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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap. 36 Lettera di Alfonso ai suoi; Missioni fatte in varj luoghi; ed altro incidente di suo rammarico.
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Cap. 36

Lettera di Alfonso ai suoi; Missioni fatte in varj luoghi; ed altro incidente di suo rammarico.

 


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Afflisse non poco, anzi troppo addolorato restò Alfonso per lo traviamento de' quattro Chierici, e per l'imbarazzo così grave, in cui vide la sua Congregazione. Non aveva egli maggior consolazione, quanto, con segni chiari, veder chiamato da Dio, a convivere tra suoi, un qualche giovinetto, e lasciar questi casa, e parenti per esser fedele alla divina chiamata: così non sperimentava maggior dolore, che veder taluni di questi voltar le spalle a Dio, e far ritorno al secolo.

Restò bensì rattemperato in parte il suo dolore, vedendo dopo pochi giorni uno di questi dissingannato, ed umiliato a suoi piedi, ed in seguito anche un altro, che come Padre accolse, ed ebbelo in cuore più che ogn'altro. Varj sentimenti abbiamo, che diede a noi giovani in quest'occasione, che, come salutari, non bisogna ometterli.

Discorrendo circa di quei, che senza giusta causa perdono la vocazione, ci disse: "Queste mancanze di voltar le spalle a Dio, non facendo conto della sua chiamata, il Signore le castiga rigorosamente anche in questa vita. Questi almeno avranno un continuo rimorso di coscienza sino alla morte; e tanti, io dico, e torno a dire, si sono dannati per aver perduta la vocazione. Spezzata la catena delle grazie, tutto è rovina.

 

L'unico mezzo ch'ei dava, specialmente a' Chierici, per vincere il demonio, essendo tentati nella vocazione, si era, aprire la coscienza, e manifestare la tentazione a Superiori. In quest'occasione ci disse: perchè se que' poveretti avevano chiarezza di coscienza, ed a tempo si fossero manifestati co' Superiori, ora non sarebbero ove sono. Si conferisca, soggiunse, non con chiunque, ma con chi sta in luogo di Dio, e con chi vediamo che non è per ingannarci.

Avendo saputo, che uno de' motivi, per li quali i medesimi giovani lasciato avevano la Congregazione, non essere, che perchè era povera. "Oh Dio! ripigliò Alfonso quasi lacrimando, e dov'è l'amore per la povertà abbracciata da Gesù Cristo! Se io sapessi che la Congregazione fosse ricca, ed avesse d'entrata li diciotto, e ventimila ducati, come tante altre, io temerei molto: questo è segno, direi, che Iddio ci vuol premiare in questa vita, e non in Cielo, li quattro Paternostri, che li diciamo.

 

Compassionando sempre più li quattro giovani così sedotti, e volendo


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premunirci contro le tentazioni, ci disse:

"Non si risolva, dilettissimi miei, cosa alcuna, ancorchè sembri santa; in tempo che siamo tentati, che la sgarriamo. Quando viene la tentazione, non comparisce da demonio, ma mette a se la benda, ed a noi gli occhiali verdi, per non farci vedere le cose come sono in se stesse, ma secondo la nostra passione.
Se vogliamo evitare l'inganno, dobbiamo allora raccomandarci a Dio, e metterci con indifferenza nelle sue mani. Questo è difficile nel tempo della tentazione, anzi difficilissimo: perciò quando stiamo in calma, bisogna offerirci replicatamente a Dio nelle orazioni comuni, e ponerci in mano sua, come un pezzo di creta. Quando un'anima di cuore si offerisce a Dio, vengan tutte le tentazioni, che mai la potranno smuovere. "

 

Godeva Alfonso veder la gioventù avanzarsi nelle lettere, ma non voleva per quelle una sollecitudine non regolata. Quel sapere, et sapere ad sobrietatem, è quello ch'egli voleva, non già il soperchio. Compiacevasi più della mediocrità, che della sublimità de talenti ne' suoi Congregati.

