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Cap.44
Destina Alfonso per le Calabrie un corpo de' suoi
Missionarii: Conversioni che vi furono; ed altre sue Opere in beneficio delle
Anime.
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Troppo rumore facevano
per ogni dove del Regno le nostre Missioni; e troppo famoso erasi reso il nome
di Alfonso.
A riserba delle
Calabrie, tutte le altre Provincie erano a parte delle fatiche de' nostri
Missionarj. Carmine Ventapane, nativo di Maratea, ed in Napoli uno de' primi
professori in Medicina, persona molto zelante, e facoltosa, considerando
l'abbandono, in cui stavano le Calabrie, ed il gran bisogno dell'Anime, entrò
nell'impegno, e fece richiesta di mandarvi a conto proprio le nostre Missioni.
Ne godette Alfonso
conoscendo anch'egli il bisogno di quelle Provincie; anzi pregavane Iddio da
molto tempo: a volervi aprire la strada, con qualche straordinaria provvidenza,
in sollievo di quei naturali. Concertato il tutto col Ventapane, vi spedì nel novembre
del 1756, con suo sommo compiacimento, un grosso distaccamento de' suoi Operaj.
Non è da credersi
l'applauso, e con quanta venerazione furono i nostri ricevuti non meno da
Popoli, che da Vescovi. A prima aggiunta si predicò la penitenza in Maratea,
Patria del Ventapane. In seguito essendo stati invitati i nostri da Monsignor
Miceli, furono in Cassano, e in altri luoghi di quella Diocesi tutti i
bisognosi, come in Scalea, Mormando, Castelluccia, Tortera, ed Ajeta. Spedita
l'ultima Missione, e dati in dietro i Missionarj, si diede di piglio di mano in
mano, ma con minor numero di Prediche, al rinnovamento dello spirito in ogni
paese; e chi fu tocco da Dio nella Missione, e non corrispose, ravveduto si
vide, in queste prediche.
Non vi fu luogo, ove non
vi furono delle molte, ma strepitose conversioni. La grazia facendo strada alla
penitenza, si vedevano i maggiori peccatori umiliati, e compunti. Centinaia di
male donne abborrirono il peccato: scandali gravi si videro tolti anche tra
Preti: molti secolari entrati in se stessi, e conoscendo il loro gran male, si
flagellarono in maniera, che vittime della penitenza, morirono nelle medesime
Missioni.
Consolavasi Alfonso
venendo riscontrato dai suoi de' progressi, che operava la grazia tra quei
luoghi così abbandonati.
Tra i tanti, lo fe
piangere per tenerezza, la conversione di un persona principesca. Si vedeva
questi da tanti anni pubblicamente infangato non con una, ma con più donne, e
ricevuto n'aveva molti figli. Una sera, essendosi portato in Chiesa, non per
approfittarsi; ma per censurare e burlarsi - 273 -
de' Missionarj, la grazia lo colpì in maniera, che restò vittima della
Misericordia.
Convertito, diede bando
a tutte le drude: cercò scusa al popolo, per gli scandali dati: licenziò la
servitù, che gli era di tracollo; e si ridusse in casa con un solo servitore.
Questa conversione, non solo in quel paese, ma nel vicinato ancora, fu il
richiamo di tante altre. Talmente si diede alla vera divozione questo
Cavaliere, che Chiesa, e casa facevano la sua dimora: fu costante nella
risoluzione: visse lungo tempo da vero penitente, e come un Santo venne
compianto in morte da quei naturali.
In atto, che i nostri
si affaticavano nelle Calabrie, ed altri nelle respestive Provincie in
beneficio di varie Diocesi, Alfonso in Nocera non lasciò in pace il peccato.
Conoscendo bisognosa Mons. Cioffi di spirituale ajuto la sua città di Amalfi,
invitollo colla S. Missione. Non era ignoto in quella Città di suo zelo, e i
doni di Dio che possedeva. Subito partito il distaccamento per le Calabrie,
Alfonso si portò in Amalfi con altri quattordeci de' suoi.
Benedisse Iddio questa
Missione con un modo tutto particolare. Tra l'altro vi erano due interi vichi
di donne prostitute, uno chiamato S. Maria Maggiore, e l'altro Vagliendola.
Queste non solo rovinavano la Città, ma facevano il tracollo anche a'
forestieri.
Mi attestano il Paroco
D. Francesco de Stefano, ed il Canonico de Luca, che quante ve n'erano di
queste disgraziate donne, tutte si videro convertite, e perseverare nel loro
ravvedimento. Angiola Bonito, che più di tutte rubava Anime a Cristo, fu così
costante, che in seguito si comunicava quasi ogni giorno. Mi disse il Paroco D.
