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Cap.49
Destino de' Nostri per la Sicilia, ed altre opere di
Alfonso in Napoli, ed altrove.
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Assodate le cose con
Monsignor Lucchesi per la fondazione di Girgenti, ed ottenuto il beneplacito Reale
da Reggenti dell'Infante D. Ferdinando, Alfonso verso la metà di Settembre del
1761 spedì una Colonia de' suoi, e destinò Superiore per quella nuova Casa il
P. D Pietro Blasucci, col P. D. Francesco Pentimalli, ed altri due de' nostri. - 281 -
Non poteva il demonio
non amareggiare questa di lui consolazione; nè soffrire con pace a suo danno un
sì fatto distaccamento.
Il tempo fu tutto
prospero per la navigazione, ed il legno era a vista di Palermo; ma quando
credevasi metter piede a terra, assaliti si videro li Missionarj da una fiera
tempesta, ed il legno, con pericolo di naufragare, di nuovo respinto nel golfo
di Napoli.
Bonacciato il mare, si
riprese il camino, e di nuovo sorpresi furono in faccia a Palermo da altra
tempesta, e sbalzati con pericolo di naufragio nello stretto di Procida. Si
tenta l'imbarco per la terza volta; ma siccome li nostri erano nel impegno di
vedersi in Sicilia, così le potenze infernali anch'esse vedevansi ostinate a
volerli rovinare.
Erasi già per approdare
nella rada di Palermo, ed insorse la terza volta tale tempesta, che sbalzato il
legno di quà e di là, fu in punto di perdersi tra l'isola di Corsica, e quella
di Sardegna. Rotta la cinta della coperta, e lesionata notabilmente la
sottoposta, erasi in tale travaglio, che ognuno credevasi in braccia alla
morte.
Quanto accadde, tutto
in ispirito nella medesima ora si fe presente ad Alfonso. Vedevasi egli cogli
occhi rivolti al Cielo, ed inzuppati di lacrime, esclamare: Poveri figli miei. Presentavasi alla
finestra, guardava il tempo, e sospirava: davasi in dietro, e ritornava sempre
ripetendo: Poveri figli miei. Non
capivasi dai nostri, come, e perchè un tal rammarico, presupponendo ognuno, che
da un pezzo i Padri già fossero in Sicilia. Con questo riflesso cercavasi
consolarlo; ma Alfonso non dando orecchio a veruno, sospirando ripeteva: Poveri figli miei.
Ventiquattro e più ore
durò la tempesta; ma non so, se più fiera in mare, o nel cuore di Alfonso. A
stento il terzo giorno, e fu un patente miracolo, effetto certo delle di lui
preghiere, approdò il legno a Baja. Sgomentati i nostri, ma più morti che vivi
fecero ritorno in Nocera. Sel figuri ognuno, quale allegrezza potè sperimentare
Alfonso, rivedendo sani, e salvi i suoi figli.
Conoscendo, che tutto
era opera dell'Inferno, e non volendo darla per vinta, ristorati, che furono,
li fe viaggiare per terra; ed ecco un altro intoppo. Temendosi di peste, per
essersi naufragati due legni Levantini in vicinanza di Messina, impedita si era
ogni pratica per Sicilia, essendosi raccolte dai Calabresi non poche derrate di
quelli Monsig. Lucchesi in sentire questi tanti travagli, a' nove di Novembre,
così scrisse ad Alfonso: "Mi pare che siasi scatenato l'Inferno tutto, per
opporsi a questa nuova fondazione, perchè tutta in maggior bene di questa mia
Diocesi. Pericoli per terra, e per mare, con rischio di esser tutti sommersi;
ma viva Iddio, e non lascio pregarlo, come sono sicuro di farmi pervenire i
suoi figli sani, e salvi.
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Fu fatale questo
viaggio per li nostri, ma più, e di somma amarezza al cuore di Alfonso. Vedendo
il P. Pentimalli, che non potevasi andare innanzi, stimò, volendo dar ristoro
ai compagni, far alto in S. Eufemia sua Patria. Non tanto vi si giunse, e fu a
dieci di Novembre, che sorpreso si vide da febbre ardente, e tale, che in tre
giorni lo tolse di vita. Fu questo un colpo troppo amaro per Alfonso.