Avendo l'Abbate introdotto ne' Chierici un prurito di erudizioni più che non conveniva, ed un certo sregolato impegno per lo studio, questo, come dissi, affliggeva, e non era a cuore ad Alfonso. "Non mi curo, ci disse dopo la sua partenza, che levate allo studio, e date all'orazione. Noi siamo stati chiamati ad aiutare la gente abbandonata per le Campagne, e perciò ci vuole più santità, che dottrina. Se non siamo santi, ci mettiamo in pericolo con tal forte di gente commetter mille difetti, e mille impazienze. Vi torno a dire, che se date allo spirito, e levate allo studio non solo non me ne curo, ma mi date una somma consolazione".

 

Siccome, dopo una gran rotta, sbattuto si vede, e timido ogni soldato; così sortito un tal incidente, e così amaro, vedevasi in Congregazione un generale disanimamento. Volendo Alfonso rincorare i suoi, massime i giovinetti, scrisse la seguente lettera, e fe girarla per le Case:


"A miei Fratelli della Congregazione del SS. Redentore

Viva Gesù, Maria, e Giuseppe, e Teresa.


Miei Fratelli carissimi, sappiate che non mi rammarico il sentire, che taluno de miei Fratelli è stato chiamato da Dio all'altra vita. La sento, perchè sono di carne; del resto mi consolo che sia morto nella Congregazione, dove morendo tengo per certo che sia salvo. Neppure mi affligge che alcuno, per gli suoi difetti, si parta dalla Congregazione, anzi mi consolo, ch'ella si sia liberata da una pecora infetta, che può infettare ancora gli altri. Neppure mi affliggono le persecuzioni; anzi queste mi danno animo, perchè quando noi


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ci portiamo bene, son certo che Dio non ci abbandona. Quello, che mi spaventa, è quando sento esserci alcun difettoso, che poco obbedisce, e che poco fa conto delle Regole.

Fratelli miei voi già sapete, che molti, i quali sono stati de' nostri, ora stanno fuori della Congregazione. Qual sarà il loro fine, io non lo . di certo, che faranno sempre una vita infelice, viveranno inquieti, e moriranno inquieti, per aver abbandonata la vocazione. Essi si sono partiti per vivere più quieti, e contenti; ma non avranno mai un giorno di quiete, pensando di aver lasciato Dio, per vivere a loro capriccio. Difficilmente frequenteranno l'orazione, perchè nell'orazione si affaccerà il rimorso di aver lasciato Dio: così lasceranno l'orazione, e lasciando l'orazione, Dio , dove anderanno a parare.

Vi prego a fuggire i difetti ad occhi aperti, e specialmente quelli di cui siete stati corretti. Quando uno dopo la correzione si emenda, non farà niente. Ma quando non si emenda, il Demonio lavora, e farà perdere la vocazione, e con questo mezzo l'ha fatta perdere a tanti.

Per grazia di Dio dove vanno le nostre Missioni fanno prodigi, e dicono le genti, che non hanno avute Missioni simili, e perchè? perchè si con obbedienza, si con parsimonia, e si predica Gesù Cristo Crocefisso, ed ognuno attende a fare l'officio, che gli è imposto.

Mi ha ferito il cuore però il sentire, che alcuno ha cercato in Missione avere qualche incombenza più onorevole, come di  fare la predica, o l'istruzione. Ora che frutto mai può fare chi predica per superbia? questa cosa mi ha fatto orrore. Se nella Congregazione entra questo spirito di ambizione, poco o niente serviranno  più le missioni".

 

Avanzato l'autunno, non ostantino li passati disturbi, Alfonso si pose subito in armi contro l'Inferno. Monsignor Rossi Arcivescovo di Salerno non finiva consolarsi, che dipartito si vedesse dal picciolo Ciorani il pane Evangelico a tante vaste Diocesi, ed  a popolazioni anche cospicue, Voleva bensì, che ad ogn'altro luogo preferiti  si fossero i luoghi della sua Archidiocesi, bisognosi anch'essi  di spirituale ajuto.

In ossequio di Monsignor Arcivescovo, verso la metà di Novembre, si portò colla Missione in Torchiati uno Casali dello Stato di Montoro. Non essendo capace la Chiesa Parrocchiale, pel concorso che si vide de' Casali vicini, si servì di quella de' Padri Osservanti. Non fu questa una Missione; ma furono molte in una; e bisogna dire, che non vi fu Casale in quel vicinato, ove non si viddero delle strepitose conversioni. Da per tutto vi furono restituzioni di momento, scandali tolti, e scambievoli riconciliazioni.


