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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.37 Vien'accusato Alfonso presso il Re per aver fatto uno smisurato acquisto: Rilevandosi la falsità, resta egli maggiormente aggraziato, ed assodata la Congregazione.
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Cap.37

Vien'accusato Alfonso presso il Re per aver fatto uno smisurato acquisto: Rilevandosi la falsità, resta egli maggiormente aggraziato, ed assodata la Congregazione.

 


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Non furono così prospere ad Alfonso le cose in Napoli, come furono in Roma. Quando credeva veder stabilita la sua Congregazione, e resa ferma dalle due Potestà, un turbine non preveduto, pose questa in pericolo di esser dismessa, ed il suo spirito in somma agitazione.

Aveva il Canonico Casati in Iliceto, come dissi, dichiarato erede del suo Maria Santissima della Consolazione, e per essa Alfonso, e i suoi Missionarj. Questa eredità, ignorandosi gli Legati, non picciolo rumore fece in quel vicinato, ed ogn'uno diedesi a supporre, quello che non era.

Ritrovandosi il Re Carlo, verso la fine di Gennaro del 1751 nella caccia di Tremoleto, in tenimento della medesima Terra d'Iliceto, vedendo di lontano la nostra Casa, che, come dissi, sta sopra un rialto, richiese ad un Magnate, cosa è quel Castello? E' una Casa de' Missionarj del P. Liguori, disse il Cavaliere; ma preoccupato anch'esso della vantaggiosa eredità, soggiunse. Ed hanno avuta la piena; hanno ereditato nientemeno, che sessantamila, e più ducati.

Ferì il cuore del Re questa notizia. Anche questi, disse, fanno come gli altri: non ancora sono nati, e si veggono questi acquisti? Disgustato, anzi offeso per questa creduta eredità, la sentiva male per i Missionarj, e per la Congregazione, supponendo non dissimili acquisti anche in altre Case.

Il disgusto del Re subito si fece noto in tutta la Corte; ne di altro si parlava, ma con dente amaro, che degli acquisti de' Missionarj, e della certa soppressione. Subito fu dispacciato ai rispettivi Presidi, ove si avevano delle Case, volendosi sapere quali acquisti eransi fatti, e quanto fosse la rendita di ciascuna Casa.

Un turbine così inaspettato, fu tremuoto che smosse tutta la Congregazione. Alfonso non si smosse, ed uniformato, disse ai suoi: "Il Signore vuol tirare avanti la Congregazione, non con applausi, e protezioni di Principi, e di Monarchi, ma con disprezzi, povertà, miserie, e persecuzioni; quando mai si è veduto, che le opere di Dio si sono cominciate con applauso? S. Ignazio all'ora era contento quando aveva nuove di persecuzioni, e travagli. "

Fidato nell'integrità di sua coscienza, si porta in Napoli, sicuro della protezione, e della pietà del Monarca. Non fu però così presto calmata la tempesta, com'ei la credeva.
Troppo prevenuto era il Ministero a danno dell'Opera, e de' nuovi Missionarj. Enfaticamente non si parlava da per tutto


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che di fondi e di tenute acquistate, si sapeva quali, e quanti fossero i fruttati. Ricorse per primo alla protezione di Dio, che mai non manca. Si strinse colla santa mortificazione, flaggellandosi doppiamente, caricando il corpo di cilizj, e di catenette di ferro, ed animò i suoi alla preghiera, ed alla penitenza. Volle in ogni Casa, che recitato si fosse in Chiesa il Salmo Qui habitat; e che in ogni Lunedì vi fosse stato in comune un'altra disciplina. Si accrebbero le limosine; e si offerirono a Dio molte messe.

 

In queste tali, ma critiche circostanze, si videro i nostri nelle mani de' Scrivani, e di altri subalterni. Quel poco, che ci era di acquisto era noto ad ogn'uno, e solo si pregavano questi ad esser sinceri colla Maestà del Principe.

