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Cap. 36
Lettera di Alfonso ai suoi; Missioni fatte in varj luoghi;
ed altro incidente di suo rammarico.
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Afflisse non poco, anzi
troppo addolorato restò Alfonso per lo traviamento de' quattro Chierici, e per
l'imbarazzo così grave, in cui vide la sua Congregazione. Non aveva egli
maggior consolazione, quanto, con segni chiari, veder chiamato da Dio, a
convivere tra suoi, un qualche giovinetto, e lasciar questi casa, e parenti per
esser fedele alla divina chiamata: così non sperimentava maggior dolore, che
veder taluni di questi voltar le spalle a Dio, e far ritorno al secolo.
Restò bensì
rattemperato in parte il suo dolore, vedendo dopo pochi giorni uno di questi
dissingannato, ed umiliato a suoi piedi, ed in seguito anche un altro, che come
Padre accolse, ed ebbelo in cuore più che ogn'altro. Varj sentimenti abbiamo,
che diede a noi giovani in quest'occasione, che, come salutari, non bisogna
ometterli.
Discorrendo circa di
quei, che senza giusta causa perdono la vocazione, ci disse: "Queste
mancanze di voltar le spalle a Dio, non facendo conto della sua chiamata, il
Signore le castiga rigorosamente anche in questa vita. Questi almeno avranno un
continuo rimorso di coscienza sino alla morte; e tanti, io dico, e torno a
dire, si sono dannati per aver perduta la vocazione. Spezzata la catena delle
grazie, tutto è rovina.
L'unico mezzo ch'ei
dava, specialmente a' Chierici, per vincere il demonio, essendo tentati nella
vocazione, si era, aprire la coscienza, e manifestare la tentazione a
Superiori. In quest'occasione ci disse: perchè se que' poveretti avevano
chiarezza di coscienza, ed a tempo si fossero manifestati co' Superiori, ora
non sarebbero ove sono. Si conferisca, soggiunse, non con chiunque, ma con chi
sta in luogo di Dio, e con chi vediamo che non è per ingannarci.
Avendo saputo, che uno
de' motivi, per li quali i medesimi giovani lasciato avevano la Congregazione,
non essere, che perchè era povera. "Oh Dio! ripigliò Alfonso quasi
lacrimando, e dov'è l'amore per la povertà abbracciata da Gesù Cristo! Se io
sapessi che la Congregazione fosse ricca, ed avesse d'entrata li diciotto, e
ventimila ducati, come tante altre, io temerei molto: questo è segno, direi,
che Iddio ci vuol premiare in questa vita, e non in Cielo, li quattro
Paternostri, che li diciamo.
Compassionando sempre
più li quattro giovani così sedotti, e volendo - 231 -
premunirci contro le tentazioni, ci disse:
"Non si risolva,
dilettissimi miei, cosa alcuna, ancorchè sembri santa; in tempo che siamo
tentati, che la sgarriamo. Quando viene la tentazione, non comparisce da
demonio, ma mette a se la benda, ed a noi gli occhiali verdi, per non farci
vedere le cose come sono in se stesse, ma secondo la nostra passione.
Se vogliamo evitare l'inganno, dobbiamo allora raccomandarci a Dio, e metterci
con indifferenza nelle sue mani. Questo è difficile nel tempo della tentazione,
anzi difficilissimo: perciò quando stiamo in calma, bisogna offerirci
replicatamente a Dio nelle orazioni comuni, e ponerci in mano sua, come un
pezzo di creta. Quando un'anima di cuore si offerisce a Dio, vengan tutte le
tentazioni, che mai la potranno smuovere. "
Godeva Alfonso veder la
gioventù avanzarsi nelle lettere, ma non voleva per quelle una sollecitudine
non regolata. Quel sapere, et sapere ad
sobrietatem, è quello ch'egli voleva, non già il soperchio. Compiacevasi
più della mediocrità, che della sublimità de talenti ne' suoi Congregati.
Avendo l'Abbate
introdotto ne' Chierici un prurito di erudizioni più che non conveniva, ed un
certo sregolato impegno per lo studio, questo, come dissi, affliggeva, e non
era a cuore ad Alfonso. "Non mi curo, ci disse dopo la sua partenza, che
levate allo studio, e date all'orazione. Noi siamo stati chiamati ad aiutare la
gente abbandonata per le Campagne, e perciò ci vuole più santità, che dottrina.
