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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.40 Enciclica di Alfonso per maggiormente eccitare ne' suoi lo spirito di Gesù Cristo, ed impegno per l'adempimento de' proprj doveri.
Era Alfonso in età di anni 56, e benchè non carico di anni, tuttatavolta vedendosi oppresso dalle sue abituali indisposizioni, non vedevasi nello stato di viaggiare a lungo, e girare visitando le case. Anche perchè la sua persona per affari della Congregazione spesso spesso necessitava in Napoli, e non poteva allontanarsi da Nocera. Servivasi per tanto de' Visitatori, ed informato dello Stato delle Case, presto dava ad ognuna i ripari opportuni.
Nel 1754 abbiamo una sua enciclica comune a tutte le Case. Questa lettera è in data degli otto di Agosto, ma perchè tutto ripiena dello spirito di Gesù Cristo, e non ispira che amore per i suoi, e zelo per l'osservanza, e per la gloria di Dio, stimo portarla tutt'intera, per rendere informato, chi verrà appresso, de' sentimenti del comun Padre, ed animarlo allo spirito della propria vocazione. La lettera è questa: "Viva Gesù, Maria, Giuseppe, e Teresa. Prego tutti voi Fratelli miei in Gesù Cristo, prima di sentire questa mia, di dire il Veni Creator Spiritus, e domandare luce a Dio, per ben intendere, e mettere in esecuzione quel, che da parte di Gesù Cristo io scrivo a tutti, ed a ciascuno in particolare. Padri, e Fratelli miei,
non sono ancora ventidue anni, che è incominciata la Congregazione, e da cinque
anni è stata approvata dalla S. Chiesa; onde dovrebbe a quest'ora, non solo
mantenersi nel primo fervore, ma di più esser accresciuta. speciali, da chi
sarà amato? Dio mio, ed a che servono tante orazioni, e tante Communioni? Or io son già vecchio, e di mala salute, e già mi si va accostando il giorno de' conti. Io voglio servirvi quanto posso, e Dio sa quanto amo più ciascuno di voi, che i miei Fratelli, e Madre; ma non vuole Dio, ch'io metta a pericolo la mia salute eterna per amore (ma amore disordinato) verso alcuno di voi. Tutti siamo miserabili, e tutti commettiamo difetti, ma io non mi accoro de' difetti, che non si fermano, ma di quelli, che fanno nido, e di certe debolezze, che fanno danno a tutta la Comunità. Se alcuno volesse queste sposare ad occhi aperti, e difenderle, o almeno scusarle come compatibili, queste mi dichiaro, che non posso, nè devo sopportare. Tali debolezze sarebbero, per esempio, o contro l'Ubbidienza, o contro la Povertà, o contro l'Umiltà, o Carità del Prossimo. Io spero a Dio di conservare fino alla morte questo sentimento, e di osservarlo puntualmente come ho promesso a Dio, di non farmi vincere dal rispetto umano di vedere mancare i Fratelli in cose notabili, e di pregiudizio agli altri, senza corrigerli. Voi già sapete, che forse il mio maggior debole è il troppo condescendere, ma spero a Dio, che mi dia fortezza di non sopportare gl'imperfetti, che non si vogliono emendare, e che vogliano difendere le loro imperfezioni. Prego voi, che siete giovani, e che restate a governare la Congregazione, di non sopportar mai un imperfetto di simil fatta, che dopo il difetto non se ne umilia, e lo difende. Io mi protesto, che nel giorno del Giudizio accuserò nel tribunale di Gesù Cristo quel Superiore, che, per non disgustare alcuno, sopporterà i difetti pregiudiziali, e farà cagione del rilasciamento della Congregazione. Del resto in quanto al passato, se mai alcuno ha fatto qualche difetto, io non intendo quì rimproverarlo; parlo solamente per l'avvenire". In seguito entra Alfonso a rilevare il beneficio della Vocazione. "Per venire, ei dice, a qualche cosa più speciale, prego ciascuno di attendere alle cose, che qui soggiungo. Esorto dunque ciascuno a far conto della Vocazione, ch'è il maggior beneficio, che Iddio ha potuto fargli dopo il beneficio della Creazione, e Redenzione. Ne ringrazi ogni giorno il Signore, e tremi di perderla. Non si faccia ingannare
dal nemico, se forse gli dirà, che il bene può farlo anche nel suo Paese, fuori
della Congregazione, e che fuori troverà più pace. Che bene? Nemo Propheta acceptus in Patria sua.
