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Cap.41
Nuova Casa aperta da Alfonso nello stato di Benevento:
Esercizj dati nella Casa de' Ciorani; risposta data ad un suo Censore; e
memoria di Nicolò Borgia Vescovo di Aversa.
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Finora la Congregazione,
benchè applaudita dal Papa, non ancora avea posto piede nello Stato Ponteficio.
Ritrovandosi Vicario di
Monsignore Pacca, Arcivescovo in Benevento, D. Giuseppe Fusco, gentiluomo di Cajazzo,
che fu poi Vescovo di Lucera, persuaso questi del gran bene, ch'erasi operato
da Alfonso, e da suoi nel casale della Villa, e che tuttavia operava per ogni
dove del Regno, vedendo il bisogno, e la scarsezza degli operarj in una
Archidiocesi così vasta, propose all'Arcivescovo in sollievo della Diocesi una
Casa de' nostri.
Fattosi carico il savio
Prelato dell'intento del nostro istituto, e del bisogno della sua Archidiocesi,
restò invogliato dell'opera; ed il Fusco a nove di Marzo 1753 progettò ad Alfonso
una fondazione in quel dominio; e con altra sua cercò taluno de nostri a
trattare con l'Arcivescovo.
Troppo interessati per
la Congregazione erano Nicolò Borgia Vescovo allora della Cava, e Monsignor
Volpe Vescovo di Nocera. Alfonso avendo comunicato con questi li progetti del
Fusco, e le disposizioni di Monsignor Arcivescovo, tutti e due applaudirono
questa nuova fondazione: maggiormente che in dominio, e sotto la protezione del
Papa, ed in Diocesi così vasta, e così popolata di Ville, e Casali.
Dubitando il Borgia di raffreddamento nell'Arcivescovo, pensò avvalorare lo
zelo del Fusco colla mediazione di Monsignor Passanti Vescovo di Montemarano,
sì perchè era stato di lui Vicario, sì perchè l'Arcivescovo ne gradiva li
consigli.
Avendo a cuore la gloria
di Gesù Cristo, e render efficace
l'opera del Passanti, si esibì portarsi col P. Villani in Benevento, e far la
strada di Montemarano, per così ottener lettere di premura da Monsignor
Passanti. Questa mossa gradir non potevasi dall'Inferno, e per fini così
opposti ai suoi disegni.
Benchè fosse il mese di
Dicembre, il Cielo però sembrava di primavera, tant'era sereno, e chiaro; ma
non ancora erano giunti nelle pertinenze di Serino, che nell'istante perturbato
si vide con tuoni, e lampi, e scaricar grandini, ed acqua. Un fulmine cadde
avanti li piedi del Borgia; ed entrandosi per rifugiarsi nel cortile de Signori
di Filippo in S. Lucia, assecondò un altro innanzi al medesimo.
Non si dissanima il Borgia vedendo l'Inferno in tempesta sicuro della protezione
di Dio. Anche Monsignor Passanti, subito che giunsero in Monte - Marano, stimò
di gloria di Dio, e di gran bene per le Anime - 260 -
una Casa de' nostri in quella vasta Archidiocesi.
Animato anch'egli dall'istesso zelo del Borgia, unito col medesimo, e col P.
Villani di persona volle portarsi in Benevento.
Pianse per tenerezza
l'Arcivescovo Pacca vedendosi animato da due Prelati così rispettabili. Quando altro non ho, disse, mi vendo la
mitra per stabilire quest'opera. Essendosi stabilito fissar la Casa in S.
Angelo a Cupolo, feudo di cui n'è Principe il medesimo Arcivescovo, e volendola
presto effettuata, destinò per primo ricovero del PP. il Casino abitato un
tempo, essendo Arcivescovo, da Papa Benedetto XIII.
Assodate le cose,
destinò Alfonso per questa nuova fondazione i Padri Villani, Margotta,
Derubertis, ed altri; ed a sei di Aprile 1755 se ne fu in possesso con applauso
de' Signori Beneventani, e con allegrezza non poca delle Popolazioni adjacenti.
Godendo dell'opera il
zelante Arcivescovo, e volendo far sperimentare i primi frutti alla Città, fe
dare dal P. Villani, e Margotta li santi esercizj al Clero Secolare, e Regolare
ed anche, ma da parte, al Seminario. Benedisse Iddio queste prime fatiche.