Era il P. D. Francesco uno de' migliori
operarj; ed oltre de' rari talenti, aveva tal dominio su i cuori, che volendo,
li distemprava a sua voglia. Afflitto se restò Alfonso per la morte di un
soggetto così degno, si rincorò in sentire l'arrivo degli altri in Girgenti;
molto più per l'applauso con che vennero ricevuti, non solo da Monsig. Vescovo,
e da quel rispettabile Capitolo, ma dalla Città tutta, specialmente dai
Gentiluomini, e da tutti gli Ordini Regolari.
Non prima de' dieci di
Dicembre pervennero i nostri in Girgenti. Impaziente Monsig. Lucchesi di far
vedere ai Girgentini di qual tempra fossero i nuovi Missionarj, volle, tre
giorni dopo il loro arrivo, che dati si fossero gli esercizj di S. Ignazio a
trecento sessanta Chierici che aveva in Seminario.
"Jeri, così
scrisse ad Alfonso a ventitrè del medesimo mese, si terminarono gli esercizj
spirituali, ma con sommo frutto a questo mio Seminario, e l'assicuro, che n'ho
rilevato un piacere indicibile. Similmente volle aperta la Missione nella
Cattedrale; ma la Chiesa non essendo capiente per il Popolo, numerando Girgenti
da diciotto, e più mille anime, si aprirono in seguito altre due Missioni, una
nella Chiesa del Purgatorio, e l'altra in quella de' PP. Carmelitani. Sorpresi
i Signori Canonici, e tutto il Clero dallo zelo de' nostri, vollero anch'essi
li santi esercizj: così il Cavalieri, e Gentiluomini, ma in luogo chiuso, e
senza disturbo. Monsignore cercò in piacere, che anche dati si fossero
privatamente alla sua famiglia, assistendoci di persona. Non volendo i nostri
omettere verun ceto, calarono ben anche al molo, e fecesi un'altra Missione
alla soldatesca, a forzati, ed al di più della gentaglia.
Così, a dispetto
dell'Inferno, benedisse Iddio le rette intenzioni di Alfonso, e l'arrivo de'
nostri in Sicilia.
Partendo i nostri per
Girgenti, anch'egli Alfonso si pose in armi contro il peccato. Siccome non vi è
cosa, che tanto sia a cuore a vecchi soldati, quanto il morire colla spada alla
mano, versando sangue pel proprio Principe così Alfonso, ancorchè avanzato
negli anni, defatigato ed oppresso dal peso di sua Congregazione, non lasciava
di vedersi in armi, e combattere contro l'Inferno. I Signori Amalfitani, che
più volte sperimentato avevano i copiosi frutti del suo zelo, e i doni di Dio,
che egli possedeva, nel Settembre lo vollero per gli esercizj al popolo in
quella Cattedrale.
Vi fu ma accompagnato
dal solo P. Galtieri, - 301 -
di
presente zelante Arciprete di Orsomarzo in Calabria. Tanto fece egli solo,
quanto far potevano dieci Missonarj. Confirmò maggiormente nel Popolo il ben
operato nella passata Missione, ed infervorò vieppiù tanti del Clero a faticare
per Dio in beneficio delle anime.
Iddio che volevalo
glorificato, anche autenticò in questo tempo la di lui santità con varj segni
prodigiosi. Vedevasi afflitta la Città da una generale epidemia.
Sperimentandosi utile la medicina, un Canonico, animato di fiducia nei meriti di
Alfonso, chiede al Galtieri una di lui camicia cambiata dopo la Predica.
Compiaciuto, riportò una nuova, e ne volle un'altra, e poi un'altra. Richiesto
perchè tal premura, disse: in
quest'epidemia di febbri così maligne e mortali, a quanti infermi si è posta
addosso la camicia del P. D. Alfonso, a tutti è passata la febbre.
