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Cap.32
Concorso di soggetti in Congregazione: nuova istanza del
Mandarini per vedersi riunito: la Regola si accetta da tutti: Alfonso è
confermato Rettore Maggiore, e situasi lo studentato nella Casa de' Pagani.
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Troppo rumore fece in
Roma l'Approvazione della nostra Regola. Di altro non si parlava, che della
nuova Congregazione de' Missionarj confermata dal Santo Padre, del fervore, in
cui si viveva, e del gran bene, che questi operavano in beneficio delle Anime.
Fu tale l'idea, che se
ne concepì, che fecero capo ad Alfonso, per essere ammessi in Congregazione non
pochi soggetti, anche insigni per santità, e dottrina. Due Curati, ma ottimi
Operai, avendo rinunciato la Pieve lasciarono Roma, e vennero a vivere ne'
Ciorani. Si ritirò ancora il Diacono D. Giuseppe di Rosa, che a causa de' studi
dimorava in Roma; ma Iddio, che destinato l'avea alla Chiesa di Policastro, se
gradì la volontà, non vole l'effetto, perchè acciaccato in salute, dovette
uscirsene.
Nel tempo istesso
s'invogliò della nostra Congregazione, e del vivere apostolico di Alfonso,
l'anzidetto Abbate, che, come dissi, erasi tanto adoperato per l'approvazione
della nostra Regola. L'uomo era troppo degno. Oltre l'esser versato nelle
scienze umane e divine, esercitavasi ancora e con frutto nel Ministero
Apostolico. Ancorchè Alfonso stabilito avesse non ammettersi in Congregazione
qualunque Regola o persona, che, anche a tempo, fosse vivuto in altra comunità,
tutta volta bilanciando il merito, e l'obbligazione, che se li aveva, non ebbe
difficoltà in accettarlo.
Vi concorse ancora con
suo Breve il Santo Padre Benedetto XIV anzi l'animò. Avendo fatta la
professione de' nostri Voti, con procura di Alfonso, in mano dell'Eminentissimo
Orsini a' piè di S. Pietro nel Vaticano, tutto cuore, depose la cocolla, e
vestendo il nostro abito, volò ne' Ciorani.
Questa risoluzione
dell'Abate fece senso in Roma. Il di lui esempio, invogliò a volersi ritirare
tra di noi anche il P. Abate del Pozzi, Generale, come dissi, de' PP.
Basiliani. Anche questo era uomo di eccezione maggiore, e meritava ogni dispensa;
ma prevenuto dalla morte, in tempo che ne faceva i maneggi, non potette
eseguire quanto proposto si aveva.
Non ritrovavasi così
contento in Roma, come si credeva, il fu nostro P. Sanseverino. La vocazione,
non essendo opera dell'uomo, ma di Dio, ivi trovasi la pace, ove Iddio ci
chiama. Vedevasi questi così stretto nello spirito, che giunse a dire al P.
Villani, mi contenterei - 217 -
cambiar la mia vita col peggio facchino di Roma.
Pentito del passo dato, non mancò chiedere ad Alfonso voler di nuovo far
ritorno tra di noi. Alfonso fu negativo: non
conviene, disse, siffatto disgusto a'
Padri Pii Operarii. I Padri Sportelli, e Villani, per l'opposto, volevano
si fosse ricevuto: Se i Padri Pii
Operarii, diceva lo Sportelli, se
l'hanno preso da noi, non è mancanza, se noi cel ripigliamo da essi.
Ma prevalse il sentimento di Alfonso.
Iddio però, i cui
secreti sono imperscrutabili, nol voleva nè tra di noi, nè tra' Pii Operarii,
ma lo voleva Arcivescovo di Palermo, ove, com'è noto, si segnalò col suo zelo,
colla sua esemplarità, e colla sua dottrina.
Anche in Napoli si vide
posta in altro credito la Congregazione, dopo la conferma del Papa. Divulgata
la notizia, ci fu un concorso non ordinario di giovanetti virtuosi, e di
Sacerdoti insigni in santità, e dottrina. Si ritirarono tra questo tempo il P.
D. Giovanni Rizzo, uomo ben noto per la sua santità, ed erudizione; il P. D.
Carlo Gayano Gentiluomo dello Stato di Sanseverino, che, essendo Paroco,
rinunciò casa, e cura; il P. D. Francesco Pentimalli di S. Eufemia in Calabria,
anche insigne, e dotto Operario.
Così varj secolari di
merito non ordinario, e tra questi ripetette le sue istanze anche il Principe
di Castellaneta D. Mattia Miroballo di Aragona. Alfonso si compiacque del
desiderio, ma non istimò compiacerlo.
Anche in questo tempo,
non lasciò fare un altro sforzo il buon Padre D. Vincenzo Mandarini per vedersi
riunito con noi.
Subito che seppe la
conferma dell'Istituto ottenuta in Roma dal S. Padre, si rallegrò con Alfonso,
ed esibì la sua opera in Napoli, per veder riconfermata la grazia dal Re, come
dalla sua lettera de' nove Marzo di detto Anno.
Fu di persona nella Casa de' Ciorani, ma non guadagnò cosa nel cuore di
Alfonso. A' nove del susseguente Maggio avanzò anche lettera ad Alfonso in nome
di tutte e quattro le Case il P. D. Geronimo Manfredi soggetto rispettabile
della medesima Congregazione del Mandarini, protestandosi tutti per
l'osservanza delle Regole, e riconoscerlo per comune Superiore.
S'intenerì Alfonso; ma
il sentimento comune fu negativo. Disperata l'unione, premurose istanze fecero
ancora per essere ammessi varj particolari, e tra questi il medesimo P. D.
