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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.48 Altra lettera di Alfonso a tutti i suoi Congregati.
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Cap.48

Altra lettera di Alfonso a tutti i suoi Congregati.

 


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Non voglio omettere, tra questo tempo, in data de' 13 di Agosto, un'altra lettera di Alfonso ai suoi, già avanzato negli anni, perchè ripiena di salutari sentimenti, e perchè ultima, prima che asceso fosse al grado Vescovile. Ha per scopo questa lettera, confirmare maggiormente i suoi nella vocazione da Dio ricevuta, e per andar in contro a qualche diabolica suggestione, che taluno avesse di abbandonarla.

 

Viva GesùMaria, Giuseppe, e Teresa.

 

"Padri, e fratelli miei: procuriamo tutti tener sempre avanti gli occhi la fine beata, che hanno fatto tanti nostri fratelli defunti Chierici, e Padri, e così la fine di molti altri, che ancora vivono, e piangono, ma vivono fuori della Congregazione. Che se taluno di loro non piangesse, e se ne compiacesse, questi sarebbe più degno di compassione, e di pianto. Stiamo attenti, perchè i difetti replicati, de quali non hanno fatto conto, sono stati la causa della lor rovina, con far loro perdere la vocazione.

Sappiamo tutti, che non darò mai la dispensa de' voti, posso darla in coscienza a chi senza causa necessaria, e giusta me la dimanda; ma questa giustizia, o necessità non si ha da giudicare dal soggetto, il quale trovandosi nella passione, non farà egli, ma la passione, che giudica. Rinnovo perciò a ciascuno l'obbedienza formale, sotto colpa grave, di non partire dalla Congregazione senza mia licenza.

Intenda ognuno, che chi senza giusta causa cerca la dispensa de' voti, ma per capriccio, o passione, allora nello stesso atto si rende indegno di star più in Congregazione; e giustamente può esserne cacciato, anche contro sua voglia. L'esempio di quel fratello, già noto a tutti, ed uscito senza licenza, che da tanti mesi vive, e seguita a vivere in disgrazia di Dio, senza trovar chi l'assolva, deve far tremar tutti, che hanno timore del peccato. Stiamo attenti a comunicar subito la tentazione, quando si affaccia a coloro, che sappiamo, che ci ajutano.

Persuadiamoci, che per ognuno di noi la tentazione contro la vocazione è la tentazione più dannosa, che può darci il demonio, per le conseguenze che ne vengono. Perciò ciascuno ogni giorno cerchi con modo particolare nella visita al Santissimo Sacramento, ed a Maria Santissima, la perseveranza nella vocazione.


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Raccomando questo ad ognuno in particolare; e niuno si fidi de' suoi propositi, e sentimenti. Quando viene la passione, si perde la luce, ed ogni cosa si muta. Quello che ho veduto in altri, dico la verità, mi fa tremare d'ognuno.

Desiderando egli un totale distacco da parenti, non permetteva, che taluno, anche trovandosi indisposto, portato si fosse in casa di quelli per ripigliarsi in salute. "Se si va sano di spirito, ei diceva, ed infermo di corpo, ci ritorna non sano di corpo, ed infermo nello spirito. Con questa lettera ne fa carico i novelli Congregati.
Sappiano tutti, ei dice, e specialmente i giovani, esser difetto notabilissimo, cercare in caso d'infermità, l'andare all'aria nativa. A chi vive in comunità osservante, l'esperienza universale insegna, che l'aria della Patria, e della casa propria, è aria impestata per lo spirito, e per la vocazione. Sappia pertanto ognuno, che dovendosi mutar aria, per ordine de' medici, i Superiori stimandolo, lo manderanno a qualche altra aria delle diverse case, che noi abbiamo; ed ognuno si tolga il pensiero di andare in altra stanza fuori delle nostre case, perchè l'esperienza ha fatto vedere, quanti disordini, e tentazioni può indurre l'indulgenza sopra questo punto.

 

Se in caso di propria infermità non permetteva Alfonso il portarsi in casa de' parenti, molto più aveva in orrore, che andato vi si fosse per puro complimento. Egli aveva per quasi perduto un soggetto, fervoroso che fosse, ancorchè dimorato vi avesse solo per un ora.

Anche in questa lettera fa carico di ciò la gioventù. "Ricordo a tutti, così egli, non esser permesso a veruno l'andare nelle case de' secolari, e tanto meno de' parenti, senza giusta causa, ed espressa licenza, come dice la Regola; ed io voglio, che questa regola si osservi con maggior rigore delle altre. Solo in caso d'infermità mortale di Padre, o Madre permette la regola l'andare in casa propria; ma più d'un soggetto in tal caso ha mandato a dire al Padre, o Madre moribonda, che la sua visita, o assistenza non era necessaria, giovevole, se non per accrescere la passione, e che non avrebbe mancato raccomandarlo a Dio. Così si sono astenuti di andar in casa; e di tali soggetti io ne sono restato molto edificato. E' certo, che allora hanno dato molto gusto a Dio, sì per la mortificazione di se stessi, che per lo buono esempio dato agli altri.