Se non siamo santi, ci mettiamo in pericolo con tal forte di gente commetter
mille difetti, e mille impazienze. Vi torno a dire, che se date allo spirito, e
levate allo studio non solo non me ne curo, ma mi date una somma
consolazione".
Siccome, dopo una gran
rotta, sbattuto si vede, e timido ogni soldato; così sortito un tal incidente,
e così amaro, vedevasi in Congregazione un generale disanimamento. Volendo
Alfonso rincorare i suoi, massime i giovinetti, scrisse la seguente lettera, e
fe girarla per le Case:
"A miei Fratelli della Congregazione
del SS. Redentore
Viva Gesù, Maria, e Giuseppe, e Teresa.
Miei Fratelli carissimi, sappiate che non mi dà rammarico il sentire, che
taluno de miei Fratelli è stato chiamato da Dio all'altra vita. La sento,
perchè sono di carne; del resto mi consolo che sia morto nella Congregazione,
dove morendo tengo per certo che sia salvo. Neppure mi affligge che alcuno, per
gli suoi difetti, si parta dalla Congregazione, anzi mi consolo, ch'ella si sia
liberata da una pecora infetta, che può infettare ancora gli altri. Neppure mi
affliggono le persecuzioni; anzi queste mi danno animo, perchè quando noi
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ci portiamo bene, son
certo che Dio non ci abbandona. Quello, che mi spaventa, è quando sento esserci
alcun difettoso, che poco obbedisce, e che poco fa conto delle Regole.
Fratelli miei voi già
sapete, che molti, i quali sono stati de' nostri, ora stanno fuori della
Congregazione. Qual sarà il loro fine, io non lo sò. Sò di certo, che faranno sempre
una vita infelice, viveranno inquieti, e moriranno inquieti, per aver
abbandonata la vocazione. Essi si sono partiti per vivere più quieti, e
contenti; ma non avranno mai un giorno di quiete, pensando di aver lasciato
Dio, per vivere a loro capriccio. Difficilmente frequenteranno l'orazione,
perchè nell'orazione si affaccerà il rimorso di aver lasciato Dio: così
lasceranno l'orazione, e lasciando l'orazione, Dio sà, dove anderanno a parare.
Vi prego a fuggire i
difetti ad occhi aperti, e specialmente quelli di cui siete stati corretti.
Quando uno dopo la correzione si emenda, non farà niente. Ma quando non si
emenda, il Demonio lavora, e farà perdere la vocazione, e con questo mezzo l'ha
fatta perdere a tanti.
Per grazia di Dio dove
vanno le nostre Missioni fanno prodigi, e dicono le genti, che non hanno avute
Missioni simili, e perchè? perchè si và con obbedienza, si và con parsimonia, e
si predica Gesù Cristo Crocefisso, ed ognuno attende a fare l'officio, che gli
è imposto.
Mi ha ferito il cuore
però il sentire, che alcuno ha cercato in Missione avere qualche incombenza più
onorevole, come di fare la predica, o
l'istruzione. Ora che frutto mai può fare chi predica per superbia? questa cosa
mi ha fatto orrore. Se nella Congregazione entra questo spirito di ambizione,
poco o niente serviranno più le
missioni".
Avanzato l'autunno, non
ostantino li passati disturbi, Alfonso si pose subito in armi contro l'Inferno.
Monsignor Rossi Arcivescovo di Salerno non finiva consolarsi, che dipartito si
vedesse dal picciolo Ciorani il pane Evangelico a tante vaste Diocesi, ed a popolazioni anche cospicue, Voleva bensì,
che ad ogn'altro luogo preferiti si
fossero i luoghi della sua Archidiocesi, bisognosi anch'essi di spirituale ajuto.
In ossequio di
Monsignor Arcivescovo, verso la metà di Novembre, si portò colla Missione in
Torchiati uno dè Casali dello Stato di Montoro. Non essendo capace la Chiesa
Parrocchiale, pel concorso che si vide de' Casali vicini, si servì di quella
de' Padri Osservanti. Non fu questa una Missione; ma furono molte in una; e
bisogna dire, che non vi fu Casale in quel vicinato, ove non si viddero delle
strepitose conversioni. Da per tutto vi furono restituzioni di momento,
scandali tolti, e scambievoli riconciliazioni.
