto il popolo
diede in estri di allegrezza: vi fu illuminazione la sera per tutta la Terra,
sparo e falò per ogni strada: anche i Regimentarj
si segnalarono in nome del Pubblico con altri segni di comune compiacimento.
Similmente il Principe D. Innico Rota, e la Principessa D. Cornelia Sanfelice,
essendone riscontrati, si congratulorono con Alfonso, ed esibirono per la
fabbrica i loro boschi, e tenute.
Un'altra consolazione
si sperimentò in questo giorno tra Cittadini; e fu l'essersi avverata fu questo
particolare una profezia già fatta venti - 179 -
anni prima dal B. Gio: Giuseppe della Croce Religioso Alcantarino.
Essendosi portati in questo
Feudo con un Padre Alcantarino loro Confessore, il Principe D. Innico, e la
Principessa D. Cornelia, il Padre in vedere sopra un'altura la Chiesa di Mater
Domini, disse: Questo luogo sarebbe a proposito per un Convento di Alcantarini.
Piacque il pensiere, e si fissarono in questo tanto il Principe, che la
Principessa. Essendone data parte al Beato, allora Provinciale, rispose: non occorre, che V. E. s'impegni
ulteriormente: per ora non si compiace il Signore che cotesto luogo venga
abitato dai nostri Religiosi; ma da quì a venti anni sarà Casa di altri
Religiosi, molto zelanti della gloria sua, e del bene delle Anime. E venti
anni in punto erano scorsi da che il
Beato profetizzato aveva un sì felice successo.
Sistemato il tutto col
Clero, e con que' Gentiluomini, richiesto Alfonso per la Novena della Nascita
di Maria Santissima, Titolare della Chiesa di Mater Domini, se ne compromise,
come poi sodisfece con suo compiacimento. Di là destinò due Padri per la
rinnovazione di spirito nella Città di Trevico; e due altri per la Missione
rurale in S. Maria di Anzano subborgo della medesima Città.
Da Caposele passò in S. Andrea. Ivi finì di assodare
con Monsig: Arcivescovo gl'interessi di questa nuova Fondazione, e nel dì
ventiquattro dello stesso mese fu di ritorno in Iliceto.
|