Geronimo Manfredi, co' Padri D. Angelo Antonio, e D. Michelangelo suoi nipoti:
tutti e tre soggetti di ogni eccezione maggiore. Avrebbe gradito Alfonso il
Manfredi, ma si fece scrupolo: Se ricevo
questi, disse, va a crollare quella
Congregazione, perchè questi sono, come la base, che la sostengono.
Nell'Ottobre di questo
medesimo anno si tenne da Alfonso nella Casa di Ciorani un generale congresso.
V'intervennero tutt'i Congregati, e per la custodia delle Case non ci restarono
che i soli fratelli laici - 218 -
coll'assistenza di qualche Prete.
Aperto il Capitolo,
Alfonso insinuò a tutti, per mezzo del P. Cafora, che ne fece l'apertura, che
dovendosi accettare la Regola, e venirsi ad una Canonica elezione de'
respettivi offici generali, ognuno, affinchè l'elezione fosse libera, spogliar
si dovesse da qualunque impiego.
Così fu fatto, ed egli fu il primo a darne l'esempio.
Ancorchè confermato dal Papa Rettore Maggiore perpetuo, postosi in ginocchione
in mezzo al Capitolo, spotestando se stesso, dimise in mano dell'Assemblea la
sua carica. Si umiliò avanti a tutti, e piangendo cercò scusa de' suoi passati
portamenti. In seguela di quest'atto, che attirò le lagrime de' Capitolari,
ogni altro con pari umiltà si spogliò di qualunque prerogativa.
Perchè ognuno si fosse
raccomandato a Dio, e riflettuto avesse al voto, ch'era per dare, volle Alfonso,
che per tre giorni continui si fossero tutti trattenuti in un totale
ritiramento, e soprattutto insinuò, che eletto si fosse Superiore Maggiore, chi
secondo Dio stimato si fosse più conveniente a portarne la carica: in una
parola, non lasciò mezzo per vedersi esentato dal peso, e dall'onore.
L'anima del Capitolo fu
il P. Abate, perchè intesissimo di queste rubriche. Avendo ognuno rinunciato il
proprio impiego, si venne all'elezione del Presidente del Capitolo, si lesse la
Regola, che fu da tutti accettata con allegrezza, e consolazione comune, ed in
quest'atto co' Sacerdoti intervennero anche i Chierici. Indi da tutti si
rinnovarono i voti di Povertà, Castità, ed Ubbidienza, col Giuramento di
Stabilità in Congregazione fino alla morte. Fatto ciò si misero i Padri
Capitolari in totale ritiramento.
Radunati il quinto
giorno i Padri nel Capitolo, si procedette all'elezione del P. Rettore
Maggiore, e con pienezza di Voti al primo scrutinio venne eletto, e confermato
Alfonso perpetuo Rettore Maggiore. Adorò egli i Divini Giudizi: ringraziò tutti
di tale degnazione; ed uniformandosi al volere di Dio, e de' suoi, si sottomise
di nuovo, non senza sua pena, al grave incarco.
Sortita l'elezione di
Alfonso in perpetuo Rettore Maggiore, si venne all'altra de' rispettivi
Ufficiali. Si elesse il P. Villani Consultore, ed Ammonitore. Similmente coi
Padri Sportelli, Rossi, e Mazzini si elesse Consultore il P. Abate, meritevole
per consenso comune di un tal' onore. Così sortì Procurator Generale il P. D.
Francesco Margotta, che, benchè novello di Congregazione, era uomo non però di
una virtù troppo conosciuta, e sperimentata.
Si pensò in questo
Capitolo sistemare specialmente gli studi. Si stabilì la scuola delle belle
lettere: il sistema da tenersi nelle cose Filosofiche, e di seguitarli nelle
Dogmatiche, per lo più San Tommaso; così altre cose di erudizione sacra, e
profana. Ma se consolavasi Alfonso, - 219 -
in veder ricca la Congregazione di tanti virtuosi Giovanetti, affliggevasi
non poco, e restringeva anche il Cuore degli altri la miseria in cui si stava.
Iddio però, che non mancava di consolarlo, concorse a tempo con un tratto di
Provvidenza, nè preveduto, nè sperato.
Mesi prima eransi
portati a disporto i Nostri Chierici nella Casa de' Pagani. Avendoli veduti, e
trattati que' Signori Gentiluomini, maggiormente si consolarono de' vantaggi
dell'Istituto. Volendo dare ad Alfonso un segno non equivoco di loro
cordialità, standosi peranche in Capitolo, fecero istanza di voler situato lo
studio in quella Casa, e persuasi, che non si aveva modo per poterli
alimentare, si obbligarono voler mantenere i Giovani a proprie spese. Ognuno
tassò se stesso, chi in docati quindici, e chi in venti.
Si segnalarono
specialmente con una abbondante limosina D. Tommaso Tortora Abate di Angri, e
D. Domenico di Majo Rettore della Parrocchiale de' Pagani; ma tra tutti vi
concorse Monsig. Volpe, che tanto viveva interessato per la Congregazione, e
per l'educazione de' nostri Giovani.
Quest' annuale contribuzione, così graziosamente esibita,
rincorò Alfonso, e tutti. In risposta si mandò il P. Fiocchi per ringraziare
que' Signori. Fu destinato Lettore di Filosofia, ed in seguito di Teologia il
cennato P. Abbate, uomo molto a proposito pel suo vasto sapere; e per
l'Umanità, e Rettorica nella Casa di Ciorani il P. D. Geronimo Ferrari,
Soggetto a niuno il secondo in quelle facoltà, avendole insegnate con sua
gloria da circa venti anni nel Seminario di Conza.
Varie altre cose, che tralascio, si stabilirono in
questo Capitolo, che spalleggiarono specialmente la santa Povertà, e la Vita
perfettamente comune.
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