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Essendo stato premurato Signori della Terra di Bracigliano, si vide in obbligo preferir quella Terra ad ogn'altro luogo, concorrendoci anche le preghiere del Principe D. Mattia Miroballo. Somma fu la compunzione che si vide in Bracigliano; e ne profittarono ancora i Casali vicini, come Piro, e San Nazzario. Tante prattiche cattive si videro detestate; e tanti e tanti, che vivevano lontani da' Sagramenti, riformarono in meglio il loro vivere. Anche il medesimo D. Mattia Miroballo si rese di maggior edificazione a suoi vassalli. In pubblico cercò scusa a tutti di qualche suo trascorso: si affezionò ai poveri: frequentò i Sagramenti; e vedevasi ogni sera, nonchè la mattina, alla Visita del Venerabile.

 

Invitato  Alfonso da Monsignor  Innocenzo Sanseverino, suo Figlio nello Spirito, passò in Montemarano. Stava troppo attrassata nelle cose dell'Anima questa picciola  Città. Non mancavano, e vi erano in gran numero degli uomini facinorosi. Tanti di questi, che fecero capo ad Alfonso, rimessi si videro in altro tenor di vita. La consolazione fu commune, specialmente di Monsignor Vescovo; e sommo fu il sollievo, che colla conversione di questi, si sperimentò in Città, e molto più nelle vicine contrade.

 

Tra questo tempo fu Alfonso col Padre D. Biagio Amarante nella Città di Avellino. Monsignor Lione, che n'era Vescovo, l'invitò per gli Esercizj  al popolo, ed al clero. Diede egli gli esercizj al Clero, e furono benedette da Dio le fatighe.
"Questi Esercizj dati dal Padre D. Alfonso agli Ecclesiastici di questa Città, così il Canonico D. Raffaele Rossi, sono stati un'acqua, quanto desiderata, altrettanto salubre. Non uno, ma tanti e tanti Ecclesiastici si sono veduti emendati, ed altri da buoni, si sono così infervorati, che sembrano tutti Apostoli. Scandali ce ne stavano, e furono tolti, e videsi in Città una general riforma".

Contesta lo stesso l'Arcidiacono D. Michele di lui fratello. Lo zelo, ei dice, che questo servo di Dio aveva, non che la vita stentata, che menava, erano a tutti di confusione, e spronavano ogni ceto a ben operare.

 

Non erasi ancora, diciam così, ritirato in Casa, che funestato si vide da un'altro accidente; e fu questo l'uscita di Congregazione di un soggetto veterano, ch'egli amava, e che faceva del gran bene nel decorso delle Missioni.

Offeso questi nella Casa di Ciorani da una ragionevole, ma moderata correzione fattagli dal Rettore, e non comunicando con veruno la tentazione, insaputa di tutti, stravolto qual' era, parte per Nocera, credendo farsi ragione con Alfonso. Per strada avendo aperti gli occhi, e mancandogli il cuore di presentarsi ad Alfonso, invece di portarsi in Casa nostra, tirò in casa sua.

Tutto fu inutile, quanto fece Alfonso, e fecero altri per farlo rientrare in se stesso.


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Questi sono gli effetti della superbia. Non picchiando la grazia al cuore, sordo si rende ad ogn'altra voce. Fece senso in tutti l'incostanza di questo soggetto. Sortì il travaglio a venticinque Luglio 1751; ed Alfonso a ventisette scrisse alle Case la seguente lettera, avvertendo ognuno del gran male, che mancando l'umiltà, può cagionar in noi lo spirito della superbia.

 

A Padri, e Fratelli della Congregazione, del SS. Redentore

 Viva Gesù, Maria, Giuseppe, e Teresa.

 

"Padri, e Fratelli miei carissimi in Gesù Cristo. Io prego Dio, che ne cacci presto quei spiriti superbi, che non possono, e non vogliono sopportare qualche riprensione, o disprezzo nella Congregrazione, non solo da' superiori, ma anche dagli eguali, e dagl'inferiori; e prego il Signore, che ne cacci me il primo, se mai avessi questo spirito di superbia.

