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Cap. 28
Opere apostoliche di Alfonso stando in Napoli, e sua
grave angustia volendosi dal Re Arcivescovo di Palermo.
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Se la sussistenza della
Congregazione, perchè Opera di Dio era a cuore ad Alfonso, egli colle medesime
Opere di gloria di Dio ne promoveva la fermezza. Queste in senso suo erano i
migliori Avvocati. Trattenendosi in Napoli rubava il tempo, diciam così, e
tutto impiegavalo in beneficio delle Anime, e per la gloria di Dio.
Invitato dal Rettore
del Seminario Urbano, non una, ma più volte vi si portò per animare colle sue
esortazioni quei tanti giovanetti a star lontani dal peccato, ed a stringersi
con Gesù Cristo. Fece loro vedere cosa sia Grazia di Dio, e quanto importi per
mantenervisi la meditazione di Gesù addolorato, la frequenza della santa
Comunione, e l'esser divoti di Maria Santissima. Capito e sperimentato il
frutto, se ne invogliarono i Seminaristi, ed il Rettore ve lo volle
replicatamente per vie più infervorarli nel servizio di Dio.
I Monasteri delle
Monache tra gl'altri vedevansi la maggior parte anziosi di qualche sua
esortazione, ed Alfonso consolavane or l'uno, or l'altro. Tante volevanlo al
Confessionale per conferir con esso la propria coscienza. Tutte consolava
Alfonso, e compiacevasi vedendone il profitto. A tante anche diede i santi
esercizj. Avrebbe voluto moltiplicarsi, per render tutte soddisfatte, ma si può
dire, che niuna restò attrassata.
Non una, ma più volte
il Padre D. Gennaro Fatigati lo volle sopra il Collegio de' Cinesi. Aveva
Alfonso special passione per quell'Opera di gloria di Dio, e di bene di que'
tanti, che languiscono in Cina nel mezzo dell'Idolatria. Considerando que'
giovanetti come altrettanti - 196 -
Apostoli, vi fu con suo sommo compiacimento. Esortolli all'amore di Gesù
Cristo, ed alla salvezza di quelle Anime: fece vedere di quanta gloria sia per
Gesù Cristo il dilatamento della Santa Fede, e di qual merito per un Operario
l'impiegarsi a dilatarla. Ne restarono così presi que' giovanetti, che
insistettero per averlo altre volte.
Godeva Alfonso per
queste sue tante applicazioni di gloria di Dio; ma un turbine inaspettato perturbò
la sua pace.
Essendo vacata agli
undeci di Luglio di quest'anno 1747 la Chiesa di Palermo, per la morte di
Monsig. Rossi, il Re erasi determinato volerla provvedere in persona sua.
Troppo alta era l'idea, che di lui avevane conceputa; e ben gli era nota la
nascita, i suoi talenti, e soprattutto il gran zelo per le Anime, e per la
gloria di Dio. Comunicando al Marchese Brancone suo Segretario questa
risoluzione: Se il Papa, disse, fa delle buone proviste, io voglio farle
migliori del Papa. Miglior occasione non ebbe il Marchese per veder
sodisfatte le sue premure. Approvò subito la scelta, anzi magnificò, come da
Dio, una tale ispirazione.
Avendosi chiamato
Alfonso, gli significò per parte del Re quanto erasi determinato. Gelò Alfonso
in sentirne la proposta, pianse, e pose in veduta del Marchese lo scandolo, che
avrebbe cagionato tra suoi Congregati, e che mancando esso, sarebbe mancata con
danno delle Anime, e del Regno tutto, anche l'Opera delle Missioni, per cui il
Re vedevasi tanto invogliato.
Pregò voler presentare
al Sovrano i suoi ringraziamenti, esporgli il detrimento dell'Opera, ed il voto
ch'egli aveva di non accettare qualunque dignità. Pregò, e piangendo gli disse:
se amava la sua pace volerlo coadiuvare a far che il Re mutasse pensiere.