Ogn'umo lo sà, e si vede coll'esperienza. E poi noi abbiamo da fare quel bene, che da noi vuol Dio, e non quello, che vogliamo noi; e Dio vuole da chi è chiamato nella Congregazione, quel bene, e quelle opere, che gl'impongono le Regole, ed i Superiori. Pace, che pace! Quis restitit ei, et pacem habuit. Vediamolo fratelli miei in quelli, che hanno abbandonata la Congregazione. Che pace vuol dare a Dio agl'infedeli , che per capriccio proprio, e per non mortificarsi perdono la vocazione, e si mettono dietro le spalle la volontà di Dio? E specialmente in morte che pace ritroveranno, pensando, che muoiono fuori della congregazione? Non mi stendo in ciò, perchè ogn'umo ora già ben l'intende: ma il male è, che quando viene la tentazione, allora più non ci vede, e gli pare non esser male il perdere la vocazione. Questo avverto non pensi alcuno forse col dire, che se ne vuole andare, di metter timore. Per grazia di Dio la Congregazione ora è fornita di molti, e buoni soggetti, e tuttavia ogni giorno vengono giovani di spirito, e di talento, come vedete, giacchè è sparso per tutto il Regno il nome della Congregazione, ed anche fuori, e credono, che nella Congregazione vi è un grande spirito, e perfezione; (volesse Dio, e fosse vera la metà); e così ci resteranno i buoni, che ancora faranno le Missioni, e gli Esercizj. Ed ancorchè avesse da farsi qualche Missione meno, sempre sarà meglio conservare lo spirito di osservanza con pochi, che vedere la Congregazione rilasciata. Daranno più gusto a Dio quelli pochi, che cammineranno dritto, che mille altri che viveranno imperfetti. Onde conchiudiamo questo punto. Povero chi perderà la Vocazione. Ed incidentemente a questo proposito, io rinnovo a ciascuno il precetto formale di ubbidienza, dato da me altre volte di non partirsi dalla Congregazione, senza prima aver ottenuta da me l'espressa licenza, coll'assoluzione, o sia rilassazione de' voti e giuramento di perseveranza, se pure non l'avesse ottenuto dal Sommo Pontefice". Volendo Alfonso predominato ne' suoi lo spirito della santa ubbidienza, inculca ed esagera questa virtù con modo speciale. "Prego ciascuno ad ubbidire, così egli, e non resistere alle ubbidienze de' Superiori Loali. Se alcuno vuole esponere qualche difficoltà, ciò gli è permesso; ma prego costui, che prima di replicare,
si rassegni a far l'ubbidienza, se mai la sua replica non gli è fatta buona;
onde vada rassegnato, e poi esponga quello, che l'occorra; altrimenti, se non
fà così, resterà inquieto, se non gli è ammessa la sua difficoltà; e restando
inquieto, il Demonio ci farà molto guadagno.
Non voleva Alfonso, ed avevalo come peste nelle Case Religiose, che da soggetti si desse legge, e si mettessero in sindacato le operazioni de' Superiori. Soggiunge, e dice intorno a questo: "Prego ciascuno a non lamentarsi cogli altri di quel, che fanno i Superiori Locali, perchè ciò può essere di gran tentazione così in persona propria, come per gli altri". In questa lettera fa
egli conoscere quanto era penetrato dall'amore verso Dio, e specialmente di
voler impressa nel cuore di ogn'umo la Passione di Gesù Cristo. "Prego
ciascuno, ei dice, cercare sempre a Gesù Cristo il suo santo amore, perchè
altrimenti poco serviranno tutti i propositi. E per ottenere questo santo amore
procuriamo, d'innamorarci assai della Passione di Gesù Cristo, con farci un
poco di meditazione ogni giorno, e praticare la Via Crucis, quando si può.