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Essendo stato premurato
dà Signori della Terra di Bracigliano, si vide in obbligo preferir quella Terra
ad ogn'altro luogo, concorrendoci anche le preghiere del Principe D. Mattia
Miroballo. Somma fu la compunzione che si vide in Bracigliano; e ne profittarono
ancora i Casali vicini, come Piro, e San Nazzario. Tante prattiche cattive si
videro detestate; e tanti e tanti, che vivevano lontani da' Sagramenti,
riformarono in meglio il loro vivere. Anche il medesimo D. Mattia Miroballo si
rese di maggior edificazione a suoi vassalli. In pubblico cercò scusa a tutti
di qualche suo trascorso: si affezionò ai poveri: frequentò i Sagramenti; e
vedevasi ogni sera, nonchè la mattina, alla Visita del Venerabile.
Invitato Alfonso da Monsignor Innocenzo Sanseverino, suo Figlio nello
Spirito, passò in Montemarano. Stava troppo attrassata nelle cose dell'Anima
questa picciola Città. Non mancavano, e
vi erano in gran numero degli uomini facinorosi. Tanti di questi, che fecero
capo ad Alfonso, rimessi si videro in altro tenor di vita. La consolazione fu
commune, specialmente di Monsignor Vescovo; e sommo fu il sollievo, che colla
conversione di questi, si sperimentò in Città, e molto più nelle vicine
contrade.
Tra questo tempo fu
Alfonso col Padre D. Biagio Amarante nella Città di Avellino. Monsignor Lione,
che n'era Vescovo, l'invitò per gli Esercizj
al popolo, ed al clero. Diede egli gli esercizj al Clero, e furono
benedette da Dio le fatighe.
"Questi Esercizj dati dal Padre D. Alfonso agli Ecclesiastici di questa
Città, così il Canonico D. Raffaele Rossi, sono stati un'acqua, quanto
desiderata, altrettanto salubre. Non uno, ma tanti e tanti Ecclesiastici si
sono veduti emendati, ed altri da buoni, si sono così infervorati, che sembrano
tutti Apostoli. Scandali ce ne stavano, e furono tolti, e videsi in Città una
general riforma".
Contesta lo stesso
l'Arcidiacono D. Michele di lui fratello. Lo zelo, ei dice, che questo servo di
Dio aveva, non che la vita stentata, che menava, erano a tutti di confusione, e
spronavano ogni ceto a ben operare.
Non erasi ancora,
diciam così, ritirato in Casa, che funestato si vide da un'altro accidente; e
fu questo l'uscita di Congregazione di un soggetto veterano, ch'egli amava, e
che faceva del gran bene nel decorso delle Missioni.
Offeso questi nella
Casa di Ciorani da una ragionevole, ma moderata correzione fattagli dal
Rettore, e non comunicando con veruno la tentazione, insaputa di tutti,
stravolto qual' era, parte per Nocera, credendo farsi ragione con Alfonso. Per
strada avendo aperti gli occhi, e mancandogli il cuore di presentarsi ad
Alfonso, invece di portarsi in Casa nostra, tirò in casa sua.
Tutto fu inutile,
quanto fece Alfonso, e fecero altri per farlo rientrare in se stesso. - 234 -
Questi sono gli effetti
della superbia. Non picchiando la grazia al cuore, sordo si rende ad ogn'altra
voce. Fece senso in tutti l'incostanza di questo soggetto. Sortì il travaglio a
venticinque Luglio 1751; ed Alfonso a ventisette scrisse alle Case la seguente
lettera, avvertendo ognuno del gran male, che mancando l'umiltà, può cagionar
in noi lo spirito della superbia.
A Padri, e Fratelli della Congregazione,
del SS. Redentore
Viva Gesù,
Maria, Giuseppe, e Teresa.
"Padri, e Fratelli
miei carissimi in Gesù Cristo. Io prego Dio, che ne cacci presto quei spiriti
superbi, che non possono, e non vogliono sopportare qualche riprensione, o
disprezzo nella Congregrazione, non solo da' superiori, ma anche dagli eguali,
e dagl'inferiori; e prego il Signore, che ne cacci me il primo, se mai avessi questo
spirito di superbia.
