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Cap.50
Doti personali, che accompagnavano Alfonso nel
ministero apostolico.
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Non eravi cosa tanto
eminente in Alfonso, quanto il vero carattere di uomo Apostolico. Intendo un uomo
geloso dell'onore di Dio: tutto carità, e tutto amore per li peccatori:
singolare nel ministero della parola; caro a Dio, e ricco de' suoi doni.
Tutto concorreva in Alfonso. Ammiravasi in esso un sommo zelo per la gloria di
Dio. Agonizzava, vedendo in qualche luogo regnarvi il peccato, disprezzato, e
posto in dimenticanza Gesù Cristo. Tutto egli sagrificava, ove trattavasi
impedire l'offesa di Dio, e promuovere la sua gloria; ne davasi pace, se
appagato non vedeva i suoi desiderj, o almeno non lasciava mezzo per darvi del
riparo.
Che facciamo noi nel Mondo, ripete a
spesso ai nostri, e perchè ci siamo
ritirati in Congregazione, se non viviamo impegnati per la gloria di Gesù
Cristo? Noi siamo i suoi santi perduti, che tra tutti dobbiamo far fronte all'Inferno,
e non curar per Gesù Cristo nè la vita, nè la morte, avendo egli data la vita
per noi.
Altre volte diceva: l'amore di Gesù
Cristo ci fa violenza, e ci mette colle spalle al muro per amarlo, e per farlo
amare dagli altri. Se il peccato non si perseguita da un Congregato, chi mai
potrà farli petto? Mi sento morire, disse un giorno, quando vedo taluni de' Sacerdoti indifferenti in faccia all'offesa di
Dio, come se non spettasse a noi Sacerdoti zelarne l'onore, e la gloria. Mi
consolo bensì, che di questi tali non ce ne sono tra di noi.
Eccessiva era la sua
Carità, e tutta Apostolica, con qualunque peccatore. Avendo egli, come già
disser. un dono di Dio tutto particolare sopra i cuori, come un traviato
vedevasi a suoi piedi, anche non volendo, dovea compungersi, e detestare i suoi
eccessi.
Maggiormente vedevasi
impegnato Alfonso colla gente povera, se carica di peccati non era ajutata da
altri. Credeva detto anche a se quel comede
et manduca, che Gesù Cristo in
visione disse a S. Pietro, mostrandoli il lenzuolo ripieno di animali immondi.
Come uno di questi capitava a' suoi piedi, vedevasi Alfonso tutto intenerito,
compassionarne lo stato, e col cuore tra le mani illuminarlo, fargli capire il
suo gran male, compungerlo, e ridurlo a penitenza. Così animava anche i suoi. Questi sono, soleva dire, quell'unica pecorella, che Gesù Cristo,
lasciando le novantanove, andava in cerca, per mettersela sulle spalle.
Era così preso per l'amore di questi traviati, che diceva ai suoi: se la vista di qualche gran pesce vi
spaventa, come il giovine Tobia, vedendolo squamoso, e crestuto, rimettetelo a
me, che del fiele de' suoi peccati nè farò un sacrificio a Gesù Cristo.
Questi erano i regali
più graditi, che in Missione aver poteva dai Parochi, e dai medesimi suoi compagni.
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Carità così grande, ed
eccessiva, che egli aveva in accogliere i peccatori, goderne, e festeggiare,
vedendoli compunti, se edificava, ed era d'ammirazione ai veri operarj,
tacciavasi non però da taluni, che animati lo erano da falso zelo, quasi per
indulgente, e lasso, come se indistintamente agli assolvesse ognuno disposto, o
indisposto che fosse. Non era lasso Alfonso, anzi troppo ritenuto egli era in
comunicare a chi non si conveniva il sangue di Gesù Cristo.
Sembrava facile, non capendosi
il gran dono di Dio, ch'egli aveva in compungere i cuori, e disporli; e la gran
carità, con cui se li abbracciava, ed inducevali al pentimento. Questi tali,
che come indisposti, erano discacciati, non che licenziati da altri Confessori,
vedevansi col fatto mutar vita, e perseverare nel santo proposito.
A senso comune era
Alfonso tenuto per il primo Missionario in questo Regno. Siccome nel
confessare, così nel predicare aveva un dono di Dio tutto particolare. Non
altrimenti la sentivano, non che i Vescovi, ed Arcivescovi, anche i medesimi
uomini Apostolici così in Napoli, che nelle Provincie. Non è ch'egli predicasse
dottrine nuove, e peregrine, ma perchè, animato dallo spirito di Dio, non
predicava, che Cristo Crocefisso.