Entra in seguito Alfonso nello spirito di ritiratezza, e di raccoglimento; e soprattutto inculca lo studio della sana Morale, e di non seguitarsi senza fondato giudizio qualunque opinione. "Con ciò prego
ciascuno, così egli si spiega, ad amare la stanza, e non dissiparsi nella
giornata andando di quà, e di là. Siamo avari del tempo per impiegarlo
nell'Orazione, Visite al SS. Sacramento, che a posta stà con noi, ed anche allo
studio, perchè questo a noi ancora è assolutamente necessario. E ciò, dico, e lo dicono anche i Probabilisti, che ogni Confessore è obbligato a farlo dovendosi prima considerare in ogni questione, se vi è ragione intrinseca tale, che convinca, perchè allora si rende improbabile l'opinione contraria. Solamente quando non restiamo convinti dalla ragione, allora possiamo servirci della probabilità estrinseca. Attenti a questo, perchè nella Congregazione temo, che alcuni in ciò errano notabilmente. E si avverta, che in questo secondo libro io non ammetto ordinariamente per probabili, se non quelle opinioni solamente, che le chiamo tali. Io non pretendo, che le mie opinioni s'abbiano da osservare necessariamente, ma prego prima di ributtarle, a leggere il mio libro e considerare quello, che ho scritto con tanta fatica, discorso, e studio. E questa fatica, fratelli miei, io non l'ho fatta per gli altri, nè per acquistare lode, ne avrei fatto volentieri di meno, se altro non avessi avuto a ricavare, che un poco di fumo: Dio sa il tedio, e pena, che ci ho sopportato; l'ho fatta solamente per voi, fratelli miei, acciocchè si seguiti una dottrina soda; almeno acciocchè si proceda con riflessione. Io confesso, che tante opinioni prima io le tenea per sode, ma poi ho veduto collo studio presente, che erano improbabili. Onde prego tutti e giovani, e Confessori a leggere il mio libro, mentre a questo fine l'ho fatto, e poi seguitino quello, che loro pare davanti a Dio. Tra le opinioni
improbabili io numero specialmente quella di potersi assolvere l'ordinando
abituato in cose di peccato grave, ancorchè porti segni bastanti per ricevere
il Sacramento della Penitenza; mentre a costui non è solo conveniente, come
falsamente suppongo alcuni, ma è necessaria la bontà positiva, non già per ragione
del nuovo Sacramento, che prende, perchè a questo basterebbe lo stare
semplicemente in grazia; ma per lo grado d'eccellenza a cui ascende, che
richiede un'eccellente bontà di necessità assoluta, mentre dicono communemente
i Canoni, ed i Dottori con S. Tommaso, che tal bontà praexigitur, requiritur, necessaria est, parole, che tutte
esprimono vera necessità, non convenienza. Ordinando in Sacris, così per l'eminenza dello stato in cui vien posto, come per li ministerii sacrosanti, che deve esercitare, ha d'avere questa bontà positiva, che importa non solo essere esente da colpa grave, ma che possieda ancora un grado di virtù acquistata, per gli atti buoni innanzi praticati. Anch'io prima difesi l'opinione contraria, ma poi ho veduto essere improbabilissima, e per ciò mi sono rivocato. Susseguono varj avvertimenti, ma troppo essenziali a' Rettori Locali. "Raccomando per ultimo a' Superiori presenti, e futuri l'osservanza delle Regole. In mano loro sta questa osservanza. Il Rettore Maggiore sta lontano, se il Rettor Locale non vi attende, il Rettor Maggiore non vi puole rimediare. E perciò è necessario,
che i Superiori non solamente predichino l'osservanza, ma siino i primi a
praticarla. Più move quel, che si vede, che quel, che si sente. Raccomando
insieme a' Superiori la carità co' soggetti, acciò gli confortino nelle
angustie, e cerchino quanto si può di sollevarli ne' loro bisogni, dimandando
specialmente nel conto di Coscienza, se loro necessiti qualche cosa. Raccomando specialmente
l'attenzione, e carità con gl'infermi con visitarli, e provvederli di rimedii
necessari, quanto si può, con dimandare loro se bisogna qualche cosa, e quando
la povertà non lo comporti, almeno consolarli quanto è possibile. Così sussieguono ancora altri avvisi, anche necessari a' particolari soggetti. "Ciò in quanto a Superiori. A Soggetti poi in particolare, raccomando a non dire più ad alcuno, che ora nella Congregazione non si va con tanta strettezza, essendo mancata la prima osservanza; mentre ciò non è vero, essendovi li buoni, che mantengono la prima osservanza; e benchè i difetti siano cresciuti, perchè è cresciuto il numero de' soggetti, nulladimeno ogn'uno deve cercare d'emendarsi, e e di vivere con osservanza, intendendo, che gl'inosservanti, che non vogliono emendarsi, dalla Congregazione non possono sopportarsi. Onde ciascuno, quando
commette qualche difetto, subito procuri di umiliarsi, internamente se il
difetto è interno, ed esternamente con accurarsene, se il difetto è stato
esterno: e cadendo in qualche difetto subito ne proponga l'emenda.
