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Cap.42
Missione fatta da Alfonso in Benevento; sua gita in
Napoli: sue opere apostoliche, ed altre che diede alle stampe.
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Avanzato l'Autunno del
medesimo anno 1755 non fu lento Alfonso a portarsi colla Missione in Benevento.
Passando per Napoli
ritrovò sua Madre gravemente inferma; ma restò consolato vedendola non agitata
dai soliti suoi scrupoli, e tutta uniformata con Dio. - 265 -
La riconciliò, e per tre giorni la rese consolata
coi suoi detti. Non potendo differire la Missione, avendole chiesta l'ultima
benedizione, partì per Benevento. Questa divisione non fu di rammarico nè alla
Madre, nè al Figlio. Consolato partì Alfonso vedendo, che sortiva sua Madre la
morte de' giusti, e consolata restò D. Anna, considerando non esser lasciata
dal Figlio, che per guadagnare Anime a Gesù Cristo.
Fu Alfonso in Benevento
con altri venti de' suoi. Sorprendente fu il bene, che vi fece, e n'è peranche
viva la memoria. "
Non si sapeva in
Benevento, così il Canonico de Vita, di poi Vescovo di Rieti, cosa fossero i
veri uomini Apostolici, e cosa sa fare la grazia per mezzo di essi; ma si
sperimentò l'uno, e l'altro con la venuta del P. D. Alfonso. Tutto era zelo in
quel sant'uomo. I cuori più duri si vedevano fatti cera in sentire la sua voce.
Benevento si vide santificato: anche gli uomini facinorosi, che qui non
mancano, si videro agli altri di esempio. La sua voce non era troppo chiara,
perchè defaticato, e vecchio; ma compungeva, e spirava dell'odio al peccato nel
solo vedersi sulla Cattedra.
Terminata la Missione
nel Duomo, si aprì per maggior soddisfazione della Città in tre altre Chiese,
nè ci fu ceto, così conchiude il Canonico de Vita, che non profittasse delle
sue fatiche, mutato non si vedesse nel costume, ed invogliato alla frequenza de'
Sacramenti.
Così copioso fu il
frutto di questa Missione, che fe senso anche in Roma; e più di tutti se ne
dimostrò consolatissimo il S. Padre Benedetto XIV. Scrivendo ad Alfonso
l'Eminentissimo Orsini a' venti di Febrajo dell'anno susseguente, così si spiega:
"Martedì fui dal Papa, e mi fece un degno elogio della vostra persona, sì
per la pietà, che per la dottrina; e passò a discorrermi della bella Missione
fatta in Benevento. Finalmente mi assicurò, che avrebbe parlato efficacemente
al Duca di Cerisano, perchè si dasse da Sua Maestà l'Exequatur al Breve di conferma della vostra Congregazione.
Deplorando Alfonso
l'ignoranza, che regnava tra tanti del Clero, massime ne' luoghetti, e ville,
ed il bisogno delle Anime, non mancò andar incontro a questi due gran mali.
Volendo abilitare i
Preti meno dotti ad ascoltar le Confessioni, e veder soccorse le anime ne' loro
bisogni, ritirato che fu in Nocera diede fuori in lingua Italiana la sua Moral
Teologia, ristretta in tre tometti in ottavo. Impinguò quest'opera con nuove
dottrine; ci diede altro contorno; restrinse in accorcio con maggior chiarezza
i punti controvertiti, e v'aggiunse tre appendici, ma molto interessanti per la
guida dell'anime.
Fu tale l'applauso, con
cui quest'opera fu ricevuta nell'Italia, che oltre l'edizione di Napoli, se ne
contano di presente altre dieci in Venezia, e Bassano. Pervenuta la notizia al
di fuori dell'Italia, varie Nazioni riclamando - 266 -
presso il Remondini di voler godere anch'esso della
saviezza dell'Autore, costretto si vide Alfonso voltarla in latino,
intitolandola: Homo Apostolicus.
Varj affari della
Congregazione, fu la fine di Febrajo 1756 obbligarono Alfonso a portarsi in
Napoli; ma Iddio lo volle per altre opere di gloria sua. L'Eminentissimo Sersale
sapendo il dono di Dio, che egli aveva in compungere i cuori, vedendolo in
Napoli, pregollo voler dare a tutti li Chierici nel salone del suo Episcopio
gli santi Esercizj. Volendo Alfonso far l'opera compita, chiamò in sussidio da
Nocera il nostro Padre D. Gaetano Spera. Questo di mattina faceva il Catechismo
sopra i doveri del proprio stato, ed Alfonso di sera faceva la Predica. Per i
Chierici fu intimata l'opera; ma essendosi inteso, che il P. D. Alfonso dava
gli Santi Esercizj, più non ci volle per vedersi un concorso di Canonici, di
Missionarj Napoletani, e di Comunità intere di Regolari.