Il Re però, persuaso dell'integrità di Alfonso, serenato il suo cuore dalle respettive relazioni, disse al Marchese Brancone, che Alfonso istesso avesse anch'egli riferito quali stabili si avevano, e quale la rendita di ciascuna Casa.
Espose sinceramente Alfonso, che nella Casa d'Iliceto non si avevano di rendita, che circa docati trecento, ma tolti i pesi, non riducevasi che a poco: da cinquecento ne' Ciorani anche lo stesso in quella di Caposele, ed in quella di Nocera non esserci che le sole mura della Casa, con un moggio di terra per uso di giardino. Molto meno si rilevò, e si rappresentò da' Presidi, di quello erasi asserito da Alfonso.

Sincerità tale maggiormente rese confirmato il Re in quell'alta idea di uomo di Dio, che di lui ne aveva.

 

Ancorchè restasse confusa la calunnia, tuttavolta Alfonso non fu fuori d'imbarazzo; che anzi si ritrovò nel massimo de' travagli.

Posta in tavolino la nuova Congregazione, discettavasi, ma troppo amaramente tra' Ministri, se dovevasi o farla sussistere. Tutti erano in contrario. Troppo carico stimavasi il Regno di Case Religiose: gli acquisti scottavano ogn'uno; ed anzichè stabilirne delle nuove, si volevano diminuite le antiche.

Il cuore del Re combatteva tra due contrari affetti. Non voleva aggravare lo Stato più che non conveniva, ne opporsi al senso comune; ma persuaso del bisogno spirituale che vi era nei Popoli, e del gran bene, che facevasi da Alfonso coi suoi Missionarj, non sapeva risolverli a riprovarla.

Appoggio umano per Alfonso non ci era; ma non per questo si dissanima. Avendo le Anime, che peroravano, com'ei diceva, la propria causa, ripone nella pietà del Principe, e molto più in mano della Providenza, qualunque interesse di sua Congregazione, lascia Napoli, e ritirasi in Nocera, per apparecchiare il corso delle Missioni nell'Autunno, e nell'Inverno susseguente. Questa Casa, in seguito, perchè più vicina a Napoli, fu sempre di sua permanenza.

 

Entrato l'Autunno, si vide subito prevenuto da Monsig. Arcivescovo di Salerno, per le Missioni in quella vastissima Archidiocesi. Fu nella Penta, e ne' Langusi, e mano mano in altri luoghi, che non sovvengono.


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Se in ogni tempo Alfonso duellò a petto scoperto coll'Inferno, di presente, volendo meritarsi con sovrabbondanza fu della Congregazione le divine misericordie, sacrificava, diciam così, vita e sangue per ogn'Anima in peccato.

 

L'ultima Missione, dopo Pasqua del 1752 fu in Gragnano, chiamato da Monsig. Giannini Vescovo di Lettere. Vi fu con ventidue Soggetti; ma non posso omettere i prodigi, che la grazia vi operò.

Furono tali e tante le conversioni, massime di uomini sciagurati, che vedeansi posti a piedi di Maria Santissima mucchi di pistole, stili, ed altre arme proibite. Vi sortì tra gli altri il ravvedimento di Clemente Servillo, uomo evitando, e famoso omicidiario. Dovendosi alzare il Calvario, impose Alfonso a Clemente, che anch'esso si caricasse della sua Croce. Pianse il Popolo a tale spettacolo; ma Clemente, piangendo anch'esso, Voi piangete disse, lasciate piangere a me, che porto tutto Monte Calvario le mie spalle, intendendo il grave fardello de' tanti suoi peccati.

In questa Missione non vi fu benestante, che non si vedesse restituito delle grosse somme: tante cattive donne si ravviddero, e si mantennero nel santo proposito: molte giovanette non vollero saper di marito: se non si vuol dire, che tutto il ceto donnesco restasse così invogliato per la castità, che faceva stupore a tutti. In Gragnano, mi attesta il Sacerdote di Giovanni, non vi era idea di visitarsi il Santissimo Sagramento; ma partito Alfonso, si videro le Parrocchie ripiene, specialmente verso sera, di uomini, e donne all'adorazione di Gesù sagramentato.