Afflisse il Marchese la somma angustia in cui lo vide; ed il Re in sentirne la
ripulsa, anzi che darsi in dietro maggiormente restò confermato nel suo
proposito.
Rendendolo scusato il
Marchese, specialmente pel voto, che aveva, di rifiutare qualunque dignità, il Papa, disse il Re, dispensa a tutto; e fattosi di fuoco
soggiunse: Questi tali riescono buoni
Vescovi, che non vogliono esser Vescovi.
In quale e quanta
afflizione si vide Alfonso per questa fermezza del Re, non è da credersi. Prevedendo,
che col Re si sarebbe unito anche il Papa, non trovava pace nè di giorno, nè di
notte. E' tempo d'orazione, e di
preghiere, così scrisse in Caposele al Padre Cafora suo direttore, perchè mi vedo in una grave persecuzione, e
sommo travaglio. Il Re ha stabilito eleggermi Arcivescovo di Palermo, ma io
piuttosto anderò ad intanarmi in un bosco, che accettare una tal Dignità.
Così scrisse ancora a
tutte le Case. Ricorse a molti servi di Dio, ed a varj Monasteri di Monache; e
per meritarsi le divine misericordie, non mancò aiutarsi colla mortificazione,
e colla macerazione di se medesimo. Assisteva di continuo al Marchese Brancone
per averlo suo Avvocato presso il Re, nè lasciò mezzo per impegnarlo a suo
favore.
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Persistendo il Re circa
un mese in questa sua idea, altrettanto fu Alfonso in un continuo batticuore.
Se un motivo di zelo mosso aveva il Sovrano a volerlo Arcivescovo, un altro
motivo di zelo lo fece dare in dietro.
Un giorno, cogliendo il
tempo il Marchese, mentre il Re stava nel bagno, gli fece presente il meno
bene, che Alfonso far poteva come Arcivescovo, ed il maggiore che colla sua
predicazione era per risultarne al Regno tutto; e che l'Opera delle Missioni,
per cui viveva tanto impegnato, mancando il capo, era anche per dimettersi.
Questi motivi fecero impressione, e se il Re si arrese, non fu che con sommo
suo rincrescimento.
A più d'uno dispiacque
questa ripulsa di Alfonso.
Un giorno ritrovandosi
in Nola con Monsignor Caracciolo, anche questi ne dimostrò dispiacimento. Monsignore, rispose Alfonso, il Vescovado non fa per me: Io capo di
Chiesa? Io, che neppure sono buono per capo fuoco? Ringraziatene Iddio, che vi
è venuta buona, disse il Consiglier Caracciolo, che ci stava presente: credetemi, che al Re è molto dispiaciuto la
vostra negativa.
Dispiacque ancora al
Marchese Tanucci. Il Re non però raffreddata la cosa, ne restò edificato, ed
ebbe motivo d'informarsi maggiormente, e formare idea più vantaggiosa della
nostra Congregazione. Discorrendo col Marchese Brancone, ottimo sarebbe, gli disse,
se per li Vescovi si facesse prescelta di taluni di questi. Più d'uno de'
nostri avrebbe avuto un tal onore.
Informando Alfonso il
Marchese di questa idea del Re, non mancò rilevargli il gran male, che risultar
poteva all'Opera delle Missioni, aprendosi la strada, con queste cariche, allo
spirito di ambizione. Vescovi, gli
disse, per le Chiese non mancano, ma
operai per affaticarsi in salute delle Anime, specialmente ne' villaggi, non è
così facile il ritrovarli.
Fu per pochi giorni
Alfonso, tra queste emergenze, nella Casa di Ciorani. Ritornato in Napoli,
subito che seppe il suo arrivo il Parroco D. Giuseppe Porpora, e fu la mattina
de sei di Agosto, non mancò invitarlo per aprir la sera in S. Giovanni Maggiore
la Novena di Maria Assunta. Arrischiò l'invito il Porpora, persuaso del quanto
gli fosse a cuore encomiare Maria Santissima. Non ritrovavasi Alfonso gli
scritti, e molto meno aveva respiro di tempo per aiutarsi co' libri; ma non
ebbe lo spirito di dargli la negativa: Dirò,
risposegli, quattro parole come Maria
Santissima me le mette in bocca.