Mi accertò il medesimo
P. Spera che sorpassavano i mille. Sua Eminenza che ci assisteva, non finiva di
consolarsi per sì spontanea moltitudine. Anche i primi letterati rubavano il
tempo per approfittarsi delle sue Prediche. Tra gli altri non ci mancava D.
Giacomo Martorelli uomo ben noto per la sua letteratura. Confondevasi questi in
se stesso, ammirando in Alfonso la semplicità dello stile, e quella mozione straordinaria,
che sperimentava in se, ed osservavasi in ogni ceto. Era tale la contrizione,
che vedevansi chi schiaffeggiarsi, e chi batter la testa sopra de' scanni. E' Iddio che parla, diceva il
Martorelli, e non è l'uomo, che si
ascolta.
Sommo fu il frutto, che
si ricavò. Varj Confessori contestavano esserci state delle conversioni
strepitose. Un giovine dato aveva in eccessi tali, che qui non conviene
ridirli: compunto, volle che a gloria di Dio pubblicati si fossero dal proprio
Confessore.
Erano tre anni, che un Chierico, vedendosi in un profondo abisso di peccati,
non era per confessarli: ascoltando Alfonso, prese fiducia nella misericordia
di Dio: va, e si butta a suoi piedi terminata la predica del patrocinio di
Maria Santissima; ed a gloria della Vergine, volle che predicando l'avesse
manifestato. Si convertì ancora un altro giovinetto, che da molto tempo aveva
pratica, ed era tentato da una monaca. Questi si fanno, perchè essi medesimi
vollero si facessero noti i loro eccessi, per animare gli altri a confidare in
Maria Santissima, e nella misericordia di Dio.
Tanti e tanti ancora
abbracciarono lo stato Religioso, o si diedero ad un vivere stretto, e
mortificato.
Molti giovanetti, in
quell'ordinazione essendo per ascendere a sacri ordini, Alfonso avendoli tutti
uniti, fece loro una particolare predica istruttiva sopra la santità degli
Ordini, la disposizione, che ricercavano, e quale condotta di vita tener
dovevasi dopo essersi ordinato. Animò tutti a meditare giornalmente la passione
di Gesù Cristo, - 267 -
se
volevano mantenersi in grazia, ed a praticare una special divozione verso Maria
Santissima; che comunicati si fossero ogni otto giorni, e visitassero ogni sera
il SS. Sacramento.
Facendoli compassione
la servitù del Cardinale, e quella del Seminario, non avendo tempo questi di
ascoltare la divina parola, una sera, non eccettuando li più vili facchini,
avendoli tutti radunati, istruilli sopra i doveri del proprio stato.
Quest'acqua fu tale, che penetrò le ossa di que' poveretti. Troppo sensibile fu
l'emenda. Più non s'intese in bocca loro bestemmia, o parolaccia indegna.
Attenti si videro al proprio disimpegno, e rubare il tempo per raccomandarsi a
Dio, e frequentare i Sacramenti. L'Eminentissimo Sersale ancora piange, vedendo
così remessa la servitù, e divenuta di tanta edificazione.
La venerazione, che in
questo tempo si ebbe per esso fu tale, che faceva stupore ai medesimi, che lo
veneravano. Canonici, e Capi d'Ordini, anzi Vescovi preoccupavano la porta della
sala, per aver la sorte di baciargli la mano.
Alfonso confondevasi in se stesso; e non sapendo come nascondersi, avvolgevasi
in modo nella cappa, che appena se gli vedeva parte del volto. Una mattina
essendo entrato nell'anticamera del Cardinale, Monsignor Innocenzo Sanseverino,
che in quel tempo era Vicario in Napoli, fu il primo a baciarli la mano; ne
minor rispetto, e venerazione se gli dimostrava dall'eminentissimo Sersale.
Terminati questi
Esercizj, si ritrovò Alfonso in un fuoco di riverbero. Furono tali le richieste
de Parochi, e de Prefetti delle Chiese, che non sapeva a chi prima
compromettersi. Per compiacer tutti, ove si compromise per un triduo, ed ove
per un altro. Sua Eminenza, vedendo rimessa la gioventù in seminario, e
volendola veder confirmata nel bene, volle, che nella settimana portato si
fosse più volte a far un sermone nel Convitto degli Ordinandi in Sacris da esso aperto. Così
l'astrinsero i Rettori del Seminario Urbano, e dell'altro detto Diocesano.
Vedevasi così affollato, che in diversi luoghi replicar dovette le prediche le
due, e tre volte nel medesimo giorno.
Anch'esse le Caustrali
lo tennero esercitato. Varj Monasterj vollero sentire la sua voce, e furono
soddisfatte. Invitato dalle Religiose di S. Francesco di Sales a celebrare
nella loro Chiesa, si scusò. Cert'inviti di pura cerimonia, o di sterile
divozione, non erano graditi da Alfonso: richiesto per un sermone, le
compiacque. Così le Monache di Regina Coeli, così altre che non sovvengono; e
chi consolò con un triduo, e chi con un sermone.
