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Cap.37
Vien'accusato Alfonso presso il Re per aver fatto uno
smisurato acquisto: Rilevandosi la falsità, resta egli maggiormente aggraziato,
ed assodata la Congregazione.
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Non furono così
prospere ad Alfonso le cose in Napoli, come furono in Roma. Quando credeva
veder stabilita la sua Congregazione, e resa ferma dalle due Potestà, un
turbine non preveduto, pose questa in pericolo di esser dismessa, ed il suo
spirito in somma agitazione.
Aveva il Canonico
Casati in Iliceto, come dissi, dichiarato erede del suo Maria Santissima della
Consolazione, e per essa Alfonso, e i suoi Missionarj. Questa eredità,
ignorandosi gli Legati, non picciolo rumore fece in quel vicinato, ed ogn'uno
diedesi a supporre, quello che non era.
Ritrovandosi il Re
Carlo, verso la fine di Gennaro del 1751 nella caccia di Tremoleto, in
tenimento della medesima Terra d'Iliceto, vedendo di lontano la nostra Casa,
che, come dissi, sta sopra un rialto, richiese ad un Magnate, cosa è quel Castello? E' una Casa de'
Missionarj del P. Liguori, disse il Cavaliere; ma preoccupato anch'esso
della vantaggiosa eredità, soggiunse. Ed
hanno avuta la piena; hanno ereditato nientemeno, che sessantamila, e più
ducati.
Ferì il cuore del Re
questa notizia. Anche questi, disse, fanno come gli altri: non ancora sono
nati, e si veggono questi acquisti? Disgustato, anzi offeso per questa
creduta eredità, la sentiva male per i Missionarj, e per la Congregazione,
supponendo non dissimili acquisti anche in altre Case.
Il disgusto del Re
subito si fece noto in tutta la Corte; ne di altro si parlava, ma con dente
amaro, che degli acquisti de' Missionarj, e della certa soppressione. Subito fu
dispacciato ai rispettivi Presidi, ove si avevano delle Case, volendosi sapere
quali acquisti eransi fatti, e quanto fosse la rendita di ciascuna Casa.
Un turbine così
inaspettato, fu tremuoto che smosse tutta la Congregazione. Alfonso non si
smosse, ed uniformato, disse ai suoi: "Il Signore vuol tirare avanti la
Congregazione, non con applausi, e protezioni di Principi, e di Monarchi, ma
con disprezzi, povertà, miserie, e persecuzioni; quando mai si è veduto, che le
opere di Dio si sono cominciate con applauso? S. Ignazio all'ora era contento
quando aveva nuove di persecuzioni, e travagli. "
Fidato nell'integrità
di sua coscienza, si porta in Napoli, sicuro della protezione, e della pietà
del Monarca. Non fu però così presto calmata la tempesta, com'ei la credeva.
Troppo prevenuto era il Ministero a danno dell'Opera, e de' nuovi Missionarj.
Enfaticamente non si parlava da per tutto - 238 -
che di fondi e di tenute acquistate, nè si sapeva quali, e quanti fossero i
fruttati. Ricorse per primo alla protezione di Dio, che mai non manca. Si
strinse colla santa mortificazione, flaggellandosi doppiamente, caricando il
corpo di cilizj, e di catenette di ferro, ed animò i suoi alla preghiera, ed
alla penitenza. Volle in ogni Casa, che recitato si fosse in Chiesa il Salmo Qui habitat; e che in ogni Lunedì vi
fosse stato in comune un'altra disciplina. Si accrebbero le limosine; e si
offerirono a Dio molte messe.
In queste tali, ma
critiche circostanze, si videro i nostri nelle mani de' Scrivani, e di altri
subalterni. Quel poco, che ci era di acquisto era noto ad ogn'uno, e solo si
pregavano questi ad esser sinceri colla Maestà del Principe.
Il Re però, persuaso
dell'integrità di Alfonso, serenato il suo cuore dalle respettive relazioni,
disse al Marchese Brancone, che Alfonso istesso avesse anch'egli riferito quali
stabili si avevano, e quale la rendita di ciascuna Casa.