Giuseppe Panza, che se altro bene non avesse fatto Alfonso, questo solo è il
massimo de' suoi miracoli.
Inimicizia fiera vi
era, e tale che tutto giorno si dubitava di sangue, tra i Cavalieri D.
Francesco, D. Giuseppe, e D. Bartolomeo Pisani, uniti con D. Nicola Amendola, e
D. Domenico de Luca, contro D. Pascale Torre, D. Andrea, e D. Francesco
Massari. Persone di riguardo vi si erano straposte, ma inutilmente. Alfonso li
riconciliò prima con Dio, e poi tra di loro. Fu così sincera la
riconciliazione, che si stimò prodigiosa in tutta la Costa.
In tutte le strade di
Amalfi erano così comuni i tamburrelli, e le chitarre, che mantenevano delle
scandalose danze tra zitelle, e giovanetti. Tutto era libertinaggio, e
sfacciataggine. Avendo inveito Alfonso contro questo disordine, si videro
giovanetti e giovanette fare un falò avanti il Duomo di questi tanti
istrumenti; ne mancarono far lo stesso, a vista di tutti, anche le figlie del
Cavaliere D. Giovanni d'Afflitto.
Non sapevano le donne
in Amalfi, cosa fosse, andandosi in Chiesa, il fazzoletto in testa, nè
vergognavansi andarci col petto aperto, - 274 -
e denudato. Alfonso rilevò con tanto zelo sì fatta immodestia, che più non
si vide tale indecenza, specialmente nelle gentildonne.
La gioventù donnesca,
come dissi, vedevasi troppo mal guidata. Alfonso ne formò una particolar Congregazione.
Ve ne concorsero anche dai luoghi adiacenti, e non erano meno di trecento, e
più. Prescrisse loro, colla frequenza de' Sacramenti, altre pratiche di pietà,
e ne affidò la cura all'istesso Monsignor Cioffi.
Non s'intese più per quelle campagne una canzona profana, ma rosarj, ed inni di
lode a Gesù, ed a Maria. Era tale la loro condotta, che Monsignore ne piangeva
per tenerezza: quando venni quì, disse
loro un giorno, mi sembravate tante
cavalle sfrenate: ma in questo stato, che vi vedo, siete venute a quel
sant'uomo del Padre Liguori: perseverate, che Iddio non mancherà benedirvi. Tante
passate a marito, mi si attesta, che anche di presente frequentano i
Sacramenti, e vivono con somma esemplarità.
Amalfi si vide
santificata, ed il bene fu anche costante. Essendosi portati a capo di tempo
colla Missione il Padre Coccoreso Pio Operario: Noi, disse, abbiamo girato
molti luoghi del Regno, ma non abbiamo trovato Città costumata come questa.
Siete molto tenuti a Dio, e poi al Padre Liguori, che come sento, vi ha posto
in questo stato.
Non posso omettere, tra
le cose sorprendenti accadute in Amalfi, un contesto di Dio, di quanto gradiva
il ministero di Alfonso, ed un suo vaticinio, perchè memorabili tutti e due.
Una delle sere, e
contestavasi questo da persone d'intera fede, come mi fu attestato dal medesimo
Paroco di Stefano, dal Canonico de Luca, e da altri, fu veduto Alfonso
predicare in Chiesa, in atto che stava confessando in Casa: vale a dire, che un
Angiolo, volendo dar pabulo al suo zelo, in accogliere i peccatori, supplir
dovette in Cattedra le sue veci. Il vaticinio anche a tutti fu patente.
L'ultima sera, incaricando al popolo, la santa perseveranza: Noi, disse, abbiamo sudato, e fatigato, ma dimani, partiti che saremo, calerà in
piazza un demonio dalla Ferrara (intendeva una bufola dalla selva) che rovinerà il frutto della Missione.
Tremate di guardarlo, che non vi manca in castigo un terremoto.
Verso le ore diciannove già calò la bufola, ed il popolo ne intrecciava la
caccia. Non così si videro le prime mosse, che una scossa di terremoto, ma
forte, sorprese la Città. Spaventato il popolo si rifugiò in Chiesa. Monsignor
Cioffi vi accorse, e rinvancando la predizione di Alfonso, ed il disprezzo già
fatto, asseconda un'altra scossa, ma tale, che rovesciò frasche, e candelieri
Monsignore spaventato anch'egli impose a' Preti assolversi ogn'uno.
Con questo restò
consumato il frutto della Missione, ed autenticata in Amalfi la santità di
Alfonso.
Da Amalfi passò in
Nola. Dato avea in cattivo senso, tra questo tempo, quel fioritissimo
Seminario.