Questo era il gran
libro, ch'egli leggeva, e questo predicar soleva non meno ai dotti, che
agl'ignoranti. Non vi erano fiori nelle sue prediche, nè varj ornamenti: ma non
mancava in esse quell'arte, e quel contorno, che i primi Padri di S. Chiesa
usar solevano ne' sermoni, predicando al Popolo.
Chiari erano gli
argomenti, e capibili da tutti, anzi brevi e succinti, senza lungheria di
periodo. Anche qualunque villano, rozzo che fosse, o semplice donnicciuola, non
perdevane una parola. Egli medesimo, inculcando ai nostri una sera lo stile
semplice, e piano, disse: d'ogni altro
peccato ne debbo dare conto a Dio, ma non del predicare: ho sempre predicato in
modo, da poter essere capito da tutti.
Adattandosi al Popolo,
non abbandonava nelle autorità de' Padri, e delle Scritture, e quelle che
portava, sminuzzavale in modo, che anche le vecchiarelle ne capivano il
significato. Abbondava bensì nei fatti accaduti, o a peccatori pentiti, o
impenitenti, per animare alla penitenza, o per atterrire i meno contriti.
Questi esempj, diceva, fanno impressione nel Popolo, si tengono a
memoria, e si raccontano a casa. Anche per invitare le Anime all'amore di
Gesù Cristo, ed alla divozione verso Maria Santissima, portar soleva varj
esempj de' Santi, o di Anime virtuose.
Non voleva Alfonso
spavento nel Popolo, ma compunzione. Anche in fine delle prediche di terrore,
non lasciava i peccatori disanimati, come se indegni delle divine misericordie.
Siamo in tempo, diceva, che per esser cristiano,
non bisogna parlare, che di rigore, senza che se ne abbia la pratica, ma si
sbaglia. Metter in disperazione i peccatori, - 306 -
e far valere i
diritti della giustizia, contro quelli della divina misericordia, riempiendo 'i
cuori di spavento, e portarli alla disperazione, non è che de' moderni
Novatori. Riprovava Alfonso, che esecrava questo tal fare. Se il peccatore, diceva, vede disperato il caso suo, anzicchè
ricorrere a Dio, si sposa col peccato, e si da' in braccia alla disperazione.
I motivi, che dava in
fine delle prediche di terrore, se erano di abbominio al peccato, erano ancora
di filiale confidenza verso Dio Redentore:
Iddio, diceva Alfonso, vuole tutti salvi, e l'eternità dannata
non è riserbata, che ai solo ostinati. Non servivasi, come fanno taluni,
d'invettive aspre, o di termini disgustosi.
Le espressioni, che
aveva sempre in bocca, non erano, che o di
Figli miei, o di miei fratelli, o
al più di poveri peccatori. Con
questo fare, operava prodigi, e vedevansi i più traviati portarsi con fiducia
a' suoi piedi, e molto più di Cristo Crocefisso.
E' debolezza comune tra
predicatori di non restar sodisfatti, se eccitandosi il Popolo al pentimento,
non vedesi dare in ischiamazzi. In quella
confusione, diceva Alfonso, nè il
Popolo capisce il predicatore, nè fa il predicatore perchè piange il Popolo.
Egli vedendo il Popolo
commosso, e dare in grida, e singhiozzi, astenevasi dal porgere altri motivi;
ma, toccando il campanello, imponeva l'acchetarsi; nè ripigliava i motivi, se
non vedendolo quietato. Voleva che capito si fosse ciò che detestar si doveva,
e per qual motivo. Egli però aveva un dono così singolare, che appena
ripigliava, subito vedevasi immerso il Popolo nel pianto, e nel dolore.
Assistendo alla sua predica l'Arcivescovo Pacca in Benevento, e vedendo tali
commozioni, non dice gran cose, disse
rivolto ad un Canonico, ma le sue parole,
soggiunse, sono dardi, che feriscono le Anime, e squarciano il cuore. Similmente
il P. Maestro Sileo Min. Conv. uomo dotto ed erudito sentendolo predicare nel
Duomo di Amalfi, rivolgendosi al medico D. Girolamo Campanile, disse: Se quello, che dice il P. Liguori con istile
così piano, si dicesse da altri, meriterebbe esser discacciato di Chiesa; ma in
bocca sua ogni parola è una freccia che passa l'Anima. Tal compunzione
sperimentava in se stesso, che non mancò mai assisterci in tutta la Missione.