Espose sinceramente Alfonso, che nella Casa d'Iliceto non si avevano di
rendita, che circa docati trecento, ma tolti i pesi, non riducevasi che a poco:
da cinquecento ne' Ciorani anche lo stesso in quella di Caposele, ed in quella
di Nocera non esserci che le sole mura della Casa, con un moggio di terra per
uso di giardino. Molto meno si rilevò, e si rappresentò da' Presidi, di quello
erasi asserito da Alfonso.
Sincerità tale
maggiormente rese confirmato il Re in quell'alta idea di uomo di Dio, che di
lui ne aveva.
Ancorchè restasse
confusa la calunnia, tuttavolta Alfonso non fu fuori d'imbarazzo; che anzi si
ritrovò nel massimo de' travagli.
Posta in tavolino la
nuova Congregazione, discettavasi, ma troppo amaramente tra' Ministri, se
dovevasi o nò farla sussistere. Tutti erano in contrario. Troppo carico
stimavasi il Regno di Case Religiose: gli acquisti scottavano ogn'uno; ed
anzichè stabilirne delle nuove, si volevano diminuite le antiche.
Il cuore del Re
combatteva tra due contrari affetti. Non voleva aggravare lo Stato più che non
conveniva, ne opporsi al senso comune; ma persuaso del bisogno spirituale che
vi era nei Popoli, e del gran bene, che facevasi da Alfonso coi suoi Missionarj,
non sapeva risolverli a riprovarla.
Appoggio umano per
Alfonso non ci era; ma non per questo si dissanima. Avendo le Anime, che
peroravano, com'ei diceva, la propria causa, ripone nella pietà del Principe, e
molto più in mano della Providenza, qualunque interesse di sua Congregazione,
lascia Napoli, e ritirasi in Nocera, per apparecchiare il corso delle Missioni
nell'Autunno, e nell'Inverno susseguente. Questa Casa, in seguito, perchè più
vicina a Napoli, fu sempre di sua permanenza.
Entrato l'Autunno, si
vide subito prevenuto da Monsig. Arcivescovo di Salerno, per le Missioni in
quella vastissima Archidiocesi. Fu nella Penta, e ne' Langusi, e mano mano in
altri luoghi, che non sovvengono. - 239 -
Se in ogni tempo Alfonso duellò a petto scoperto coll'Inferno, di presente,
volendo meritarsi con sovrabbondanza fu della Congregazione le divine
misericordie, sacrificava, diciam così, vita e sangue per ogn'Anima in peccato.
L'ultima Missione, dopo
Pasqua del 1752 fu in Gragnano, chiamato da Monsig. Giannini Vescovo di
Lettere. Vi fu con ventidue Soggetti; ma non posso omettere i prodigi, che la
grazia vi operò.
Furono tali e tante le
conversioni, massime di uomini sciagurati, che vedeansi posti a piedi di Maria
Santissima mucchi di pistole, stili, ed altre arme proibite. Vi sortì tra gli
altri il ravvedimento di Clemente Servillo, uomo evitando, e famoso
omicidiario. Dovendosi alzare il Calvario, impose Alfonso a Clemente, che
anch'esso si caricasse della sua Croce. Pianse il Popolo a tale spettacolo; ma
Clemente, piangendo anch'esso, Voi
piangete disse, lasciate piangere a
me, che porto tutto Monte Calvario sù le mie spalle, intendendo il grave
fardello de' tanti suoi peccati.
In questa Missione non
vi fu benestante, che non si vedesse restituito delle grosse somme: tante
cattive donne si ravviddero, e si mantennero nel santo proposito: molte
giovanette non vollero saper di marito: se non si vuol dire, che tutto il ceto
donnesco restasse così invogliato per la castità, che faceva stupore a tutti.
In Gragnano, mi attesta il Sacerdote di Giovanni, non vi era idea di visitarsi
il Santissimo Sagramento; ma partito Alfonso, si videro le Parrocchie ripiene,
specialmente verso sera, di uomini, e donne all'adorazione di Gesù
sagramentato.
Riflettendo Alfonso nel
decorso di queste Missioni, che i cuori de' Principi sono nelle mani di Dio,
ancorchè in critiche circostanze si vedesse, animato da nuova confidenza, pregò
con lettera il Marchese Brancone, uomo pio, ed amico, di far presente al Re,
col bisogno delle Anime, il grand'utile, che risultava allo Stato dall'opera
delle Missioni: come il Papa, avendone conosciuto il vantaggio, approvato avea
la Regola, supplicarlo a volersi degnare anch'esso confermarla ne' suoi Dominj,
ma con quelle condizioni, che più convenienti avrebbe stimato.