Il soggetto delle
prediche, come mi disse, e notò il P. de Robertis, fu questo. Umiltà di Maria
in contrapposto colla superbia umana: Amore ardente di Maria verso Dio, e
freddezza de' cuori umani verso il medesimo: Unione della volontà di Maria
colla volontà divina, ed empia opposizione di quella dell'uomo a quella di Dio:
contrappose la preziosa morte di Maria a quella de' peccatori orribile, e
spaventosa.
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La
sera susseguente, prendendo motivo dalla predica antecedente, rinvangò gli
assalti, che dal demonio si danno in morte a peccatori, e la difesa, che de'
suoi ne prende Maria SS. In seguito esagerò lo spavento, che si ha in morte del
peccatore, vedendosi in procinto di dannarsi, e la pace, con cui muore il
divoto della Vergine. Pose in veduta l'Eternità beata di chi muore in grazia, e
la dannata di chi muore in peccato, animando tutti alla confidenza in Maria
Santissima.
Specificò la penultima sera la sicurezza, che ha in morte di sua salute chi è
divoto della Madonna: finalmente l'impegno, che ha la Vergine in salvare i suoi
divoti; ma nel giorno dell'Assunta, con ammirazione di tutti, si singolarizzò
Alfonso individuando il trionfo di Maria.
Non fu questa, a senso
comune, una Novena, ma una intera Missione. Migliaia di Anime invecchiate nel
peccato, come l'attestarono molti Confessori, si videro contrite. Quello non
però che fece maggior stupore si è, che non avendo né scritti, né tempo da
riflettere, tirava le prediche anche per un ora e mezza, con catena di Padri, e
di Scritture.
Ritrovandosi Superiore
delle apostoliche Missioni il Canonico D. Niccolò Borgia; e volendo questi
maggiormente infervorare i Confratelli per lo zelo delle Anime, obbligò Alfonso
a' ventotto del medesimo mese per un discorso nella comune Congregazione.
Ubbidì; e tra l'altro si estese sopra l'obbligo che da essi si aveva di
predicarsi, più che da ogni altro, Cristo Crocefisso e non se stessi. Si dolse
sentendo adottato da taluni, specialmente ne' sermoni morali, e sopra le virtù
de' Santi, stile limato con frasche e
fiori.
In questo si scagliò
con sommo zelo contra un celebre Panegerista già defonto, che in senso suo
tradiva le Anime e la divina parola: maggiormente, che taluni de' Congregati
anche industriavansi imitarlo. Tutti, disse,
vogliono fare il Padre N., ma non sò, che
se ne ricava di profitto per le Anime. I sermoni de' Santi si fanno per
imitarsi; quando non sono all'Apostolica, non se ne ricava frutto, e si ci
perde il tempo. Io mi contento, soggiunse, ma con empito di spirito, che il Padre N. per aver impastata di
frasche la parola di Dio, non sia per piangere in Purgatorio la sua vanità
anche fino al giorno del Giudizio.
Questo Apostolico
rimprovero offese taluni giovanetti. Uno, tra gli altri, ne riprovò lo zelo, e
la libertà: Metter bocca, disse, al Padre N., ed in pubblico? Fattone
inteso Alfonso dal nostro Padre de Robertis, ch'era presente, ed intese il
bisbiglio. Non è pubblico, disse, una Congregazione privata; ma più arse di
zelo vedendone il patrocinio. Se ne compiacque bensì il Borgia, e così tutti i
Vecchi.