 

Avendo a cuore, come tante volte ho detto, subordinazione somma de' soggetti a respettivi Superiori di nuovo replico, e raccomando a tutti, ei dice, l'ubbidienza ad ognuno, che è Superiore in casa, almeno per ragion dell'officio, ha chi si sia, e sia il fratello più intimo della Congregazione. Così si vede chi è veramente ubbidiente. Io non mi edifico tanto dell'obbedienza che si porta a me,


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quanto di quella che si porta a Rettori Locali, Prefetti, e Ministri, o altri Officiali, che presiedono in qualche incombenza agli altri. Nell'ubbidienza si manca. Spero a Dio, che per l'avvenire alcune cose, che circa di questo mi hanno dato disgusto, non succedano più.

L'ubbidienza è quella sola, che può conservar la Congregazione, e che vi sia spirito; e l'ubbidienza ad ognuno, torno a dire, che sta in luogo di Superiore, altrimenti è finita la Congregazione. Tutti i difetti possono più facilmente perdonarsi, ma non questi contro l'ubbidienza.

 

Rileva similmente quanto li fosse cara la Povertà, e ne incarica li Superiori, anche per ogni minuzia, che potesse offenderla. "Non meno gravi, così seguita a dire, sono i difetti contro la Povertà. Raccomando a tutti i Superiori, che quando ad un soggetto è donata qualche cosa per carità, come tabacchiera, papalina, fazzoletto, calzette, e simili, non gliene dia l'uso, ma li dia, bisognando, altra cosa simile.
Questo è necessario per mantenere la purità della Povertà, e vita comune, altrimenti può aprirsi qualche porta per distrugger la Povertà, che è quell'altra virtù, che mantiene lo spirito della Congregazione. In quanto alle vesti, sottana, zimarra, e mantello procurino i Superiori, quando sono vecchie, e lacere in qualche parte, farvi aggiungere le pezze, fin tanto che ne sono capaci. Povera Congregazione! quando giungerà il tempo, che i soggetti, si vergogneranno comparir rappezzati. Non vorrei, che questa disgrazia si avesse fin da ora incominciare a piangere.

Que' Padri, che tengono le bisacce colla chiave, uscendo in Missione, o standosi in casa, voglio, che aprino le bisacce, e si tengono sempre aperte, per potersi vedere da Superiori, sempre che vogliono, altrimenti potrebbe ognuno tener delle cose chiuse. Di nuovo raccomando a tutti consegnare le restituzioni incerte al Superiore della Missione, quando si sta in Missione, o al Superior della casa, quando si sta in casa.

 

Volendo animar ognuno per esporgli i proprj bisogni, e scrivergli liberamente, sempre che si volesse, così prosiegue: "dico in quanto a me, e torno a dire, che volendo alcuno, mi scriva liberamente, quando vuole, e si tolga ognuno l'apprensione, che mi sia di tedio, e che m'impedisca la stampa. Io sono obbligato, come Superiore, a sentire, e leggere le lettere del minimo fratello della Congregazione, ma non sono obbligato a stampare.


Nella stampa di qualche operetta non posso impiegarvi altro tempo, se non quello, che mi avanza, e che debbo metter a sentire, e rispondere alle lettere. Se alcuno con tutto ciò volesse lasciare di parlarmi, o di scrivermi per bene suo, o della Congregazione, io ce lo metto a scrupolo di coscienza, e ne li dimanderò conto nel giorno del giudizio. Mi protesto, che sopra questo


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punto, se ora stessi per morire, non vi ho scrupolo alcuno. Quando occorre, che alcuno viene a parlarmi, o mi scrive di cose appartenenti a se, o alla Congregazione, io lascio tutto.
Non rispondo di mano propria, perchè ora, dopo l'ultima infermità, non mi regge la testa a scrivere, e quando il soggetto non vuol essere scoperto, io procuro non farlo sapere neppure a chi scrive, facendo io la soprascritta; e bisognando, mi sforzo almeno a poco a poco scrivere tutto di mano propria.

 

Finalmente raccomando a tutti, ei dice, altre cose in generale. Prego, che si dica con gravità la Messa. Noi predichiamo agli altri, e non conviene, che gli altri predichino a noi. Quando vien fatta a soggetti dal Rettore Maggiore, o da altri Superiori qualche correzione, niuno vada indagando, con domande suggestive, chi sia stato, che abbia avvisato i Superiori di qualche difetto, o sconcerto sortito. Di questa maniera s'impedirebbe il bene comune, mentre alcuni per timore di non saper che rispondere, se sono interrogati, lasciano avvisare i Superiori, come debbono; proibisco ciò specialmente a quei soggetti assegnati per zelatori, o per ispettori secreti.

Avvertisco di nuovo, che uscendosi a predicare così nelle Novene, come ne' Tridui, Esercizj particolari, e simili, che circa il vitto si osservi lo stesso, che nelle Missioni. Ciò specialmente, raccomando a chi è destinato per Superiore, perchè io da esso ne voglio conto, ed a lui sarà imposta la penitenza. Abbraccio tutti in Gesù Cristo Viva Gesù, Maria, Giuseppe, e Teresa. Fratello Alfonso del Santissimo Redentore".

Non altrimenti egli invigilava, e teneva ricordati i suoi per l'esatta osservanza delle Regole, e per animar tutti all'esercizio delle virtù cristiane, massime di quelle che specialmente erano più addette al proprio ministero.

Questi erano avisi in comune, per eccitar in tutti un maggior fervore; ma non mancava con particolari lettere correggere ognuno, che manchevole si stimasse, e degno di correzione.

 




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