Tanto fece il Marchese;
ed a venticinque del mese di Marzo così rescrisse ad Alfonso: "In uno di
questi passati giorni ebbi l'opportunità raggionare al Re del frutto
spirituale, che da VS. Illustrissima si
faceva co' suoi Compagni, ed eziandio dell'approvazione apostolica
ottenuta sulla Regola. Quantunque si fossero considerate delle difficoltà per darsi
l'Exequatur, ad ogni modo riverentemente suggerii a Sua Maestà qualche mezzo
per potersi dar moto a tal' acqua. Sicchè quando VS. Illustrissima sarà quì
dopo Pasqua, porti seco la Regola, che il Re vuole osservarla. Quì la
ragioneremo a piè fermo; - 240 -
e
prenderemo quegl'espedienti che senza pregiudizio delle Leggi del regno Iddio
benedetto ci suggerirà".
Incoraggiato Alfonso
dal Marchese, e molto più dall'integrità di sua coscienza, sbrigandosi dalle
Missioni, si porta in Napoli. Essendosi presentato al Re, aprendoli il cuore, li
espose esser già diecinove anni, che co' Compagni attendeva alla coltura della
gente più abbandonata, che eravi in Regno, portandosi per Ville, e Casali tra
le montagne, e per le tante mandre, e tugurj di Pastori, istruendo colle
Missioni, Catechismi, e con'altri divoti Esercizj la tanta gente abbandonata;
sopra tutto tante migliaia di pastori, che dispersi, e derelitti vedevansi in
Puglia nel suo Real Patrimonio.
Che ogn'anno eransi
fatte, per lo spazio di nove mesi in varj luoghi del Regno, da quaranta e più
Missioni, che tuttavia si disimpegnavano con profitto delle Anime; e che
avendone sperimentato il gran bene, che risultava ai Popoli, gli Arcivescovi di
Conza, e Salerno, e i Vescovi di Bovino, e Nocera stabilito avevano, con suo
Real permesso, nelle rispettive Diocesi una casa di essi Missionarj.
Rappresentò, che
informato da' respettivi Vescovi del regno, massime dagli anzidetti, il Sommo
Pontefice Papa Benedetto XIV, del gran bene, che essi Missionarj operavano in
queste Provincie, erasi degnato approvare l'Istituto anche a beneficio di tutta
la Chiesa.
Perorò, e disse, che,
per compimento, e totale stabilimento di un'opera così grande, solo ci
bisognava il potente Sovrano consenso della Maestà Sua, con approvare quanto
dal Papa erasi determinato. Io son
miserabile, disse Alfonso, ma altro
non cerco che il bene dell'Anime, la felicità del Regno, la gloria Vostra, e la
maggior gloria di Gesù Cristo, che ha sparso il sangue suo per tante Anime
abbandonate, e non curate da altri Missionarj. Così dicendo umiliò al re la
propria Regola.
Riflettendo, che l'unico ostacolo per conseguire ciò, che si bramava, esser potevano gli acquisti, non tanto per
parte del Principe, quanto del Ministero, che riprovavali nelle Comunità
Ecclesiastiche, aprendo maggiormente li sensi più intimi del proprio cuore, fe'
vedere, quanto alieno ei fosse dallo spirito dell'interesse, e quanto lontano
dal voler vedere i suoi agiati più di quello si conveniva. Son persuaso, disse, che
l'operario, ove abbonda di comodo, lascia la vanga, e la zappa, e dassi tutto
al riposo. Io non voglio opulenza per li miei, ma cerco solo per essi un
moderato alimento come richiesto l'ho al Papa, e prego anche si stabilisca un
tanto dalla M. V. senza darsi luogo a nuovi acquisti, con rovina dell'opera, e
con quel danno che il grascio apportar suole allo spirito de' soggetti.
Con questi, e con altri
mezzi non trascurò Alfonso presso del Re, anche la mediazione della Regina. Si
prevalse per questo del - 241 -
P. Francesco Pepe, in quel tempo celebre
Gesuita in Napoli, e della Madre Suor Maria Angiola del Divino Amore.