Riforma si vide e troppo patente nel Clero; e nel Seminario fu generale il
cambiamento di vita in quei tanti giovanetti. In Seminario, animato dai nostri,
si tolse dall'Arcivescovo la Filosofia Peripatetica, stabilendosi Autori di
sana dottrina classici, e moderni. Non eravi idea di Geometria, e Metafisica, e
vi s'introdussero queste scienze. In Teologia poi, togliendosi li scritti si
stabilirono Teologi non sospetti di errori.
Una somma penuria di
acqua affliggeva nel Maggio tutto lo stato Beneventano. Essendosi stabiliti per
meritarsi le divine misericordie gli Santi Esercizj in quella Cattedrale, il
Vicario Fusco posponendo e Preti, e Regolari, anche i medesimi Gesuiti, chiamò
il P. Villani.
Il nostro stile chiaro,
e semplice soddisfece nemmeno il Popolo, che la Nobiltà. Generale fu la
compunzione; e in una sola comunione si contarono sopra tremila persone.
Monsignor Arcivescovo ne piangeva per tenerezza. Si confessava da tutti, che
simile compunzione ne anche erasi veduta nelle Missioni del P. Cacciotti, e del
Ven: P. Francesco di Geronimo. Fu tale la soddisfazione in tutti li ceti, che
prolongati si vollero li Santi Esercizj sino a giorni dodeci.
Tali furono i principj
di questa fondazione. Monsignor Pacca ne fu così soprapieno di contentezza, che
volle di persona portarsi in Nocera per conoscere Alfonso, e ringraziarlo, come
Autore di tale ajuto e così salutare prestato al suo Popolo.
Sopratutto lo premurò di volerlo in Benevento colla S. Missione; ed Alfonso si
compromise nel futuro Novembre. Spiegossi Arcivescovo, che a lui dopo Dio
affidava gli interessi della propria Diocesi; ed offerì sestesso, e quanto
aveva in sussidio de' nostri, e della fabrica. Per finche vidde stimò i
Missionarj - 261 -
come suoi
Angioli tutelari: nè si moveva senza il consiglio di quelli a far cosa di peso.
Erano più anni, che
Alfonso residendo nella Casa di Nocera, non dava gli soliti esercizj in quella
di Ciorani. Essendo stato pregato nella precedente Quaresima dal P. Rossi a
voler consolar quella Casa nella settimana di Passione, volentieri lo
compiacque.
Subito che si seppe, che egli era per dare li S. Esercizj, tal concorso ci fu
di Preti, e Gentiluomini, che obligato si vide il P. Rossi spedire quattro
corrieri per diverse strade avvisando, che non eravi più luogo.
Non ci fu caso che si
dassero indietro, contenti, come dicevano, di dormire nella porteria. Non fu
minore il numero di dugento e quattordeci. Ci fu il Principe di Castellaneta D.
Mattia Miroballo Colonnello del reggimento del Principato Citra. Ci
intervenne ancora il Conte dell'Aquila
con altri dodeci Officiali. Tanti Gentiluomini, non essendoci luogo, dovettero
dormire i tre, e quattro per camera: altri si situarono a terra sopra pagliacci
nelle crociere de corridori. Si fe uso ancora di alcune camere del Barone
attaccate alla nostra Casa.
Il profitto che ci fu,
potranno attestarlo anche le mura nel giorno del giudizio.
Il Conte specialmente ne uscì così pieno di Dio, che avendo giurato un Soldato
in un enfasi di sdegno per il Sangue di
Cristo voleva in ogni conto se li forasse la lingua; ed a grazia lo
condannò a dover stare in piazza tre ore la mattina, ed altrettante il giorno
per otto giorni continui, attaccato col ciuffo dei capelli ad un centrone, e
col morsacchio nella bocca.
Un gentiluomo della
Cava fu preso da tal venerazione per Alfonso, che essendosi ritirato in Nocera,
cercò dormire per una notte nella picciola camera da esso abitata, e sopra del
di lui pagliaccio, volendo che neppure si fosse scopata.
Come dissi, combattuto
avea Alfonso nel libro delle Glorie di
Maria un sentimento scappato dalla penna di Lamindo Prittanio nella sua Regolata Divozione, ma non proprio della
religiosa pietà del Muratori, che nascose se stesso sotto quel finto nome,
cioè: che sia un iperbole, ed
un'esagerazione caduta di bocca al fervore di alcuni Santi, che Maria quanto
cerca, ottiene; e che tutte le grazie ci pervengono per mano sua.
Sembrando il Muratori
troppo scarso ad Alfonso in glorificare Maria Santissima, che anzi la priva del
miglior pregio, che ella gode, se gli oppose co' Teologi, e Padri alla mano,
sostenendo, che se Gesù Cristo è il
Mediatore di giustizia, Maria è Mediatrice per grazia.
