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Cap.26
Prime opere, che Alfonso diede alle stampe stando in
Iliceto: contradizione sofferta, e somma moderazione.
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Abbiamo in Iliceto i
primi parti del talento di Alfonso, non impiegato a benefizio di una qualche
Città, o Diocesi, ma a vantaggio universale di Regni, e Provincie. Troppo
ardente era il suo zelo, e ristretto non vedevasi in picciole circonferenze.
La calamita, che anche da secolare, attiravali il cuore, era Gesù nel
Sacramento. Considerandolo abbandonato, e derelitto nelle Chiese, e volendolo
vedere ossequiato, pensò restringere gli affetti dal proprio cuore in tanti
atti dipartiti per tutt'i giorni del mese; così ancora, avendo della tenerezza
per Maria SS., distese altri atti di ossequio per onorarla, volendo con questo
invogliare i fedeli ad amarli, ed esserne divoti.
Questo librettino, che
intitolò: Visita al Sacramento, ed a
Maria SS., incontrò subito da per tutto il compiacimento delle Anime
divote, affezionò i popoli a visitare Gesù Sacramentato, e Maria SS., e rara
era quella persona, come lo è di presente, che presso di se non l'avesse. Oltre
del Regno, se ne vide piena l'Italia, e vivendo Alfonso, solo tra Napoli, e
Venezia, si contavano da venti, e più edizioni. Passò ancora tradotto in varie
lingue di là da' Monti, e nel 1777 fu rimesso ad Alfonso tradotto in francese
sulla decimaquinta edizione italiana.
In seguito diede fuori
un'altra operetta. Come intenerivali il cuore Gesù abbandonato nel Sacramento,
così distruggevalo in lagrime Gesù sacrificato sopra una Croce: Non ha cuore, soleva dire, o non ha fede, chi non si compunge a vista
del Crocifisso. Restrinse tutta la Passione di Gesù Cristo in un altro
opuscolo, che intitolò: Riflessioni ed
Affetti sulla Passione di Gesù Cristo, ch'ei ricavò da' Padri e molto più dal sacro Testo, e l'unì,
per commodo di tutti, al libretto della Visita. Mette in tale aspetto, e così
viva la Passione del Salvatore, che forma la tenerezza anche de' cuori più duri,
tanto sono teneri gli affetti, e così dolci l'espressioni
Sin da che abbracciato
aveva lo stato ecclesiastico, volle il Canonico D. Matteo Gizzio suo zio, che
preso si avesse per Avvocata la Madre S. Teresa.
Si affezzionò Alfonso alla
Santa, maggiormente che ne' suoi spirituali bisogni sperimentato ne aveva il
patrocinio. Volendo esserle grato, si diede ad imitarla nelle virtù,
specialmente nell'arduo voto di non far cosa, che per Dio, ed a sua maggior
gloria. Impegnato, che si ossequiasse, e s'imitasse dagli altri, epilogò in
tante meditazioni i pregi più rari della Santa, proponendoli alle Anime divote,
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come per apparecchio
alla sua festa.
Questa operetta, o sia
Novena in onore di S. Teresa non solo fu applaudita da tutti, ma meritossi gli
speciali ringraziamenti da' PP. Teresiani. Avendo conosciuto il gran male, che
dalle laide canzoni risultava a' giovanetti, e zitelle, ed il gran bene, che
operavano le sue, poste nella bocca di questi, volendo spargerle da per tutto,
raccolte in un volume le diede alle stampe.
Chi legge non può non
ammirare la grazia dello Spirito Santo, che in quelle vi riluce, ed il suo gran
talento. In tutte, benchè popolari, ci si trova diletto, e compiacimento; ma in
talune alza Alfonso il volo sopra se stesso, e fa conoscere l'arte, che
possedeva, e lo Spirito Divino che inebriavalo.
Tale è quella sulle
parole di S. Bernardo: Servus timet;
l'altra che incomincia: Selva romita, e
oscura, che compose in questa Casa; e i dialoghi sulla Cantica; ma in
quella: Dove mi ritrovo, individua a
maraviglia se stesso, e gli affetti di un'Anima ebra di amor Divino.
In tutte vi racchiude
il più bello della mistica Teologia; e queste ed altre gareggiano tutte con
quelle altrettanto divine del Beato Giovanni della Croce.
Girando le Provincie
deplorò Alfonso l'indolenza di tanti Vescovi, che godendo de' beni delle
Chiese, non facevansi carichi de' proprj doveri. Volendo giovare, e risvegliare
in tutti lo zelo del proprio carattere, restrinse in un libriccino le precise
loro obbligazioni.