Portandosi in Chiesa, o
ritornando a casa, tale fu la venerazione, che si conciliò presso tutti, che
dovevano li Canonici accercchiarlo, per liberarlo dall'indiscrezione del
popolo, che vedevasi colle forbici alla mano, o per tosarli la cappa, o per
chiederli la benedizione. Invitato dalle Monache di Conca per un sermone a
quella Comunità, nell'atto, che per mare portavasi accompagnato da D. Gennaro
Landolfi, che fu poi Vescovo di Pozzuoli, s'incontrò in alcune barche di
pescatori, e propriamente ove stava armata la tondàra. Lagnandosi quei
poveretti, che da molto tempo non prendevasi un tondo, lo pregarono di sua
benedizione. Benedisse il mare Alfonso, commiserando la loro povertà. Non tanto
fu allontanato, che consolati si videro li Marinari con una pesca
sovrabbondante di molti, e molti tondi. Fu tale la loro consolazione, che per
gratitudine ne mandarono buona parte al nostro Collegio in Nocera.
Sbrigato che fu in
Amalfi, varie comunità Religiose lo vollero in Napoli. Diede, con sommo frutto,
gli santi esercizj a quelle rispettabili Religiose del Monastero detto
Betlemme.
Avendolo voluto di
nuovo le Monache di S. Marcellino, non mancò consolarle. Ritrovavasi gravemente
inferma, erano ventidue giorni, in questo Monastero, D. Caterina Spinelli,
giovanetta educata. Visitandola Alfonso, e trovandola quasi boccheggiante, Caterina, le disse, volete vivere, o morire? voglio vivere, rispose la giovinetta:
Alfonso avendola segnata colla Croce, Viverai,
le disse, ma fatevi santa.
Nell'istante migliorò D. Caterina, professò in seguito, e fu un ottima
religiosa.
Varj altri segni, e profezie, tra questo tempo, vi furono in Napoli, ma perchè
confuse le notizie, da me si tralasciano.
In Quaresima fu di
nuovo in Napoli. Invitato per gli santi Esercizj dal Rettore del Purgatorio ad
un numeroso clero tra Sacerdoti esteri, e Napolitani, non negò la sua opera.
Ponderò Alfonso con modo - 302 -
particolare
in queste Prediche il gran male di chi celebra in peccato, e qual grave peccato
sia nel gran sacrificio dell'Altare lo strapazzo delle Rubriche. Il frutto fu
patente. Tra l'altro si viddero celebrate le Messe con altra divozione in
quella Chiesa, e praticate le sacre rubriche con maggiore esattezza. S'ignorano
altre sue opere apostoliche tra questo tempo, non avendo fatto dimora con esso
altro Sacerdote de' nostri.
Ardendo di zelo per
veder sempre più onorato Gesù Cristo da Sacerdoti nel gran Sacrificio
dell'Altare, trattenendosi in Napoli diede fuori un'Opera, con cui fa vedere
quanto è necessaria l'esatta osservanza delle Sacre Rubriche, e come vengono
comandate dalla S. Chiesa. Sussieguono varj salutari sentimenti per la
disposizione, che si ricerca a degnamente celebrare, e varj affetti divoti per
l'apparecchio, e dovuto ringraziamento in tutti i giorni della settimana.
Similmente diede alle
stampe una lettera Apologetica diretta ad un Religioso, intorno al modo di
predicare Cristo Crocefisso, con semplicità evangelica, ed evitandosi lo stile alto,
e fiorito.
Non poteva egli
soffrire veder adulterato da tanti, e tanti il Ministero Apostolico con
frasche, e fiori senza frutto delle anime. Questi
pallon di vento, diceva Alfonso, che
predicano se stessi, e non Cristo crocefisso, se non nell'Inferno, anderanno a
sgonfiarsi, per lo meno per anni, nel fuoco del Purgatorio.
Inviò questa lettera a tutti li Capi d'Ordine, ed ognuno ammirò come, e quanto
possedeva egli la sacra eloquenza, e lo zelo con cui si sbracciava per vederla
posta in pratica da tutti.
Non è che quanto finora
ho individuato, siano state tutte le fatiche di Alfonso, vivendo in
Congregazione. Queste da me accennate, non essendovi verun registro, ricavate
le ho dalle particolari memorie, che ho rilevato da manuali de' soggetti o vivi,
o defunti, che con esso operarono. A stento specialmente ho raccapezzato le
tante fatiche, che avanzato negli anni egli operò in Napoli.