 

Riflettendo Alfonso nel decorso di queste Missioni, che i cuori de' Principi sono nelle mani di Dio, ancorchè in critiche circostanze si vedesse, animato da nuova confidenza, pregò con lettera il Marchese Brancone, uomo pio, ed amico, di far presente al Re, col bisogno delle Anime, il grand'utile, che risultava allo Stato dall'opera delle Missioni: come il Papa, avendone conosciuto il vantaggio, approvato avea la Regola, supplicarlo a volersi degnare anch'esso confermarla ne' suoi Dominj, ma con quelle condizioni, che più convenienti avrebbe stimato.

Tanto fece il Marchese; ed a venticinque del mese di Marzo così rescrisse ad Alfonso: "In uno di questi passati giorni ebbi l'opportunità raggionare al Re del frutto spirituale, che da VS. Illustrissima si  faceva co' suoi Compagni, ed eziandio dell'approvazione apostolica ottenuta sulla Regola. Quantunque si fossero considerate delle difficoltà per darsi l'Exequatur, ad ogni modo riverentemente suggerii a Sua Maestà qualche mezzo per potersi dar moto a tal' acqua. Sicchè quando VS. Illustrissima sarà quì dopo Pasqua, porti seco la Regola, che il Re vuole osservarla. Quì la ragioneremo a piè fermo;


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e prenderemo quegl'espedienti che senza pregiudizio delle Leggi del regno Iddio benedetto ci suggerirà".

 

Incoraggiato Alfonso dal Marchese, e molto più dall'integrità di sua coscienza, sbrigandosi dalle Missioni, si porta in Napoli. Essendosi presentato al Re, aprendoli il cuore, li espose esser già diecinove anni, che co' Compagni attendeva alla coltura della gente più abbandonata, che eravi in Regno, portandosi per Ville, e Casali tra le montagne, e per le tante mandre, e tugurj di Pastori, istruendo colle Missioni, Catechismi, e con'altri divoti Esercizj la tanta gente abbandonata; sopra tutto tante migliaia di pastori, che dispersi, e derelitti vedevansi in Puglia nel suo Real Patrimonio.

Che ogn'anno eransi fatte, per lo spazio di nove mesi in varj luoghi del Regno, da quaranta e più Missioni, che tuttavia si disimpegnavano con profitto delle Anime; e che avendone sperimentato il gran bene, che risultava ai Popoli, gli Arcivescovi di Conza, e Salerno, e i Vescovi di Bovino, e Nocera stabilito avevano, con suo Real permesso, nelle rispettive Diocesi una casa di essi Missionarj.

 

Rappresentò, che informato da' respettivi Vescovi del regno, massime dagli anzidetti, il Sommo Pontefice Papa Benedetto XIV, del gran bene, che essi Missionarj operavano in queste Provincie, erasi degnato approvare l'Istituto anche a beneficio di tutta la Chiesa.

Perorò, e disse, che, per compimento, e totale stabilimento di un'opera così grande, solo ci bisognava il potente Sovrano consenso della Maestà Sua, con approvare quanto dal Papa erasi determinato. Io son miserabile, disse Alfonso, ma altro non cerco che il bene dell'Anime, la felicità del Regno, la gloria Vostra, e la maggior gloria di Gesù Cristo, che ha sparso il sangue suo per tante Anime abbandonate, e non curate da altri Missionarj. Così dicendo umiliò al re la propria Regola.
Riflettendo, che l'unico ostacolo per conseguire ciò, che si bramava,  esser potevano gli acquisti, non tanto per parte del Principe, quanto del Ministero, che riprovavali nelle Comunità Ecclesiastiche, aprendo maggiormente li sensi più intimi del proprio cuore, fe' vedere, quanto alieno ei fosse dallo spirito dell'interesse, e quanto lontano dal voler vedere i suoi agiati più di quello si conveniva. Son persuaso, disse, che l'operario, ove abbonda di comodo, lascia la vanga, e la zappa, e dassi tutto al riposo. Io non voglio opulenza per li miei, ma cerco solo per essi un moderato alimento come richiesto l'ho al Papa, e prego anche si stabilisca un tanto dalla M. V. senza darsi luogo a nuovi acquisti, con rovina dell'opera, e con quel danno che il grascio apportar suole allo spirito de' soggetti.

 

Con questi, e con altri mezzi non trascurò Alfonso presso del Re, anche la mediazione della Regina. Si prevalse per questo del 


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  P. Francesco Pepe, in quel tempo celebre Gesuita in Napoli, e della Madre Suor Maria Angiola del Divino Amore.

