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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.25 Altre nuove trappole contra i nostri ne' Pagani: Missioni fatte da Alfonso in Diocesi di Conza, altre destinate in Puglia, e noviziato, stabilito nella Casa di Ciorani.
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Cap.25

Altre nuove trappole contra i nostri ne' Pagani: Missioni fatte da Alfonso in Diocesi di Conza, altre destinate in Puglia, e noviziato, stabilito nella Casa di Ciorani.

 


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Invidioso il Demonio del gran bene, che Alfonso operava in Puglia, volendolo o deviare da quelle Missioni, o maggiormente amareggiarlo, se mutar sistema al Contaldi. Non avendo che sperare nel Sagro Regio Consiglio, lascia questo Ven: Tribunale, ed unito co' suoi, s'incamina nella Delegazione.

Ingannato il Delegato, ordina a' sette di Febbraio 1746 al Governatore di Valentino, che sequestrato avesse ai Missionarj i frutti di otto moggia di terre assegnate ad essi, e poi donate alla Cappella consagrata al Patre Eterno, quando erasi decretato antecedentemente nel Sagro Regio Consiglio, che i debitori riconosciuto avessero i Missionarj per loro creditori. Dippiù volendo ingarbugliare maggiormente le cose, nel primo di Aprile fece in parte donazione di altra roba già donata ai Nostri, a beneficio di un Sacerdote suo congiunto, e con questi, e con altri raggiri e cavilli non lascia ai Missionarj pace, quiete. Ma la vince Iddio, e non il Demonio.


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Contemporaneamente vi fu persona, che fingendo pace, cercava far ritrovare i nostri in una trappola, non ancor sognata. Progettò a' Padri Sportelli, e Mazzini in nome de' Parochi, che se desistessero di predicare nella loro Chiesa, le cose muterebbero aspetto. Volentieri se li disse, purchè si togliesse ogn'altro disturbo. Non l'intendeva questi così: si faccia ciò per ora, e per lo dippiù, disse, se ne parlerà appresso.

Così, se non poteva sloggiarli, almeno tenerli inutili ne' Pagani.

Monsig. Volpe, avendo inteso il progetto, e saputo ciocchè stavasi tramando, ne volle per la vita. Ordina ai Padri, che non si condiscenda in cosa veruna, e che in Chiesa si predicasse, e si facesse qualunque esercizio del proprio ministero. Non più retta ai Parochi, e dichiarandosi nostro Protettore, assicura Alfonso, che in Roma, in Napoli, con esso i Preti mal contenti, ed ogn'altro ottener potevano cosa di sodisfazione.

 

Tra questo tempo furono colla Missione ne' Pagani i Congregati di Propaganda di Napoli, confratelli di Alfonso, come già dissi. Questi vennero invitati da' Parochi, non per bene del pubblico, ma per isfiancare i nostri, e discreditarli.

Appena giunti non si mancò preoccuparli, ed empir loro le orecchie di mille villanie. Tra l'altro non si ebbe ribrezzo intaccare l'onestà di una savia Gentildonna quantunque avanzata in età, come quella, che aveva dell'attacco col P. Mazzini, che la confessava. Si coloriva l'impostura, non perchè frequentava la nostra Chiesa, ma perchè assisteva ai Padri in varj bisogni.

La machina non ebbe effetto. Troppo chiaro rilevarono i Missionarj l'impostura de' Preti  e Regolari, e più chiaro l'onestà e zelo de' Nostri, ed il gran bene, che ne' Pagani si operava da Alfonso e dai suoi.

Ci erano tra gli altri D. Filippo Aveta, D. Giuseppe Romeo, ed il Canonico Sersale, che fu poi Cardinale ed Arcivescovo di Napoli. Questi ed altri, anzi che di affanno, furono di ristoro ai nostri, e tutti di accordo furono di sentimento, che si difendesse la causa di Gesù Cristo, e non si dasse per vinta all'Inferno.

 

Trafiggevano il cuore di Alfonso, non tanto gli attentati de' contrari, quanto l'afflizione, in cui vedeva i suoi ne' Pagani. Ma non potevano le acque delle tante tribulazioni, estinguere in esso quell'ardore, ch'egli aveva per le Anime. Troppo bisognosa di aiuti spirituali conosceva la Diocesi di Conza, e troppo tenuto si vedeva a Monsig. Nicolai, che n'era l'Arcivescovo.

Anche l'obbligazione contratta col Rossi, e col Margotta, che per quella Fondazione tanto si erano interessati, astringevalo a posporre altri luoghi in preferenza di quelli di Conza. All'uscita di Ottobre vi spedì i Padri Sportelli, e Villani in compagnia di altri soggetti; ma mentre i suoi si affaticavano nell'Arcidiocesi di Conza, egli Alfonso seguitava a disimpegnare le sue opere in Puglia.