Sono quasi irreparabili
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gli sconcerti delle
Comunità, se a tempo non sono riparati. Stravolti di capo quei tanti
Giovanetti, non ci era per essi nè legge divina, nè umana. Avendoci dato gli S.
Esercizj il P. Mangiardi, Superiore in Napoli della Casa della Missione, non
cantò che al sordo. Si avvanzò a segno il disordine, che volendoci dar riparo,
in mancanza del Rettore, il Canonico D. Nicola Crisci Vicerettore, si meditava,
come si seppe, affascinarlo, e toglierlo dal mondo. Ne piangeva Monsignor
Caracciolo, benchè non comprendesse tutto il male.
Temendosi di peggio, s'invitò Alfonso. Troppo grande era l'idea del gran
dominio che egli avea sopra i cuori. Ci fu; ma più sere anch'egli bajò alla
Luna. Le massime più sacrosante di eternità, e d'Inferno erano l'oggetto della
comune ricreazione. Facendosi eco alla sua voce, ogn'uno guastava il tuono
delle parole, e ne contrafaceva anche il gesto.
Non mancava Monsignor
Cracciolo poter conseguire col dolce l'emenda. Disperato il caso, e
conoscendoci Alfonso necessario il rigore, Monsignor
mio, li disse, sapete, quanti Vescovi
vanno dannati per causa de' Seminari? Questo accaderà anche a voi, se non
mutate sistema, e col vigore non date riparo anche al vostro.
Seguitando intanto le
prediche, quello, che non ottenne colla parola, l'ottenne Alfonso col gemito
della colomba. Non ancora terminati gli Santi Esercizj, benchè tra le derisioni
del Predicatore, e tra le beffe delle cose eterne, un inaspettato terrore,
senza sapersi il perchè, occupò gli animi di tutti.
Quattro de' Capi
congiurati contra il Crisci si posero in fuga; altri da se si licenziarono dal
Seminario; ed altri si viddero umiliati, e pentiti. Mossa così inaspettata, mi dissero il Sant'uomo Saverio Ruopoli,
ed il Paroco di Scafati, non ad altri si
attribuì che alla penitenza, ed alle orazioni di Alfonso.
Generale fu la riforma.
Piantò in comune di mattino la meditazione delle Cose eterne; ci situò il
Venerabile; e di sera ci stabilì la visita al Sacramento in ora determinata.
Promosse la divozione verso Maria Santissima, e Visita e Rosario anche in
comune. Prese piede nel Seminario la mortificazione cristiana, tanto necessaria
a giovanetti, ma discreta, e regolata. Invogliò tutti alla frequenza de'
Sacramenti; ed in seguito tanti e tanti, anche i più discoli, che eransi
rimasti si accostavano alla Comunione le più volte nella settimana.
Prescrisse delle Novene
in onore di Gesù Cristo, e di Maria Santissima, e varie pratiche di pietà,
coll'esposizione del Venerabile, e de' discorsi familiari in loro onore. Così
ogni mese un giorno di ritiramento, per raccogliersi i Giovanetti, e
rinvigorirsi nello spirito.
Riformato il costume in
Seminario, rifiorite si viddero anche le lettere. E' noto il gran profitto
fatto in seguito dai Giovanetti in tutte le facoltà, e quanti uomini dotti il
Seminario di Nola ha dato, e sta dando alla Chiesa, ed allo Stato. Generalmente
di questo gran bene, - 276 -
e
così permanente, se ne volle autore Alfonso, come mi contestava anche il
Crisci. Ebbe egli per quest'opera, per finchè visse, una special protezione.
Più volte ci ritornò di persona, e non potendo per se, suppliva collo zelo de'
suoi, che almeno ogni anno erano per darvi li S. Esercizj.
Essendosi disbrigato,
ma tutto contento da Nola, passò Alfonso nalla Diocesi di Cerreto. Monsignor
Gentile, che da Vicario di Salerno sperimentato avea il di lui zelo, anche lo
volle a beneficio de' suoi Diocesani.
Troppo saporito è
quello, li accadde in Casa di quel Vescovo. Ivi giunto, pregò entrando nella
sala, un servidore, che stava spazzando, di far sentire a Monsignore esser
venuto D. Alfonso Liguori.
Non conoscendolo il
servitore, e vedendolo con un centone di pezze per cappa, lacero nella tonaca,
e con una barbaccia da romito, seguitando a spazzare, non gli diede udienza.
Ricordandocelo di nuovo, sgarbatamente se ne uscì con uno adesso, adesso; ed essendosi avvicinato spazzando, ov'egli ne stava
seduto, con grazia li disse: Lo vedete: e
nemmeno vi volete alzare. Si leva Alfonso dallo scanno, senza punto
risentirsi, e di nuovo, come lo vide disbrigato, lo ripregò dell'imbasciata.