Questa nel secolo fu Penitente di Alfonso, e già era Fondatrice del Ritiro delle Carmelitane in Capua. Come si sa la Regina  frequentava questo Ritiro, ed aveva della somma degnazione per sì rispettabile Religiosa.

Così leggo in una alla medesima de' quattro Luglio: Iddio ha fatto incontrare a V. R. questo favore presso la Regina, non solo pel suo Santo Ritiro, ma ancora per tutte le cose di sua gloria. Tutta la difficoltà è per gli acquisti: Noi ci contentiamo, che S. M. circa gli acquisti faccia quello, che vuole: se vuole che non abbiamo mai a posseder cosa, ma che solamente i Vescovi ci possano sommimistrare qualche limosina, ce lo comandi, che sarà ubbidito: basta che ci approvi, e non ci faccia stare così in aria.

E in un altra: Noi non vogliamo acquistar ricchezze, come già dissi: che il Re ci limiti quello, che vuole per queste quattro case che abbiamo. Ci basta, che ci dia quindeci  grana al giorno per uno, e ci dia la sua approvazione, acciò, come dissi, non resti questa Congregazione, così in aria.

Soggiunge, e dice, tutti vedono il bene, che si fa.  Si tratta, che si fanno ogni anno da quaranta Missioni, ed ogni anno si mettono in grazia di Dio trenta in quarantamila Persone.

 

Tra questo tempo, anzi tra queste sue non picciole angustie, anche in Napoli non perdette di mira Alfonso il bene dell'Anime. La sua dimora quivi fu una continuata Missione. I Parochi in specialità non li diedero riposo. Come aveva terminato un esercizio Apostolico in una Chiesa, così vedevasi invitato per un'altra. Tra gli altri, diede gli santi Esercizj nella Chiesa detta de' Pellegrini.

Copiosissime erano le benedizioni, che Iddio pioveva sopra le Anime. Vedevansi accerchiati i confessionali da prodigiosa folla di penitenti, che invecchiati nel peccato da anni ed anni ne vivevano lontani da' Sacramenti. Questa folla era la consolazione de' rispettivi Pastori; e da per tutto d'altro non si parlava, che del dono di Dio, e del dominio d'Alfonso sopra i cuori. Centinaia di miscredenti, entrati in se stessi detestarono i loro errori.

Più volte il Padre D. Gennaro Fatigati lo volle sopra il Collegio de' Cinesi, per infervorare co i suoi sermoni quei tanti giovanetti nell'amore di Gesù Cristo, e nello zelo di salvare in quelle parti quei tanti Idolatri. Anche le Caustrali profittarono delle sue fatiche. Tutto era ammirazione, vedendolo rubare il tempo ai suoi affari, e così indefesso in portare anime a Gesù Cristo.

 

Se tra la folla dei tanti pensieri che l'aggitavano, adopravasi Alfonso per animar tutti alla penitenza, ed all'amore di Gesù Cristo, molto più vedevasi sollecito per la sussistenza della Congregazione, come quella ch'era di mezzo alla salvezza delle Anime. Sperava, e temeva; ma vi era più da temere, che da sperare. Alle preghiere de' nostri, unì


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presso Dio anche quelle di molte Anime Sante.

Benchè il Re, colla sua pietà dimostrasse favorir l'Opera, tutta volta la Ragion di Stato si opponeva, e non assecondava li suoi disegni. Avanzati i negoziati, oltre delle penitenze moltiplicate in tutte le case, molte messe si celebrarono per meritarsi la protezione di Dio, e della Vergine. Si fecero dei voti, e delle speciali promesse alle Anime del Purgatorio, a S. Giuseppe, ed a S. Teresa. Temeva Alfonso, e con esso ne temevano tutti i nostri interessati. Si scrisse con premura a molti Monasteri di Monache per Orazioni, e speciali Novene a Maria Santissima, ed ad altri Santi Protettori.