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Monsig. Aceto Vescovo di Lacedonia, supplicò anch'esso l'Eminentissimo Spinelli a voler destinare Alfonso in sollievo della sua Diocesi. Non è da credersi in quale bisogno fossero le due popolazioni di Lacedogna, e Rocchetta. Benedisse Iddio queste due Missioni. Tra l'altro sortì in Lacedogna il ravvedimento di due Gentiluomini, che troppo lontani vivevano da Dio, e furono la consolazione del pubblico, e di Monsig. Vescovo, cioè D. Michelangelo Colabella, che fu poi l'edificazione di quella Città, e D. Domenico Cappucci, che fatto Prete, riuscì un zelantissimo Missionario.

 

Grandi furono, ommettendo altre particolarità, le opere di Alfonso, che di per se, o per mezzo de' suoi, ei fece stando il Iliceto. Santificati si vedevano que' luoghi, che venivano frequentati.

Foggia tra le altre Città eragli molto divota, ed egli non lasciava consolarla ne' suoi bisogni. Ma nelle grandi Città, siccome vi regna la pietà, così non mancano i disordini. Chiamato, non so perchè, circa la fine di Decembre in quest'anno 1746 volentieri vi si portò.

Nel giungervi ritrova aperto, con suo rammarico, un teatro di Comedianti forestieri, ed impegnati vedevansi in sostenerli buona parte de' Gentiluomini.  Quest'incentivo di peccato, specialmente alla gioventù, non piacque ad Alfonso: pregò, supplicò, che licenziati i comedianti, tolto si fosse un tale scandalo. Cantò al sordo.

Non vedendosi compiaciuto, anzi che dar di piglio alle prediche, qualunque fossero state le preghiere, risoluto volle far ritorno in Iliceto: Non si può servire, disse, a Dio, ed al demonio, e soggiunse: Foggia non vuole finirla, ma non mancheranno a Dio de' castighi alla mano, in pena di un tanto libertinaggio. Come fu partito, scossa si vide la Città da un fiero tremuoto. Richiamato non fu a tempo di compiacerli. Questi sono in Puglia le ultime mostre dello zelo di Alfonso.

 

All'entrata del 1747 anch'esso Alfonso si portò con altri compagni nell'Arcidiocesi di Conza. A prima giunta si predicò la penitenza nella Terra di Teora, ed altrove; e mano mano in Conza, ed in S. Andrea, residenza dell'Arcivescovo. Si consolò il Margotta colla Missione in Calitri, ed il Rossi in Contursi. Si passò in S. Menna Patria del Dottor Zoppi; ed in seguito in Laviano, Buccino, Pescopagano, ed altrove, e da per tutto vi fu messe ubertosa di Anime convertite a Gesù Cristo, e vizi diradicati, e banditi.

 

Contemporaneamente Monsig. Arcivescovo volle dati gli Esercizj di S. Ignazio al Clero, ed alla numerosa Gioventù, che aveva nel suo Seminario in S. Andrea. Vi fu destinato da Alfonso il P. Cafora.

In questi Esercizj si guadagnò alla Congregazione il dotto Sacerdote, e Maestro in quel Seminario D. Geronimo Ferrara, e nella Missione di Calitri risolvette segregarli dal Mondo, e vivere in Congregazione


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il gran servo di Dio D. Francesco Margotta, che fece erede di tutto il suo Maria Santissima, e per essa la medesima Casa di Caposele.

Questi furono i frutti primitivi, ma frutti maturi, della Casa di Caposele, che in seguito fecero tanto onore, e furono di un particolare sostegno alla nostra nascente Congregazione.

 

 Tra questo tempo non fu lento Monsig. Arcivescovo di Conza, e molto più i Caposelesi in volersi dar principio alla nuova Casa. Mettendosi mano alle calcaje, i Gentiluomini con un fervore segnalato, si suddivisero la Terra in tanti piccioli Quartieri; ed ognuno aveva un popolo a sua divozione. Chi era capo nel rispettivo Quartiere, ordinava di sera quello dovevasi fare la mattina. Chi destinavasi al taglio delle legna: chi al trasporto delle pietre: altri a quello delle fascine; ed appena compariva l'alba, vedevasi un villano girare il suo ristretto, e suonando una zampogna, animar tutti alla levata. Ognuno de' villani andava a proprio interesse; e chi era impedito, sostituivane un altro a conto suo.