Questa nel secolo fu
Penitente di Alfonso, e già era Fondatrice del Ritiro delle Carmelitane in
Capua. Come si sa la Regina frequentava
questo Ritiro, ed aveva della somma degnazione per sì rispettabile Religiosa.
Così leggo in una alla
medesima de' quattro Luglio: Iddio ha
fatto incontrare a V. R. questo favore presso la Regina, non solo pel suo Santo
Ritiro, ma ancora per tutte le cose di sua gloria. Tutta la difficoltà è per
gli acquisti: Noi ci contentiamo, che S. M. circa gli acquisti faccia quello,
che vuole: se vuole che non abbiamo mai a posseder cosa, ma che solamente i
Vescovi ci possano sommimistrare qualche limosina, ce lo comandi, che sarà
ubbidito: basta che ci approvi, e non ci faccia stare così in aria.
E in un altra: Noi non vogliamo acquistar ricchezze, come
già dissi: che il Re ci limiti quello, che vuole per queste quattro case che
abbiamo. Ci basta, che ci dia quindeci
grana al giorno per uno, e ci dia la sua approvazione, acciò, come
dissi, non resti questa Congregazione, così in aria.
Soggiunge, e dice,
tutti vedono il bene, che si fa. Si tratta, che si fanno ogni anno da
quaranta Missioni, ed ogni anno si mettono in grazia di Dio dà trenta in
quarantamila Persone.
Tra questo tempo, anzi
tra queste sue non picciole angustie, anche in Napoli non perdette di mira
Alfonso il bene dell'Anime. La sua dimora quivi fu una continuata Missione. I
Parochi in specialità non li diedero riposo. Come aveva terminato un esercizio
Apostolico in una Chiesa, così vedevasi invitato per un'altra. Tra gli altri,
diede gli santi Esercizj nella Chiesa detta de' Pellegrini.
Copiosissime erano le
benedizioni, che Iddio pioveva sopra le Anime. Vedevansi accerchiati i
confessionali da prodigiosa folla di penitenti, che invecchiati nel peccato da
anni ed anni ne vivevano lontani da' Sacramenti. Questa folla era la
consolazione de' rispettivi Pastori; e da per tutto d'altro non si parlava, che
del dono di Dio, e del dominio d'Alfonso sopra i cuori. Centinaia di
miscredenti, entrati in se stessi detestarono i loro errori.
Più volte il Padre D.
Gennaro Fatigati lo volle sopra il Collegio de' Cinesi, per infervorare co i
suoi sermoni quei tanti giovanetti nell'amore di Gesù Cristo, e nello zelo di
salvare in quelle parti quei tanti Idolatri. Anche le Caustrali profittarono
delle sue fatiche. Tutto era ammirazione, vedendolo rubare il tempo ai suoi
affari, e così indefesso in portare anime a Gesù Cristo.
Se tra la folla dei
tanti pensieri che l'aggitavano, adopravasi Alfonso per animar tutti alla
penitenza, ed all'amore di Gesù Cristo, molto più vedevasi sollecito per la
sussistenza della Congregazione, come quella ch'era di mezzo alla salvezza
delle Anime. Sperava, e temeva; ma vi era più da temere, che da sperare. Alle
preghiere de' nostri, unì - 242 -
presso Dio anche quelle di molte Anime Sante.
Benchè il Re, colla sua
pietà dimostrasse favorir l'Opera, tutta volta la Ragion di Stato si opponeva,
e non assecondava li suoi disegni. Avanzati i negoziati, oltre delle penitenze
moltiplicate in tutte le case, molte messe si celebrarono per meritarsi la
protezione di Dio, e della Vergine. Si fecero dei voti, e delle speciali
promesse alle Anime del Purgatorio, a S. Giuseppe, ed a S. Teresa. Temeva
Alfonso, e con esso ne temevano tutti i nostri interessati. Si scrisse con
premura a molti Monasteri di Monache per Orazioni, e speciali Novene a Maria
Santissima, ed ad altri Santi Protettori.
Colla preghiera presso
Dio, non trascurava Alfonso i mezzi umani. Agonizzando, e senza respiro, non ci
fu casa di Ministro, che nel tempo istesso non salisse. Armandosi di zelo
piangeva, e metteva avanti gl'occhi d'ogn'uno la gloria di Dio, ed il bene
delle Anime. Quantunque venerabile per la sua virtù, ed anche per i suoi
natali, tuttavolta non furono pochi gl'incontri, che in quest'occasione soffrir
dovette.