Ecco il P. N., che da questo maledetto spirito n'è stato cacciato dalla Congregazione, ed io ne ringrazio Gesù Cristo, perchè questi tali rovinano la Congregazione, e c'impediscono le divine benedizioni. Chi non vuol essere, e farsi terra calpestata da tutti, che se ne vadi, e vadi presto. Si compiacerà il Signore più, se restano due, o tre, che siano veramente umili, e mortificati, che mille così imperfetti.

E che ci siamo venuti a fare alla Congregazione, se non vogliamo sopportare neppure qualche disprezzo per amore di Gesù Cristo? Che faccia avremo di predicare a tanti popoli l'umiltà, quando noi così abborriamo le umiliazioni? Ma perchè noi tutti siamo miserabili, prego pertanto ognuno, (ed acciocchè maggiormente si ricordi di questo, che ora dico, glielo impongo anche per ubbidienza,) che ogni giorno all'orazione, o al ringraziamento preghi Gesù disprezzato, che gli dia la grazia di sopportare i disprezzi con pace, ed allegrezza di spirito; (ed i più fervorosi lo pregheranno positivamente, che li faccia esser disprezzati per amor suo). Chi non farà questa preghiera di cuore, e con desiderio d'essere esaudito, tema di esser cacciato dalla Congregazione dalla sua superbia, come dalla superbia ne sono stati cacciati più d'uno.

Raccomando poi di cuore, che tra di voi non si parli male delle cose, e delle procedure de' Superiori. Questi indiscreti zelanti fanno assai più danno, che utile alla Congregazione. I veri zelanti, quando vedono qualche disordine, o inosservanza, lo dicano in secreto all'Ammonitore del Collegio, o pure ne avvisino il Rettore Maggiore; e se vedessero che il Rettore Maggiore fosse anche trascurato a rimediarvi, lo dicano, o scrivano al suo Ammonitore. Stiino tutti attenti a questo, altrimenti mi daranno gran disgusto,


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e mi obbligheranno da oggi avanti a mortificarli fortemente. Si faccia conto, dilettissimi miei, de' difetti piccioli, perchè di queste volpette si serve il demonio per distruggere tutto lo spirito, con non far conto ancora della propria vocazione. Aiutiamoci dunque, cari fratelli miei, coll'orazione, ed a pregar sempre, altrimente non faremo niente.

Viva Gesù, Maria, Giuseppe, e Teresa.

Affezionatissimo Fratello: Alfonso Maria del SS. Redentore".

 

Meno ubertosa di conversioni non fu la campagna susseguente. Spirando l'Estate Monsig. Volpe volle dati gli santi Esercizj alle Monache della Purità. Si sa da tutti il fervore dello Spirito, che regna in quelle sante Religiose. Fuoco a fuoco si uni in questi Esercizj: soprattutto si confermarono nella vocazione tante giovanette, che vi erano educande.

D. Olimpia Donorsola, Dama Sorrentina, giovane bizzarra, ed incostante, non essendosi fermata nel Monistero della Trinità in Sorrento, in Napoli in quello della Concezione, erasi portata da' parenti in questo della Purità. Volendo anche quì godere la signoria di se stessa, non voleva sentirsi parlare di monacazione. Fu così tocca una sera dalla predica, che come scottata, cominciò a gridare: voglio farmi Monaca, e voglio quanto presto professare. Professò; e visse esemplarissima, e sempre contenta nella sua vocazione.

 

Sulle prime fu Alfonso colla S. Missione nel Casale di Carifi in vicinanza di Ciorani. Benchè picciola questa Missione, riuscì molto faticosa. Oltre de' Casali circonvicini, vi concorsero per ascoltarlo, chi 'l crederebbe! anche i naturali di Bracigliano, e di altre popolazioni più lontane. Sorprendente fu il bene che la grazia vi operò. Armato di zelo passò nel mercato di Giffoni; indi a Sava, e poi alla Molina in Diocesi della Cava. In Giffoni specialmente il maggior profitto fu colla gente facinorosa. Tanti e tanti di questi si viddero ravveduti, e rimessi in altro stato.