Ebbe a male questa
censura un Letterato, non amico, come credo del Muratori, poco divoto bensi
della Vergine; e mascherando se stesso sotto il nome di Lamindo Brittanico
redivivo, in atto che nega aver detto il Muratori tal proposizione, la fa sua,
e la sostiene, e carica Alfonso di note non dovute.
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Non si risente Alfonso,
vedendosi malmenato. Risponde col fatto al suo censore; e portando li contesti
di Prittannio, soggiunge: ancorchè detto
non l'avesse Prittannio morto, lo dice Prittannio redivivo; cioè che i Santi
nel lodare la Vergine, alle volte han parlato per iperbole, e per tropi.
Non v'è dubbio, dice Alfonso, che li tropi, com'è l'iperbole, non sono tacciati
di bugia, quando dal contesto del discorso si percepisce l'eccesso della verità; ma ciò non vale nelle
proposizioni assertive, dove l'iperbole costituisce un vero inganno, che altri
non possono conoscere.
Ciò posto, compruova la
pia sentenza coll'autorità di molti Padri, e Teologi, e sostiene, che quanto
cerca, tanto ottiene Maria, e che non ci pervengono le grazie se non per le sue
mani. Con questo chiuse la bocca, e più non ardì aprirla il Redivivo
Prittannio.
Addottrinato forse
quest'Anonimo nella scuola di Giansenio, o perchè divertir si volesse con
Alfonso, passa di slancio a censurare la Teologia Morale.
Avendolo caricato di termini non proprj, l'impone con grave sopraciglio, che
come Superiore comandato avesse a suoi volersi togliere dal cuore, dalle mani,
ed anche dalla cella la propria Teologia:
Tu auctoritate, qua polles, quia Presul es, absoluto eternoque precepto eis, ut
in posterum tuam Theologiam abjiciam procul a corde, a manibus, etiam a cella.
Non facendosi carico
Alfonso delle ingiurie, ma costituendosi innanzi al suo avversario, come
innanzi al proprio giudice, giustifica il motivo dell'opera. "Non ho dato
alle stampe, ei dice, la mia Morale per desiderio d'esser nominato, e lodato.
Sarei stato un pazzo, se dopo aver lasciato il Mondo, ed essermi ritirato in
Congregazione, a piangere i peccati miei, avessi voluto inutilmente spender
tanti anni di fatica, (mentre quest'opera mi costa da dieci anni di fatica
eccessiva, e noiosissima), perchè? per cacciarne un poco di fumo, e da poche
persone; poichè trattandosi di materie così controversie, dovea già suppormi,
che molti li quali teneano le sentenze contrarie, mi avrebbero contraddetto,
trattandomi o di troppo rigido, o di troppo benigno, come infatti l'uno, e
l'altro mi è avvenuto.
Vedendosi toccata la
coscienza a motivo di lassezza soggiunge. "In quanto allo scrupolo, che
vuole impormi il mio venerato censore, dico, che io ben temo del conto, che ho
da dare a Dio della mia mala vita menata nel secolo, ed a Gesù mio Redentore
principalmente, e poi a Maria, Madre ed Avvocata mia presso Gesù Cristo stanno
le mie speranze del perdono; ma in quanto alle dottrine registrate nella mia
opera, non ho fondamento temere di doverne dar conto a Dio.
Avendo giustificato con
l'autorità di varj, ma sani Teologi, le proposizioni censurate dall'Anonimo,
conchiude: "gran cosa! il mio - 263 -
censore senza aver osservato il mio libro (parlo della seconda edizione,
non già della prima, che ho già riformata, com'egli già sa col suo Deo gratias), lo fa vedere pernicioso, e
pieno di falsità.
Si spiega che non così
la sentiva il Regnante Pontefice Papa Benedetto XIV il quale in una sua, che
l'inviò, allorchè li presentò la Morale, a Lui dedicata, avevali rescritto,
ringraziandolo del regalo; ed accertandolo, averlo trovato pieno di buone
notizie; e che restar poteva sicuro del gradimento universale e della pubblica
utilità.
Non con altro, che con
questa moderazione, confondeva Alfonso i suoi Censori; e quest'è quello, che
attiravagli presso tutti nell'Italia, non che nel Regno di Napoli, rispetto
sommo, e somma venerazione.