Quasi quasi ogni anno veniva invitato da Monsig. Cappellano Maggiore a
predicare la penitenza ne' pubblici Studj. Predicata l'aveano prima di lui, e
senza gran frutto altri soggetti di gran valore; ma dando egli gli santi
esercizj, altra compunzione vi era; e vedevansi popolati anche i Chiostri da
tanti giovanetti. Forse non vi fu Casa Religiosa, che non ebbe la sua rata; e
molti vi furono, che lo seguirono nella nostra Congregazione.
Mi attestano varj
vecchi Confessori, che presentavansi i giovanetti ai loro piedi, quanto carichi
di peccati, altrettanto compunti. Mi dice Monsig. D. Francesco Maria Carnovale,
Vicario attuale di Oria, che ritrovandosi giovinetto, assistendo alle prediche,
e vedendo come spegavasi in istile piano, e senza violenza, è tempo perduto, diceva tra se,
se con questa blandura pensa il P. D. Alfonso commuovere questi macigni. Ma
essendosi in fine della predica, con pochi motivi, che ei dava, commossa - 303 -
vedevasi tutta quella
gioventù, e prorompere tutti, benchè migliaja in pianti così amari, che ne
rimbombava quel gran salone. Il frutto era patente: vedendosi la conversione di
tanti, e tanti ben noti per il loro libertinaggio, ed il maggior fervore, che
si eccitatata ne' buoni, e costumati.
Oltre della gioventù studiosa, concorreva in folla in questi esercizj, come mi
dice il medesimo, anche mezzo Napoli. Questo patente frutto faceva, che
d'ordinario venisse invitato da Monsig. Cappellan Maggiore, ed altri zelanti
Operaj.
Tante, e tante volte fu
chiamato a predicar la penitenza in varj quartieri anche alla soldatesca. Gli
scandali si vedevano tolti; moderate le bestemmie, e le risse tra soldati;
frequentarsi li Sacramenti; ed assistere divoti ai divini officj. Oltre de'
cinque officiali altrove già detti, sacrificare si viddero tanti altri, con
istupore di tutta Napoli, il cingolo militare, e darsi a vita penitente.
Profittavano anch'esse
le sacre Vergini, e spesso spesso venivano consolate coi santi esercizj. Pochi
sono in Napoli li Monasteri in dove Alfonso non raccolse troppo ubertose le
messi, con consolazione del gran Padre di famiglia. Così tanti Conservatorj,
anche di mediocre condizione. Egli non faceva eccezione di veruno; anzi i
luoghi più poveri, e comuni erano da lui preferiti alle comunità di maggior
riguardo. Di presente è in benedizione la di lui memoria in questi sacri
luoghi, e vivono ancora delle Anime grandi, che da lui si regolavano nello
spirito.
Altre Missioni in
diversi tempi vi furono in varie Parrocchie. Così nella gran Chiesa dello
Spirito Santo, nella Pietà de' Torchini, ed in quella della Misericordia,
Chiesa beneficata da' Signori Liguori. Si fa, come i due Eminentissimi
Spinelli, e Sersale, e quanto di connuo lo tenevano esercitato, massime a
beneficio del Clero. Bastava, che egli predicasse per vedersi in folla col
Popolo Avvocati, Togati, Cavalieri, militari, ed anche Vescovi, ed Arcivescovi.
Predicando una volta nella Chiesa dello Spirito Santo,
sorpreso essendo da un estro di spirito, spezza la Predica, e rivolto verso la
porta, esclama: O tu che entri, e ti
lusinghi, che tanto ti puoi salvare nel Mondo, che nello Stato Religioso,
povero di te, la sgarri! Tra breve farai un fine infelice.
In atto entrava un giovinetto Calabrese, che combatteva da molto tempo tra la
grazia, che volevalo religioso, e le passioni, che lo distoglievano. Per se lo
prese l'infelice giovanetto, perchè tal' era il discorso, che tra se stesso di
continuo faceva; ma ne sorrise, sentendo così parlare Alfonso. Un mese non
passò, e fu colpito da un tiro di schioppo. Morendo raccontò egli stesso ad un
amico, quanto eragli accaduto con Alfonso nella Chiesa dello Spirito Santo.
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