 

Invitato da Monsignor Caracciolo per la Missione in S. Anastasia di Somma, vi fu; e non fu poco il profitto, anche de' tanti altri Casali, che vi concorsero. Animò dappertutto i Popoli alla frequenza de' Sacramenti, alla visita del Venerabile, ed alla vera divozione verso Maria Santissima. In seguito fu nel Casale di S. Lucia in Diocesi della Cava.

Di passò nella Terra di Corbara in Diocesi di Nocera. Ritornò di nuovo nella Cava, e predicò la penitenza in Pasciano, in Pregiati, nella Molina, ed in San Cesario. Ancorchè stanco per tante fatiche, volendo compiacere Monsignor Borgia suo Amico, intimò guerra al peccato anche nella Piazza della Cava, o sia nella Città così detta. Spedito da queste Missioni, si portò in Canale, Casale di Serino; e finalmente in Coperchia, e Gaiano, luoghi popolati nello Stato di Sanseverino.


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Troppo fertile, dissi, esser stata questa campagna. Da per tutto altro non si sentivano, che miracoli di conversioni. Peccatori invecchiati ne' vizi, ravveduti: Sacerdoti emendati, o infervorati: cattive Donne pentite, e rimesse nel ben fare. Tanti scandali pubblici anche di persone ragguardevoli si videro sbarbicati: vi furono molte remissioni di offese gravi, e gravi danni anche rifatti. Infervorò le Congregazioni, e ne stabilì delle nuove. Piantò in Chiesa, ove mancava, la meditazione delle cose sante, ch'ei chiamava Vita divota. Quest'esercizio così salutare non solo prese piede tra le donne, ma in varj luoghi, vi concorrevano anche uomini per l'innanzi viziosi.

Invogliò maggiormente le Anime nella divozione a Maria Santissima, e verso Gesù Sagramentato; e se altro non ci fu, si contarono centinaia di Giovanette, che non volendo sapere di matrimonio, si sposarono con Gesù Cristo, e furono costanti nel loro proposito.

 

Consolò ancora Alfonso in questo tempo colla Santa Missione il Casale di Marianella; e fecelo con maggior piacere, perchè quivi goduta aveva la luce di questo Mondo.

Al ritorno, passando per Napoli, andò a scavalcare nel nostro ospizio, cioè in uno scomodo quartino di casa sua, cedutane ai nostri per limosina l'abitazione dal Fratello D. Ercole.

Era questo avanti la Parrocchia delle Vergini. Al vederlo i Facchinelli arrivare sopra un somaro bianco, con barba incolta, e con un centone di pezze per cappa e sottana, non conoscendolo, e considerandolo un vagabondo, incominciarono a complimentarlo con gridi e baiate. Ne godeva Alfonso, e la cosa non sarebbe così finita, se un venditor di merci, sgridandoli, non avesse fatto capire esser egli il Fratello di D. Ercole Liguori, ivi ben conosciuto, perchè ci abitava.

Essendo arrivato tutto sfinito, la sera non cenò, ma disse al Fratello Tartaglione volersi riposare. Fu D. Ercole a visitarlo, e non volle incomodarlo. Fu di nuovo la mattina, ed Alfonso non erasi levato. Ritorna al tardi, e dubitando di qualche accidente, violenta la porta, e ritrovasi Alfonso vestito sul letto, e destituto da sensi. Essendosi ordinato da' medici, che si denudasse, ritrovossi cinte le carni da un cilicio, che avvolgevalo in tutta la vita. Rimesso in se con un salasso, e vedendosi denudato, ne morì di rossore, querelandosi altamente col Fratello Tartaglione d'aver così fatto.
Mi riferisce questo accidente D. Paolo di Carlo, attuale Arciprete in Castello della Baronia, che fu presente al fatto, abitando, essendo giovanetto, in altro quartino di quel palazzo. Anche così defatigato, e spossato, richiesto dal Rettore del Seminario Arcivescovile a voler con una sua predica infervorare que' tanti Giovanetti, non ebbe lo spirito di negarlo. Così compiacque ancora varj Monasteri di sacre Vergini.
Se non fuggiva da Napoli, una occupazione era per prevenir l'altra.




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