Essendosi di sopra
menzionato Nicolò Borgia Vescovo della Cava, e poi di Aversa, gratitudine
richiede, che si accennino in parte se non in tutto, le di lui virtù, degne per
altro di special memoria. Possedeva Nicolò Borgia tutte le qualità, che
costituir sogliono un Vescovo santo, e senza macchia. Uomo caritativo, e
sommamente dissinteressato; zelante dell'onore di Dio, e della salute
dell'anime; alieno da suoi, e dato intieramente al proprio ministero. Tutto
concorreva nel Borgia a renderlo singolare.
Per la sua integrità fu
in somma stima presso li Pontefici di suo tempo; rispettato in Napoli dagli
Eminentissimi Arcivescovi; e sopratutto tenuto in credito presso li nostri
Sovrani. Fin da figliuolo spiccò in lui la pietà, e la Religione.
Arrivato in Napoli il
Ripa, si offerì con Alfonso a convivere in quella Congregazione, ed esser di
stimolo a giovanetti Cinesi, per maggiormente stringersi con Gesù Cristo.
Garantì per finche visse quest'opera del Ripa, e non stimavala che come parto
del proprio zelo.
Aggregato all'adunanza
dell'Apostoliche Missioni fu indefesso Operario, affaticandosi in Napoli, e
fuori per la gloria di Dio, e per lo bene delle anime. Eletto Canonico nel
Duomo di Napoli, era un luminare tra tutti gli altri, sempre zelante per la
disciplina ecclesiastica, e coll'onor di Dio avanti gli occhi.
Nicolò Borgia egli fu
che fondò quì in Napoli il Conservatorio, o sia Ritiro delle figlie Orfane di S. Vincenzo. Egli lo
pose in quella perfezione, che si vede; ed accudiva le figlie nello spirituale,
e nel temporale. Non essendo sufficienti le proprie forze, vedevasi di volta in
volta il sant'uomo accompagnato da poche di quelle girar Napoli colle bisaccie
in spalla, accattando il vivere, e sostentarle; ed ogni anno anche unito con
quelle girar i Casali di Napoli, ed altri paesi, anche una giornata in
distanza, procurando loro soccorso dai luoghi pii, e da divoti cittadini.
Da che si conobbero con
Alfonso addivennero un cuore, ed un anima; e se fu impegnato per l'opera del
Ripa, non fu meno sollecito - 264 -
per la nostra Congregazione. Egli in Napoli fu sempre a parte de' travagli
di Alfonso: accudivalo nelle Reali Secreterie; e spallegiavalo ne' Tribunali.
Egli assistette alle Eminentissimo Spinelli, dovendo prestar il voto per aversi
la Congregazione canonicamente approvata.
Spesso spesso, eletto
che fu Vescovo nella Cava, anche tra la settimana vedevasi in Nocera. Alfonso consigliavasi con
esso, ed egli con Alfonso. Per le Missioni in Diocesi non servivasi che de'
nostri Missionarii. Ai nostri affidò i Monasteri delle sacre Vergini, e dai
medesimi coltivato voleva il suo Seminario.
Ogn'anno, in tempo di Quaresima, era solito con buona parte del Clero ritirarsi
nella Casa di Ciorani. Non capiva in se il sant'uomo, vedendo il gran bene che
vi si operava. L'ultima volta, che ci fu, così scrisse ad Alfonso: "Io
sono quì stato con tutto il mio piacere, e con rammarico me ne parto. Benedico
il Signore Iddio, che ha dato a questo suo Istituto soggetti molto ben forniti
di dottrina e di spirito Apostolico. Mi pare che con verità possono dire, ex Deo,
et coram Deo in Christo loquimur. Predicano la perfezione Cristiana,
ed Ecclesiastica colle parole, e colle opere.
Traslatato per li suoi
meriti alla Chiesa di Aversa, voleva ogni anno come nella Cava, che i nostri
girato avessero la Diocesi; e quanto occorreva di spesa, tutto volevalo a conto
suo. Maggior afflizione egli non poteva provare talvolta, che vedendosi
escluso: sebbene Alfonso preferivalo sempre a qualunque de' Vescovi; e non
attrassavalo che per motivi troppo urgenti ed indispensabili.
Morì in Aversa questo
zelante Prelato, vero luminare di S. Chiesa, a sei di Aprile 1779, ma carico di
meriti, e compianto da tutti per le tante virtù che possedeva. Si compianse
anche da noi per le tante memorie di Alfonso, che con esso anche morirono.
I Padri della
Sacra Famiglia in Napoli, detti i Cinesi, grati anch'essi ad un sì
insigne
benefattore, han fatto la raccolta delle sue virtuose azioni, che, dandosi
alle
stampe, di certo saranno di incitamento agli Ecclesiastici, massime a Vescovi
per
imitarlo, e per disimpegnare i doveri del loro Ministero.
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