Invitato di nuovo
Alfonso per un altro sermone, rinnovò un tal argomento. Sento, disse, essersene offesi taluni, avendo io riprovato lo stile
fiorito, e la condotta del Padre N. Aveva pensato confessarmene, ma vedendo
mancarmi il proposito, - 199 -
me ne sono astenuto. Così
dicendo, rilevò di nuovo il tradimento, che si fa alle Anime, e l'ingiuria a
Gesù Cristo, adulterandosi la divina parola. Similmente declamò sopra una certa
attillatura, che con ammirazione, vedevasi nel vestire in qualche Congregato.
Più che il primo fu fruttuoso il secondo sermone, ed ognuno ne uscì col capo
chino.
Abbiamo tra questo
tempo un'altro atto di singolar zelo in Alfonso. Celebrando Messa nella Chiesa
de' Padri Gerolimini, e volgendosi per comunicare gli altri, fatta la funzione,
un Cavaliere che stava nel recinto dell'Altare, vedevasi seduto, e con una
gamba accavalciata sull'altra. Alfonso avendo detto la prima volta: Ecce Agnus Dei, e quello non
dimostrando segno di riverenza al Sagramento, gli disse in alto tuono, ma tutto
acceso di zelo: che sei cionco, che non
t'inginocchi? Lo fece il Cavaliere tra la confusione, e la vergogna. Offeso
non però del ricevuto rimprovero, sbruffa, si macera, e rendesi impaziente per
lo dippiù della Messa. Prima che Alfonso calasse dall'Altare, già era in
Sagristia. Informandosi chi fosse il Pretazzolo, che aveva celebrato, in
sentire Alfonso Liguori, cala più confuso la testa, ed esce di Sagrestia prima
che Alfonso fosse rientrato.
Non respirava Alfonso
trattenendosi in Napoli. Portandosi un giorno, e fu a' sei di Settembre dal
Marchese Brancone, si fermò per dir messa in S. Giovanni Maggiore; ma tanto fu il
fermarsi, quanto esser richiesto dal Paroco Porpora, per una Predica nel
Venerdì susseguente. Invitollo similmente a voler predicare le glorie di Maria
nel giorno della Nascita. Non essendo sazio il Porpora di udirlo, insistette
per un altro sermone nella Domenica tra l'ottava, correndo il Nome della
Vergine. In tutto lo compiacque Alfonso, e l'assunto nella Domenica fu, quanto
sia dolce a' peccatori, ai giusti, ed ai Santi in Cielo il nome Santissimo di
Maria. In questa predica, come si disse, Alfonso superò se stesso, non
sembrando uomo, ma un Angelo, che parlasse tutto fuoco della Gran Madre di Dio.
Dai venticinque di
Agosto, ed è cosa da riflettersi, Alfonso fino a' tredici di settembre fu
sempre travagliato per diciannove giorni da uno spasimo continuato ne' denti, e
non per questo lasciò travagliare per le Anime, né mancò encomiare con tanto
zelo i pregi della Divina Madre.
Abbiamo tra questo
tempo anche due atti di somma umiltà. Vedendosi travagliato con ispasimi di
morte nell'undecimo giorno, e duodecimo di questo mese, essendosi risoluto
strapparsi la mola, anzicché chiamarsi un Professore in casa, così spasimante qual' era, si porta a piedi
dal nostro ospizio, ch'è fuori la Porta di S. Gennaro, fino al largo del
Castello, ed ivi, come ogni misero Prete, fece tirarsela - 200 -
in una bottega. Accortosi che il Fratello Francesco
avevasela conservata, chiedendola per osservarla, la buttò nel fosso del
Castello.
Nella
metà di Settembre ritornò in Nocera; e passando in Conza stabilì maggiormente
con Monsig: Nicolai gl'interessi della fondazione di Caposele.
Avanzato l'Autunno di nuovo si vide in armi contra
l'Inferno colle Sante Missioni. Fu nel Casale di Torello nella Baronìa di
Siano: così nell'altro detto di S. Angelo nel tenimento di Calvanico; e di mano
in mano passò in altri luoghetti ajutando le Anime, e facendo guerra al
peccato.
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