Amare, e dure erano le
ripulse. Un Ministro tra gli altri, perchè prevenuto non poco per gli acquisti
de' Regolari, no 'l trattò che con sommo sgarbo. Lo ricevette all'inpiede, e
così gli diede udienza; e dopo averlo
ascoltato con somma inciviltà, lo licenziò con parolacce così improprie,
che quasi lo discacciò di casa. D. Giacchino Bozzaotra, allora giovanetto, ed
ora degnissimo Paroco in S. Anna di Palazzo, che vi era presente; si ricorda
queste precise parole: A me venite a dire
queste chiacchiare: andate, e ditele alle vecchiarelle. Calò la testa
Alfonso, nè proferì parola.
Mi dice il Sig. Paroco,
che quanto restò edificato di Alfonso, altrettanto restò scandalizzato del
Ministro, vedendo un Cavalier Napoletano, e di quel merito, così trattato, e
ricevuto. Ma vi è cosa di più. Raccontava Alfonso medesimo, ma con orrore, che
inchinandosi gli disse: Sig. Marchese vi
raccomando la Causa di Gesù Cristo, e questi con doppio disprezzo, Gesù Cristo, li disse, non ha causa in
Camera Reale.
Attesta il nostro P. de
Robertis, che eragli Compagno, che troppo abbondante fu la messe di replicati
rimprocci, che Alfonso raccolse in quest'occasione, e che tanto era parlare di
conferma di Congregazione, quanto il progettar cosa ad un Ministro, che nociva
fosse allo Stato, e che offeso avesse gravemente il Principe.
Oltre tanti altri, che interessati
si viddero per la Congregazione, si sbracciò per Alfonso anche il Ven.
Monsignor Lucci, già Vescovo di Bovino. Questi comechè amicissimo del Marchese
Fraggianni, Caporuota della Camera di S. Chiara, e Delegato della Real
Giurisdizione, prevaleva non poco nel Ministero. Pregato dal Venerabil Prelato
di sua protezione per un'opera così chiara, di tanta gloria di Dio, e di bene
delle Anime, fu ritrovato anche duro, ed inflessibile.
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Tutto il forte erano
gli acquisti. Questi, disse, faranno come i Gesuiti: entreranno col
poco, e poi non si vedranno mai sazi. Non potette non ridere a tal proposta
il saggio Prelato: e di che non si
vedranno sazi, ripigliò, di pidocchi? In verità si veggono situati in Città
cospicue, e troppo ricche? Di pidocchi potranno arricchirsi tra tuguri, e
luoghetti; ed avranno che fare se guadagnano pane da poter vivere. Duro il
Marchese nel suo sentimento si spiegò, che era contrario: così altri Ministri
con altri Personaggi anche distinti, e di sommo riguardo.
Ancorchè le cose così
passassero, non si dissanimò Alfonso, ma maggiormente prese piede in cuor suo
quella fiducia, che non confonde; anzi quanto più vedeva l'opera disperata,
tanto più fidava contro la speranza medesima.
Conoscendo, che l'unico intoppo erano i nuovi acquisti, egli che aveva a cuore
la sussistenza della Congregazione, e non il danaro, replicatamente espose al
Re, che gli bastavano anche grana tredeci al giorno, e non più, per un misero
sostentamento.
Sentendo ciò il Re, è troppo poco,
disse al Marchese Brancone. Questa moderata dimanda fe senso a tutti, ma non
per questo si determinò cosa in suo favore.
Propostosi di nuovo
l'affare nel Consiglio Reale, si videro cozzare insieme la ragione di Stato,
che non voleva la Congregazione, per non dar luogo ai nuovi acquisti, colla
pietà del Principe, che voleva l'Opera delle Missioni, conosciuta così santa, e
così utile a beneficio de' Vassalli.
Finalmente un ripiego,
e fu del Marchese Brancone, pose in salvo l'uno, e l'altro. Si approvò l'Opera
delle Missioni, per compiacersi il Re, e rendersi consolato Alfonso; ed
avendosi presente l'interesse dello Stato, se si accordò a' Missionarj quanto
sin allora erasi acquistato, lor si proibì qualunque acquisto in futuro.