In Casa, o non vi si
fermava, o non vi era respiro per esso. Cavalieri, e Togati, i Preti, e
Regolari; Vescovi, ed Arcivescovi, chi andava, e chi veniva; non
ritrovandovelo, ritornar si vedevano le due, e tre volte.
Uno di questi fu Ettore
Carafa, Duca d'Andria. - 268 -
Non
avendo potuto arrivare a discorrerci, lo aspettò per le Chiese; ed a stento li
conferì i bisogni di sua coscienza in un angolo di quella di S. Restituta. Rimase così preso di sua
affabilità, che spesso spesso in seguito era a ritrovarlo in Nocera.
Napoli, come tutte le
Capitali, anch'essa in quel tempo, non era esente da gravi disordini. Tutto era
di afflizione per Alfonso; ma soprattutto trafiggevali il cuore un certo timore
di vederci passato il micidiale libertinaggio, che da miscredenti Materialisti,
e Deisti, vedevasi avanzato nell'Italia a danno della Religione, e delle Anime.
Trattando coll'Eminentissimo Sersale ne deplorava le triste conseguenze, che
prevedeva nella Chiesa, e nello stato. Piangeva Alfonso, ed avrebbe voluto
darci del riparo anche a costo del proprio sangue. Esagerò col medesimo non
una, ma più volte il grave danno, che risultar poteva nella Capitale, e nel
Regno dalla intromissione, e lettura de libri empi, che da Napoli con danno della
Fede, e del costume vedevansi passare nelle Provincie. Animò il Cardinale a
volersi armar di zelo, facendone parola col Re, e coi Ministri di Stato.
Quest'istesso, affinchè abborrita si fosse tal peste di libri, avvertì nelle
prediche, condannando di colpa grave chiunque de' librai li smaltisse, e
chiunque aveali in propria casa.
Volendo andar incontro
ad un tanto male, non mancava prevenirne chiunque poteva darci del riparo.
Un giorno avendo unito
i più rispettabili del Clero, massime un buon numero di Confessori, sessionò
con essi sopra lo stato della Città, proponendo varj mezzi, come render cauti i
penitenti contro li miscredenti. Una notte, mi disse il P. Corsano, che con
esso trattenevasi, non prese sonno, facendosegli presente la rovina della Religione,
e la perdita delle anime. Povero Napoli, ripeteva,
levandosi di letto la mattina, povero
Napoli io ti piango. Sollecito fu ben presto dal Cardinale, facendolo
carico sempre più del gran male, che la miscredenza poteva fare in Napoli.
Avendo inteso essersi
raffreddata, anzi quasi dismessa nel Convento di S. Lorenzo la grand'opera, che
dal Canonico Amoretti erasi stabilita dell'unione de giovanetti, ne pianse per
dolore. Sessionando con varj del Clero, come ho detto, queste piante, disse,
debbonsi coltivare. Il maggior bene, ed il maggior male della Città, e delle
Provincie, non dipende che dalla gioventù. Se questa è scostumata, il Mondo è
rovinato. Animò, anzi si fece di fuoco con due buoni Sacerdoti, che
potevano rimettere quest'opera, e nol facevano.
In questo tempo diede
alle stampe Alfonso la sua dotta Dissertazione in difesa della Religione, e
dello stato, contro i miscredenti Materialisti, e Deisti. E divisa quest'Opera
in due parti.
Nella prima, prova
contro li Materialisti, la necessità di un Principio Creatore del tutto. - 269 -
Confuta il mostruoso
sistema di Benedetto Spinoza, e tratta dell'esistenza di un Dio, prima cagione
di tutte le cose, ed infinito nelle sue perfezioni.
Prova nella seconda, contro li Deisti, la verità della Religione rivelata: la
divinità delle Sacre Scritture; così degli errori di Bercley, Leibenzio, e
Wolfio, ed altri moderni, che attaccano la spiritualità dell'anima,
comprovandone l'immoralità, e con questo l'eternità del premio, o della pena
nella vita futura.
Quest'opera fu ricevuta con grand'applauso; ed è
"di tal nerbo, così si spiega il Canonico D Giuseppe Sparano, che
schiaccia tutto il veleno della miscredenza: sovverte li deliramenti de nemici
della Chiesa; e mette in chiaro prospetto tutte le verità di nostra S.
Religione; ea est, qua incredulitatis
virus in dies latius serpens, obtundit: hostium commenta subvertit; ac nostra
Religionis veritates luculenter axponit. E' tale, che non v'è cosa, che
manchi: In ea nihil desideratur, quod non
sit compre, utiliter, ac erudite peractum. Benchè vi siano, ei dice, molti
Autori, che diffusamente trattino questa materia, tuttavolta questa
Dissertazione era necessaria per gli ingegni deboli, e corti, che con più
facilità possono esser ingannati.
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