se lo stima necessario, operi, o pure vada a parlare, o ne scriva al
Superiore. Raccomando per amore di Gesù Cristo di stare attento a questo. Oh
quanti difetti s'eviterebbero, se ciò si osservasse, perchè a sangue caldo le
cose pajono altrimenti di quelle, che sono. E perciò prego anche i Superiori a
non fare le correzioni, quando l'animo sta esasperato, ma aspettare, che
l'animo si sereni, altrimenti sempre si eccederà, e le correzioni poco
gioveranno. Quest'è quello, che hanno desiderato i Santi, essere disprezzati, come è stato disprezzato Gesù Cristo. E chi non si vuol far Santo, non può durare nella Congregazione. Gesù Cristo medesimo, che ama assai questa Congregazione, ne lo caccerà. Non vuole il Signore, che le prime pietre di questo suo edifizio siano così deboli, che non solo non vagliano a sostenere, e a dare esempio agli altri, che verranno appresso, ma che diano poca edificazione a coloro, che vi sono di presente. Ogn'uno intenda bene. Raccomando ancora l'amore alla Povertà, e ciascuno intenda, che specialmente i difetti contro queste due virtù, cioè, contro la povertà, e contro l'ubbidienza, dalla Congregazione non si sopportano, nè possono sopportarsi; perchè caduta l'osservanza circa queste due virtù, è ruinato in tutto, e finito lo spirito della Comunità. Conchiudendo Monsignore questa lettera, apre il suo cuore, e protesta il suo amore per ogn'uno de' suoi. "Ciocchè ho scritto così alla rinfusa, di nuovo mi protesto di non scriverlo per alcuno in particolare, ma in generale a tutti, e più per lo tempo futuro, che per lo passato. Del resto prego tutti a non pensare, dall'aver intesa questa mia lettera, ch'io forse conservi qualche rancore verso di alcuno, ch'abbia commesso qualche difetto per lo passato. Mi dichiaro, che de' difetti commessi, conforme Gesù Cristo se n'è scordato, essendosene umiliato come spero chi l'ha commessi, così me ne scordo ancor io. Ed intenda ciascuno, che quando alcuno per disgrazia commetterà qualche difetto, e se ne umilierà di cuore, s'assicuri, ch'io di cuore lo perdonerò, anzi con umiliarsi mi si renderà più caro di prima. Dico ciò, affinchè ciascuno non li dissanimi, se mai per caso cade in qualche mancanza. Ma ogn'uno stia attento ad evitare i difetti, ancorchè minimi, ma fatti ad occhi aperti, perchè il Demonio da questi suol condurre a difetti più gravi, e poi tenta a perdere la vocazione. E con quest'arte il Demonio ne puo cacciare più d'uno dalla Congregazione". "Sappiano finalmente i Fratelli miei, così seguita a spiegarsi, che ciascuno in questa Terra, dopo Dio, è l'unico mio
amore, e per ogn'uno di loro io da ora osserisco a Dio il sangue, e la vita,
perchè la vita di voi, che siete giovani, può molto servire alla gloria di Dio,
e la vita di me che sono vecchio, malato, ed inabile, a che può servire più? E
con ciò prego ciascuno a scrivermi, se sta da lontano, in ogni suo bisogno, ed
a togliersi l'apprenzione, che ha posta in campo il Demonio per inquietare me,
cioè, che m'abbia ad infastidire col parlarmi, o collo scrivermi. ch'io lascio tutto quando si tratta di consolare un mio Fratello, e figlio. A me importa ajutare più uno de' miei figli, che fare ogn'altro bene. Questo
bene vuole Dio più da me, stando in questo officio, che tutte le altre cose. e
D. Paolo, che per la salute era più, che giovane); facciamoci santi, ed amiamo
Gesù Cristo assai, perchè se lo merita, e specialmente da noi, avendoci amati
più degli altri. di
noi quel, che vuole, e preghiamo sempre Maria SS. che ci ottenga il gran tesoro
dell'amore di Gesù Cristo. che
certamente non perderà la Vocazione. Non
ci perdiamo la gran Corona, che vedo apparecchiata ad ogn'uno, che vive con
osservanza, e muore nella Congregazione.
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