Quest'operetta quanto è
picciola di mole, altretanto è gravida di sensi. Avendola inviata a tutt'i
vescovi Italiani, ne riscosse da tutti i più vivi ringraziamenti, e coi
ringraziamenti taluni ci unirono ancora le proprie giustificazioni. Tra gli
altri così si spiega Monsignor Salerno Vescovo di Molfetta.
Leggo con mia somma
edificazione le Riflessioni sopra il buon governo del Vescovo, ristrette da V.
P. con tanto zelo, prudenza, e dottrina nel suo libretto. In esso ben si dimostra
la gran carità di V. P. verso di me, e di tutti i Vescovi. Ma questa di lei
singolar bontà anderà sempre congionta con un suo benigno compatimento; poichè
coll'esperienza, che ha in venti anni di Missioni, non meno de' Vescovi, che
de' popoli, rifletterà senza dubbio, che quanto è facile la teorica,
altrettanto è ardua la pratica, attese le maggiori difficoltà, che
s'incontrano, massime in questi tempi calamitosi.
In Puglia ritrovò caso
riserbato la maledizione de' morti. Benchè la riserba facesse ribrezzo, non per
questo toglieva il vizio. Scrutinando Alfonso l'intenzione, e non conoscendoci
livore verso i defonti, ma una stizza verso i viventi, entrò nel dubio, se di
per se fosse o no colpa mortale. Non conoscendola tale, ebbe a male la riserba,
e molto più l'erroneità delle coscienze, e le Anime, perchè recidive, lontane
mesi e mesi da' Sacramenti, stimandosi ree di colpa mortale.
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Avendo comunicato in
Napoli questi suoi sentimenti a quelle rispettabili Congregazioni, che in Regno
fanno autorità per la loro saviezza, specialmente alla sua delle Apostoliche
Missioni, concordemente fu stimato, non poter essere grave la colpa, ove la
materia non fosse tale.
D. Antonino Sersale,
Segretario allora di quella delle Apostoliche Missioni, indi Cardinale, ed
Arcivescovo di Napoli, così li rescrisse: "Essendosi letta nell'Accademia
la sua giudiziosa scrittura circa la
bestemmia de' morti, concordemente è stata da tutti approvata, non
avendoci nessuno ritrovato difficoltà in contrario. Stima bensì la
Congregazione, che se ne facci parola, ma con prudenza presso de' Vescovi, che
l'hanno riserbata, e con libertà Apostolica, per togliersi la mala fede, e la
coscienza erronea, s'intuì al popolo non esser colpa grave tal bestemmia, ma
solo quando s'intende bestemmiare le Anime de' morti, e dire, che in questo
senso, e non altrimenti è stato riserbato il peccato. Il tutto però con somma
prudenza, acciò riesca di profitto per le Anime, e di gloria al Signore; ed
anche si dimostri ossequioso rispetto a' Prelati".
Non contento di questo
fece capo anche in Roma, nè ivi si stimò altrimenti.
Non esitando Alfonso su tale opinione, volendo disingannare i Parochi, diede
fuori colle stampe una dottissima lettera.
Ci fu un Claustrale
Pugliese, che offeso dalla novità, non rispose alle dottrine, ma lo caricò di
note non dovute. Chi sei tu, gli
scrisse, che uscendo dal bosco, vuoi dar
legge ad altri, e farla da maestro. Non avendo che si dire, tra l'altro lo
trattò da Eretico, asserendo francamente, che riprovasse le Orazioni vocali.
Urtò in questo sbaglio, perchè promovendo Alfonso, ed
inculcando per ogni dove la meditazione in comune nelle Chiese (cosa nuova in
Puglia), il Claustrale si diede a credere, che insistendo per questa,
riprovasse l'altra. Alfonso, imitando il Redentore, che rimproverato di essere
Sammaritano, e che assistito fosse dal Demonio, si scagiona della seconda, e
non risponde alla prima: così egli non si fa carico nella difesa delle
contumelie, ma risponde col fatto alla taccia, che di Eretico li vien data:
"Come io nego, disse, le Orazioni vocali, se ho voto di recitare
ogni giorno il Rosario di Maria Santissima; e nelle Missioni io, ed i miei
compagni invogliamo tutti a recitarlo ogni sera colla propria famiglia; e prima
degli atti grandi in Chiesa, è destinato anche un Padre a recitarlo col popolo,
e contemplarne i Misteri". Ringrazia il Contradittore de' ricevuti
avvertimenti, e non si duole d'altra cosa a
Posizione Originale Nota- libro II, Cap. XXVI, pag.
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