Ecco il P. N., che da
questo maledetto spirito n'è stato cacciato dalla Congregazione, ed io ne
ringrazio Gesù Cristo, perchè questi tali rovinano la Congregazione, e
c'impediscono le divine benedizioni. Chi non vuol essere, e farsi terra
calpestata da tutti, che se ne vadi, e vadi presto. Si compiacerà il Signore
più, se restano due, o tre, che siano veramente umili, e mortificati, che mille
così imperfetti.
E che ci siamo venuti a
fare alla Congregazione, se non vogliamo sopportare neppure qualche disprezzo
per amore di Gesù Cristo? Che faccia avremo di predicare a tanti popoli
l'umiltà, quando noi così abborriamo le umiliazioni? Ma perchè noi tutti siamo
miserabili, prego pertanto ognuno, (ed acciocchè maggiormente si ricordi di
questo, che ora dico, glielo impongo anche per ubbidienza,) che ogni giorno
all'orazione, o al ringraziamento preghi Gesù disprezzato, che gli dia la
grazia di sopportare i disprezzi con pace, ed allegrezza di spirito; (ed i più
fervorosi lo pregheranno positivamente, che li faccia esser disprezzati per
amor suo). Chi non farà questa preghiera di cuore, e con desiderio d'essere
esaudito, tema di esser cacciato dalla Congregazione dalla sua superbia, come
dalla superbia ne sono stati cacciati più d'uno.
Raccomando poi di
cuore, che tra di voi non si parli male delle cose, e delle procedure de'
Superiori. Questi indiscreti zelanti fanno assai più danno, che utile alla
Congregazione. I veri zelanti, quando vedono qualche disordine, o inosservanza,
lo dicano in secreto all'Ammonitore del Collegio, o pure ne avvisino il Rettore
Maggiore; e se vedessero che il Rettore Maggiore fosse anche trascurato a
rimediarvi, lo dicano, o scrivano al suo Ammonitore. Stiino tutti attenti a
questo, altrimenti mi daranno gran disgusto, - 235 -
e mi obbligheranno da oggi avanti a mortificarli
fortemente. Si faccia conto, dilettissimi miei, de' difetti piccioli, perchè di
queste volpette si serve il demonio per distruggere tutto lo spirito, con non
far conto ancora della propria vocazione. Aiutiamoci dunque, cari fratelli
miei, coll'orazione, ed a pregar sempre, altrimente non faremo niente.
Viva Gesù, Maria, Giuseppe, e Teresa.
Affezionatissimo
Fratello: Alfonso Maria del SS. Redentore".
Meno ubertosa di conversioni
non fu la campagna susseguente. Spirando l'Estate Monsig. Volpe volle dati gli
santi Esercizj alle Monache della Purità. Si sa da tutti il fervore dello
Spirito, che regna in quelle sante Religiose. Fuoco a fuoco si uni in questi
Esercizj: soprattutto si confermarono nella vocazione tante giovanette, che vi
erano educande.
D. Olimpia Donorsola,
Dama Sorrentina, giovane bizzarra, ed incostante, non essendosi fermata nel
Monistero della Trinità in Sorrento, nè in Napoli in quello della Concezione,
erasi portata da' parenti in questo della Purità. Volendo anche quì godere la
signoria di se stessa, non voleva sentirsi parlare di monacazione. Fu così
tocca una sera dalla predica, che come scottata, cominciò a gridare: voglio farmi Monaca, e voglio quanto presto
professare. Professò; e visse esemplarissima, e sempre contenta nella sua
vocazione.
Sulle prime fu Alfonso
colla S. Missione nel Casale di Carifi in vicinanza di Ciorani. Benchè picciola
questa Missione, riuscì molto faticosa. Oltre de' Casali circonvicini, vi
concorsero per ascoltarlo, chi 'l crederebbe! anche i naturali di Bracigliano,
e di altre popolazioni più lontane. Sorprendente fu il bene che la grazia vi
operò. Armato di zelo passò nel mercato di Giffoni; indi a Sava, e poi alla Molina
in Diocesi della Cava. In Giffoni specialmente il maggior profitto fu colla
gente facinorosa. Tanti e tanti di questi si viddero ravveduti, e rimessi in
altro stato.