I Gentiluomini facevano da capi, e col popolo vi concorrevano ancora le Gentildonne. Incominciata la fabbrica vi fu un mondo di gente a coadiuvarla: chi trasportava pietre, chi calce, e chi arena. Falegnami, Muratori, Scarpellini, e Ferrari tutti erano in azione.

In seguito, nel primo di Maggio 1748 si benedisse la prima pietra. Vi fu di persona Monsig. Arcivescovo, con Monsig. Amati, già suo Vicario e poi Vescovo di Lacedogna; ed oltre il Clero, e Gentiluomini della Terra vi furono ancora molti Canonici, Preti, ed altre persone di riguardo della Diocesi, ed un popolo immenso, che da per tutto vi concorse.

 

Anche alla Vergine fu molta gradita la situazione de' nostri in questo suo sacro luogo. Incaminate le Missioni in questa Diocesi, vi fu un contesto troppo bello di sua predilezione, e fu dichiarare suoi specialissimi figli i Missionarj, che l'abitavano.
Giaceva confinato da tre anni in letto nella Terra di Pescopagano, e sacrilego da molti anni, un uomo disgraziato. Ogni notte il miserabile vedevasi sul petto il Diavolo in forma di Caprone, che avventandosi colle zampe alla gola, e tenendolo stretto ne' fianchi, quasi lo soffocava.

Una mattina verso l'alba, stando vegliante, vide come illuminata tutta la stanza, e comparendogli Maria Santissima con due Angioli a fianco: Figlio, li disse, ti basta il cuore di vivere ancora in peccato? Presto risolvi di mutar vita: dimani verranno quì i figli miei della Casa di Mater Domini, confessati, e pentiti de' tuoi peccati, che sarai perdonato dal mio Figlio.

Svanita la visione, si vide rincorato, ma non sapeva a che pensare, non avendo il disgraziato uomo veruna idea della situazione de' nostri in Caposele, e molto meno della Missione, ch'era per andare in quella Terra. Il giorno appresso udendo


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il festivo suono delle Campane, dimanda cosa fosse; e sentendo arrivata la Missione, non capendo in se per la gioia, tutto anzioso in quel medesimo punto volle un Missionario.

Vi fu il P. D. Matteo Criscuolo. Avendogli raccontato l'accaduto, si confessò tra un profluvio di lagrime; e, con segni evidenti di sua salvezza, se ne morì nel decorso della Missione. Richiesto dal Padre, che divozione era solito di praticare in onore di Maria Santissima, disse, che aveva voto di recitare ogni giorno il Santo Rosario, e che non aveva mai lasciato di sodisfarlo.

 

Un altra Opera, che molto interessavalo, sistemò Alfonso fra questo tempo. Benchè non eravi cosa, che tanto li fosse a cuore, quanto i Giovanetti candidati, tuttavolta si può dire non esserci stato finora in Congregazione, veruna forma di Noviziato.
I soggetti, che si ricevevano, dovevano essere prima professi, che novizi. Non si ammettevano, che i soli Suddiaconi, e per lo più non facevasi il Noviziato, che seguitandosi Alfonso da Castello in Castello. Erasi determinato fin dall'anno antecedente ammettere i Giovani anche di anni diciotto, perchè meno imbevuti del secolo, e più atti a poter ricevere le impressioni della Grazia.

Stimò Alfonso situare il Noviziato nella Casa d'Iliceto, e vi destinò Maestro il P. Cafora; ma conobbe ben presto, esser troppo crudo quel terreno a poter alimentare delle picciole piante di fresco spiantate, e tolte dal secolo. La miseria, in cui si viveva in quella Casa, essendo estrema, disanimava talmente i Giovanetti, che dandosi indietro, levavan mano all'aratro. Tanti e tanti non avendo il coraggio di esporre la loro fiacchezza al P. Cafora, fuggivano di soppiatto, e non potendo per la porta, anche lo facevano giù dalle finestre.

 

La strettezza della Casa, e questa incostanza sperimentata ne' Giovanetti novizzi, metteva alle strette il cuore di Alfonso. Essendosi stimata, perchè meno disaggiata la Casa di Ciorani, si trasferì in quella il Noviziato nell'entrata di Febbraio di questo medesimo anno.

Benedisse Iddio questa determinazione. Maestro de' Novizi vi fu stabilito il P. D. Andrea Villani; e fu tale il concorso de' Giovanetti, che tra poco tempo giunsero fino a venti. Facevano tutti la consolazione di Alfonso col loro fervore, e colla loro costanza nel bene; ed egli volendoli assodare vie più nello spirito, stabilì e fecela regola costante in appresso, che nell'anno della probazione non vi fosse per li Novizi applicazione letteraria, e che unicamente atteso si fosse alle cose eterne.




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