A' nove del mese di Novembre 1752., restò fissata in questi termini la Regale
determinazione, con darsene parte alla Regal Camera di S. Chiara,
Sperimentandosi di molto utile spirituale alle Anime abbandonate nelle terre, e
luoghi di campagna di questo Regno, le Missioni di alcuni Sacerdoti Secolari,
sotto la direzione del Sacerdote D. Alfonso Liguori, capo de' medesimi, non ha
permesso il Re dismettersi un'Opera tanto lodevole per la Gloria di Dio, e
salutare ai Popoli.
Anzi mossa Sua Maestà da quell'innata pietà propria del suo Real Animo,
affinchè un'Opera così degna abbia sempre a perseverare nella fervorosa nativa
carità della sua primiera origine, e senza detrimento del Pubblico, e venuta a
stabilire un piano generale, del quale rimetto alle Signorie loro Illustrissime
di Real Ordine di S.M. un'esemplare per intelligenza della Camera.
Formato il piano se ne
spedì copia al Commissario di Campagna, ed a tutt'i Presidi delle Provincie;
cioè che il Re non conosceva per Comunità, o Collegio Ecclesiastico le Case
tutte della Congregazione, - 244 -
e che in vigore di ciò si proibiva a Sacerdoti Missionarj diretti dal P.
Liguori, poter acquistare, e possedete in comune, beni stabili, e qualunque
sorta di annue rendite; e farsi sentire ai rispetlivi Amministratori delle
Università, che da indi in poi tutte le donazioni, eredità, e legati di beni
stabili fatti, e lasciati ad essi, come conviventi in comune, non già a
ciascheduno in particolare, non avessero valore, e fossero nulli, ed invalidi.
Similmente si ordinò, che le robe fino a quel tempo acquistate, amministrare si
dovessero dai rispettivi Vescovi; e del fruttato volle il Re, che somministrato
si fossero, non già grana tredici, come chiesto aveva Alfonso, ma carlini due
al giorno a rispettivi Sacerdoti, e loro servienti, e che sopravanzando cosa
distribuito si fosse ai Poveri, ove si avevano le Case.
Fatto noto il piano, di
nuovo Alfonso si vide in maggiore amarezza. Dicendo il Dispaccio, non
riconoscersi le Case dal Re per Comunità, o Collegio, credeva con questo non
esser più la Congregazione un corpo esistente. Afflitto qual' era, fè subito
capo dal suo Protettore il Marchese Brancone.
Questi rincorandolo li disse: "Il Re non può fare che una cosa esista, e
non esista in un medesimo tempo. Approvando l'opera delle Missioni, e volendo i
Missionarj sotto di un capo, vuole la Congregazione unita in un corpo, in tante
comunità quante sono le Case. Non volendo, ed inibendo i nuovi acquisti, dice,
a quest'effetto, non riconoscerle per Comunità, o Collegi. Vuole bensì che
nelle Case si osservi la Regola approvata dal Papa, e che da' Missionarj si
ferbi il fervore, e la qualità del nascente Istituto.
Quasi un anno durò
questa faccenda; e solo Iddio è conscio, quali, e quanti potessero essere i
batticuori di Alfonso, ed in quali gravi angustie si vide, tra la speranza di
vedersi consolato, ed il timore di veder buttate al vento le tante sue fatiche.
Uniformandosi non però al Divino volere, si sottometteva a quanto Iddio era per
disporre, attribuendo a suoi peccati qualunque determinazione in contrario. Io
penso, e dico sempre, così scrisse alla Madre Suor Maria Angiola di Capua, che
il Signore vorrà mortificare la mia superbia, e che l'approvazione non si
otterrà se io non moro: Dominus est; quod
bonum est in oculis fuis, hoc faciat.
Di fatti profetò; giacchè morto Alfonso, si ottenne
dall'Augusto Ferdinando, ottimo figlio di esso Re Carlo, quanto si desiderava.
Respirò Alfonso con questa Reale determinazione, de' nove di Novembre, e
respirarono tutti gli altri, vedendosi l'opera di Dio assodata, e posta in
salvo, con restar mutoli, e confusi i suoi Contradittori.
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