 

Colla preghiera presso Dio, non trascurava Alfonso i mezzi umani. Agonizzando, e senza respiro, non ci fu casa di Ministro, che nel tempo istesso non salisse. Armandosi di zelo piangeva, e metteva avanti gl'occhi d'ogn'uno la gloria di Dio, ed il bene delle Anime. Quantunque venerabile per la sua virtù, ed anche per i suoi natali, tuttavolta non furono pochi gl'incontri, che in quest'occasione soffrir dovette.

Amare, e dure erano le ripulse. Un Ministro tra gli altri, perchè prevenuto non poco per gli acquisti de' Regolari, no 'l trattò che con sommo sgarbo. Lo ricevette all'inpiede, e così gli diede udienza; e dopo averlo  ascoltato con somma inciviltà, lo licenziò con parolacce così improprie, che quasi lo discacciò di casa. D. Giacchino Bozzaotra, allora giovanetto, ed ora degnissimo Paroco in S. Anna di Palazzo, che vi era presente; si ricorda queste precise parole: A me venite a dire queste chiacchiare: andate, e ditele alle vecchiarelle. Calò la testa Alfonso, proferì parola.

Mi dice il Sig. Paroco, che quanto restò edificato di Alfonso, altrettanto restò scandalizzato del Ministro, vedendo un Cavalier Napoletano, e di quel merito, così trattato, e ricevuto. Ma vi è cosa di più. Raccontava Alfonso medesimo, ma con orrore, che inchinandosi gli disse: Sig. Marchese vi raccomando la Causa di Gesù Cristo, e questi con doppio disprezzo, Gesù Cristo, li disse, non ha causa in Camera Reale.

Attesta il nostro P. de Robertis, che eragli Compagno, che troppo abbondante fu la messe di replicati rimprocci, che Alfonso raccolse in quest'occasione, e che tanto era parlare di conferma di Congregazione, quanto il progettar cosa ad un Ministro, che nociva fosse allo Stato, e che offeso avesse gravemente il Principe.

 

Oltre tanti altri, che interessati si viddero per la Congregazione, si sbracciò per Alfonso anche il Ven. Monsignor Lucci, già Vescovo di Bovino. Questi comechè amicissimo del Marchese Fraggianni, Caporuota della Camera di S. Chiara, e Delegato della Real Giurisdizione, prevaleva non poco nel Ministero. Pregato dal Venerabil Prelato di sua protezione per un'opera così chiara, di tanta gloria di Dio, e di bene delle Anime, fu ritrovato anche duro, ed inflessibile.


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Tutto il forte erano gli acquisti. Questi, disse, faranno come i Gesuiti: entreranno col poco, e poi non si vedranno mai sazi. Non potette non ridere a tal proposta il saggio Prelato: e di che non si vedranno sazi, ripigliò, di pidocchi? In verità si veggono situati in Città cospicue, e troppo ricche? Di pidocchi potranno arricchirsi tra tuguri, e luoghetti; ed avranno che fare se guadagnano pane da poter vivere. Duro il Marchese nel suo sentimento si spiegò, che era contrario: così altri Ministri con altri Personaggi anche distinti, e di sommo riguardo.

 

Ancorchè le cose così passassero, non si dissanimò Alfonso, ma maggiormente prese piede in cuor suo quella fiducia, che non confonde; anzi quanto più vedeva l'opera disperata, tanto più fidava contro la speranza medesima.
Conoscendo, che l'unico intoppo erano i nuovi acquisti, egli che aveva a cuore la sussistenza della Congregazione, e non il danaro, replicatamente espose al Re, che gli bastavano anche grana tredeci al giorno, e non più, per un misero sostentamento.
Sentendo ciò il Re, è troppo poco, disse al Marchese Brancone. Questa moderata dimanda fe senso a tutti, ma non per questo si determinò cosa in suo favore.

Propostosi di nuovo l'affare nel Consiglio Reale, si videro cozzare insieme la ragione di Stato, che non voleva la Congregazione, per non dar luogo ai nuovi acquisti, colla pietà del Principe, che voleva l'Opera delle Missioni, conosciuta così santa, e così utile a beneficio de' Vassalli.