Dimentico del nome il
servitore, disse a Monsignore, esserci fuori uno straccione di Prete che lo
voleva. Dimandate, li disse, chi è, e che vuole. In sentir Monsignore Alfonso
Liguori, resta sorpreso; e non sapendo come presto comporsi (era egli in veste
da Camera), sollecito e tutto affannato, a chi cerca da vestire, a chi le
scarpe, a chi la parrucca, a chi la crocetta.
Vedendo il servitore
agitato Monsignore, e sapendo il tratto già usato, scappa, e va a nascondersi.
Non si diede per inteso Alfonso, ma volendo dir Messa, chiama Monsignore il
servitore, e non si trova: richiamato, si butta cercando scusa, ai piedi di
Alfonso. Stupisce Monsignore, non sapendo il perchè: ma piangendo, confessa il
servitore il complimento già fatto; Alfonso bensì se ne sbrigò con un sorriso
tutto piacevole.
Tal senso fece nel
servitore questo rincontro, che per finchè visse, non mancò predicare, e far
noto a tutti una tanta umiltà in Alfonso, ed una abjezione così grande, che in
esso sperimentato aveva.
Defatigato che fosse,
maggiori furono le fatiche, che, in tempo di Quaresima, si addossò in Napoli.
Chiamato da varj Rettori delle Chiese, non potette non compiacerli. Note non ci
sono le varie opere che intraprese, ma si seppe che furono molte, e che furono
a fascio le conversioni di gente invecchiata nel peccato. Consolò ancora
Conservatorj, e Monasterj, che maggiormente infervorò nell'osservanza regolare,
e nella frequenza de' Sacramenti.
Anche in Napoli non
mancava aver presente, e farsi carico de' bisogni de' suoi penitenti in Nocera.
Abbiamo cosa che
sorprende. - 277 -
Aveva egli
tolta dal peccato una donna da partito, ed ogni Sabato la soccorteva con un
tanto. Essendo venuta questa poveretta per la solita limosina una mattina, che
pazientasse le disse il portinajo, perchè il Padre D. Alfonso ritrovavasi
partito per Napoli. Afflitta la donna entra in Chiesa, raccomandandosi a Dio
non sò se più per il corpo, o per l'anima. Mentre così dolente affliggevasi per
lo sussidio mancato, si vede chiamata da Alfonso alla porta della sagrestia: le
dà la solita limosina; e licenziandola, l'incoraggisce ad esser fedele con Dio.
Sarebbe restato sepolto
il portento, se dalla donna non si fosse manifestato. Uscendo questa di Chiesa
e vedendo il portinajo, come, li
disse, siete Santi, e dite bugie? mi
avete detto che D. Alfonso è in Napoli, quando sta quì. Non sapete, che vi
dire, rispose il portinajo: come nò,
ripigliò la donna, se poco prima è
calato, e mi ha data la limosina, e così dicendo fe mostre del denaro, che
aveva in mano. Resta stupito il portinajo: ferma la donna, e ne dà parte al
Rettore.
Esaminata questa dai
Padri Margotta, e Ferrari, dal Rettore, e da altri, si rilevò che Alfonso
operando in Napoli, operava collo spirito anche in Nocera. Tutto fu allegrezza
in casa; ed unito il Rettore col Padre Margotta, ed altri si portarono nell'istante
a darne parte nel Noviziato, e da tutti se ne resero le grazie a Dio.
Verso la fine di Maggio
ritornarono i nostri dalle Calabrie. Consolavasi Alfonso vedendo pescare in
alto mare la sua picciola navicella, e ritrarre de' pesci in quantità, e nelle qualità
eccellenti.
Ma non così furono
giunti in Nocera, che affollato si vide, con doppia consolazione dalle
replicate lettere di ringraziamento, e dalle tante suppliche de' poveri
Calabresi, che abbandonati e famelici, cercavano, e non avevano il pane Evangelico.
Questo gran bene operato in Calabria, non solò impegnò il Ventapane per altre
Missioni, ma commosse ancora il cuore del Religioso Principe D. Giambattista
Filomarino. Anche questi chiese delle Missioni, a conto suo, anzioso di vedere
illuminati nella Calabria Ulteriore i tanti suoi abbandonati vassalli.
Compiacque Alfonso e l'uno, e l'altro, e nel Novembre
del 1757 non mancò destinarvi altri Soggetti: ma prima di licenziarli, li
radunò in Chiesa, ed esposta la
sacra
Piside, li volle tutti benedetti, consolandosi, e quali invidiandoli che
portavansi
a
far guerra al peccato anche in luoghi così remoti.
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