Invitato da Monsignor
Caracciolo per la Missione in S. Anastasia di Somma, vi fu; e non fu poco il
profitto, anche de' tanti altri Casali, che vi concorsero. Animò dappertutto i
Popoli alla frequenza de' Sacramenti, alla visita del Venerabile, ed alla vera
divozione verso Maria Santissima. In seguito fu nel Casale di S. Lucia in
Diocesi della Cava.
Di là passò nella Terra
di Corbara in Diocesi di Nocera. Ritornò di nuovo nella Cava, e predicò la
penitenza in Pasciano, in Pregiati, nella Molina, ed in San Cesario. Ancorchè
stanco per tante fatiche, volendo compiacere Monsignor Borgia suo Amico, intimò
guerra al peccato anche nella Piazza della Cava, o sia nella Città così detta.
Spedito da queste Missioni, si portò in Canale, Casale di Serino; e finalmente
in Coperchia, e Gaiano, luoghi popolati nello Stato di Sanseverino.
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Troppo fertile, dissi,
esser stata questa campagna. Da per tutto altro non si sentivano, che miracoli
di conversioni. Peccatori invecchiati ne' vizi, ravveduti: Sacerdoti emendati,
o infervorati: cattive Donne pentite, e rimesse nel ben fare. Tanti scandali pubblici
anche di persone ragguardevoli si videro sbarbicati: vi furono molte remissioni
di offese gravi, e gravi danni anche rifatti. Infervorò le Congregazioni, e ne
stabilì delle nuove. Piantò in Chiesa, ove mancava, la meditazione delle cose
sante, ch'ei chiamava Vita divota. Quest'esercizio
così salutare non solo prese piede tra le donne, ma in varj luoghi, vi
concorrevano anche uomini per l'innanzi viziosi.
Invogliò maggiormente
le Anime nella divozione a Maria Santissima, e verso Gesù Sagramentato; e se
altro non ci fu, si contarono centinaia di Giovanette, che non volendo sapere
di matrimonio, si sposarono con Gesù Cristo, e furono costanti nel loro
proposito.
Consolò ancora Alfonso
in questo tempo colla Santa Missione il Casale di Marianella; e fecelo con
maggior piacere, perchè quivi goduta aveva la luce di questo Mondo.
Al ritorno, passando
per Napoli, andò a scavalcare nel nostro ospizio, cioè in uno scomodo quartino
di casa sua, cedutane ai nostri per limosina l'abitazione dal Fratello D.
Ercole.
Era questo avanti la
Parrocchia delle Vergini. Al vederlo i Facchinelli arrivare sopra un somaro
bianco, con barba incolta, e con un centone di pezze per cappa e sottana, non
conoscendolo, e considerandolo un vagabondo, incominciarono a complimentarlo con
gridi e baiate. Ne godeva Alfonso, e la cosa non sarebbe così finita, se un
venditor di merci, sgridandoli, non avesse fatto capire esser egli il Fratello
di D. Ercole Liguori, ivi ben conosciuto, perchè ci abitava.
Essendo arrivato tutto sfinito, la sera non cenò, ma
disse al Fratello Tartaglione volersi riposare. Fu D. Ercole a visitarlo, e non
volle incomodarlo. Fu di nuovo la mattina, ed Alfonso non erasi levato. Ritorna
al tardi, e dubitando di qualche accidente, violenta la porta, e ritrovasi Alfonso
vestito sul letto, e destituto da sensi. Essendosi ordinato da' medici, che si
denudasse, ritrovossi cinte le carni da un cilicio, che avvolgevalo in tutta la
vita. Rimesso in se con un salasso, e vedendosi denudato, ne morì di rossore,
querelandosi altamente col Fratello Tartaglione d'aver così fatto.
Mi riferisce questo accidente D. Paolo di Carlo, attuale Arciprete in Castello
della Baronia, che fu presente al fatto, abitando, essendo giovanetto, in altro
quartino di quel palazzo. Anche così defatigato, e spossato, richiesto dal
Rettore del Seminario Arcivescovile a voler con una sua predica infervorare
que' tanti Giovanetti, non ebbe lo spirito di negarlo. Così compiacque ancora
varj Monasteri di sacre Vergini.
Se non fuggiva da Napoli, una occupazione era per prevenir l'altra.
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