Finalmente un ripiego, e fu del Marchese Brancone, pose in salvo l'uno, e l'altro. Si approvò l'Opera delle Missioni, per compiacersi il Re, e rendersi consolato Alfonso; ed avendosi presente l'interesse dello Stato, se si accordò a' Missionarj quanto sin allora erasi acquistato, lor si proibì qualunque acquisto in futuro.
A' nove del mese di Novembre 1752., restò fissata in questi termini la Regale determinazione, con darsene parte alla Regal Camera di S. Chiara, Sperimentandosi di molto utile spirituale alle Anime abbandonate nelle terre, e luoghi di campagna di questo Regno, le Missioni di alcuni Sacerdoti Secolari, sotto la direzione del Sacerdote D. Alfonso Liguori, capo de' medesimi, non ha permesso il Re dismettersi un'Opera tanto lodevole per la Gloria di Dio, e salutare ai Popoli.


Anzi mossa Sua Maestà da quell'innata pietà propria del suo Real Animo, affinchè un'Opera così degna abbia sempre a perseverare nella fervorosa nativa carità della sua primiera origine, e senza detrimento del Pubblico, e venuta a stabilire un piano generale, del quale rimetto alle Signorie loro Illustrissime di Real Ordine di S.M. un'esemplare per intelligenza della Camera.

 

Formato il piano se ne spedì copia al Commissario di Campagna, ed a tutt'i Presidi delle Provincie; cioè che il Re non conosceva per Comunità, o Collegio Ecclesiastico le Case tutte della Congregazione,


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e che in vigore di ciò si proibiva a Sacerdoti Missionarj diretti dal P. Liguori, poter acquistare, e possedete in comune, beni stabili, e qualunque sorta di annue rendite; e farsi sentire ai rispetlivi Amministratori delle Università, che da indi in poi tutte le donazioni, eredità, e legati di beni stabili fatti, e lasciati ad essi, come conviventi in comune, non già a ciascheduno in particolare, non avessero valore, e fossero nulli, ed invalidi.
Similmente si ordinò, che le robe fino a quel tempo acquistate, amministrare si dovessero dai rispettivi Vescovi; e del fruttato volle il Re, che somministrato si fossero, non già grana tredici, come chiesto aveva Alfonso, ma carlini due al giorno a rispettivi Sacerdoti, e loro servienti, e che sopravanzando cosa distribuito si fosse ai Poveri, ove si avevano le Case.

 

Fatto noto il piano, di nuovo Alfonso si vide in maggiore amarezza. Dicendo il Dispaccio, non riconoscersi le Case dal Re per Comunità, o Collegio, credeva con questo non esser più la Congregazione un corpo esistente. Afflitto qual' era, subito capo dal suo Protettore il Marchese Brancone.


Questi rincorandolo li disse: "Il Re non può fare che una cosa esista, e non esista in un medesimo tempo. Approvando l'opera delle Missioni, e volendo i Missionarj sotto di un capo, vuole la Congregazione unita in un corpo, in tante comunità quante sono le Case. Non volendo, ed inibendo i nuovi acquisti, dice, a quest'effetto, non riconoscerle per Comunità, o Collegi. Vuole bensì che nelle Case si osservi la Regola approvata dal Papa, e che da' Missionarj si ferbi il fervore, e la qualità del nascente Istituto.

 

Quasi un anno durò questa faccenda; e solo Iddio è conscio, quali, e quanti potessero essere i batticuori di Alfonso, ed in quali gravi angustie si vide, tra la speranza di vedersi consolato, ed il timore di veder buttate al vento le tante sue fatiche.
Uniformandosi non però al Divino volere, si sottometteva a quanto Iddio era per disporre, attribuendo a suoi peccati qualunque determinazione in contrario. Io penso, e dico sempre, così scrisse alla Madre Suor Maria Angiola di Capua, che il Signore vorrà mortificare la mia superbia, e che l'approvazione non si otterrà se io non moro: Dominus est; quod bonum est in oculis fuis, hoc faciat.

Di fatti profetò; giacchè morto Alfonso, si ottenne dall'Augusto Ferdinando, ottimo figlio di esso Re Carlo, quanto si desiderava. Respirò Alfonso con questa Reale determinazione, de' nove di Novembre, e respirarono tutti gli altri, vedendosi l'opera di Dio assodata, e posta in salvo, con restar mutoli, e confusi i suoi Contradittori.

 




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