La natura concorreva
anch'essa co' suoi doni, per render ammirabile la sua predicazione. La voce,
che aveva era dolce, e sonora. Anche nelle Chiese più grandi sentivasi da
ognuno come presente. Grazia aveva nel porgere, e chiarezza nello spiegarsi.
Non era nè breve, nè lungo nelle prediche: era tale, che non generava tedio;
anzi fame di sentirlo, e non uscirne di Chiesa.
Colla voce, e colla
maniera, con cui si spiegava, vi concorreva lo strapazzo di se medesimo. Questo,
più che ogni altra cosa, faceva breccia ne' Popoli, e somma impressione.
Ne' luoghi vicini
andava a piedi, e sopra un vil somaro ne' luoghi lontani, ma con barda alla
peggio, - 307 -
cioè rozza, e
da soma. Il suo vitto ne' primi tempi, come confessavano i nostri vecchi, (e
non fu per pochi anni) non erano che quattro castagne, ed un poco di pane, o
pane e frutta verdi; ma il Sabato non passavalo che in pane, ed acqua.
Mi diceva il P. Villani, che la mattina non
cibavasi per lo più, che in qualche angolo di Sacrestia. Con sua confusione mi
riferì D. Tommaso Tortora Abate di Angri, che facendo la Missione in quella
Terra, una mattina essendosi portato con lui ne' Ciorani, mentre egli mangiava,
Alfonso attese al disbrigo de' suoi affari: che ne partì digiuno, e per istrada
non mangiò, che due mela, ed un poco di pane, che riposto si aveva
nell'apertura della tonaca.
In seguito il P.
Cafora, vedendolo debilitato nelle forze, e spasimante col testa, restrinselo a
pane e minestra; con qualche oncia di carne, ma facevalo Alfonso più per
ingannar il palato, che per sollievo del corpo.
Conferiva non poco, e
faceva dell'impressione ogni altro suo esteriore portamento. Vedevasi umile, e
dimesso: povero, e senza fasto: anzi bisognoso del necessario. Bastava guardarlo,
per restarne compunto.
In Melfi, facendo la
Missione, un vagabondo si accostò ad uno de' nostri per volersi confessare.
Sentendo il Padre che la donna, che seco aveva, era una druda, e che da molti
anni vi conviveva, li disse, che se non troncava l'attacco, e licenziava la
donna, non era capace di assoluzione. Ora
in punto l'ho lasciata, rispose il giovine, e me ne vado. Posso io più peccare, vedendo la vita straziata, che dal
P. D. Alfonso si mena? Così dicendo cava fuori da sotto la cappa una camicia,
che seco portavasi in segno dell'abbandono.
In Benevento era così
pieno il Duomo, che il Popolo stavane di fuori. Un uomo, ma di taglio,
distruggendosi in lagrime, tutto si percuoteva. Entrando in Chiesa un
Sacerdote, che ben lo conosceva, Voi, li
disse, vedendolo singhiozzare, piangete,
e non capite una parola? Come non voglio piangere, rispose, vedendo quel sant'uomo, che fa penitenza
per li peccati miei!
Così la grazia operava,
e così Alfonso compungeva i cuori anche colla sola veduta.
Accreditavano ancora il
suo ministero, altri doni di Dio, che possedeva. Lo spirito di profezia, come
dissi, accompagnavalo da per tutto. Familiare li era la penetrazione de cuori.
Tante, e tante volte
gli elementi assecondar si videro i proprj desiderj. E' ombra sua, voglio dire,
i ritagli delle sue vesti, strappati di soppiatto, mettevano in fuga le febbri,
ed altri malori. Colle sue orazioni moltiplicati si videro i commestibili a
tavola. Preintendendo, che ne' Ciorani era stato spedito da' medici il P. Rossi,
dite, gli scrisse, che questo benedetto singulto se ne vada
colla pace di Gesù Cristo, e voglio che viviate, e fatichiate per la
Congregazione. Tanto bastò per vedersi sano.
Non una, ma più volte, - 308 -
come anche già dissi,
pubblicamente si vide favorito dalla Vergine, ed a vista del Popolo soffrir
estasi, e ratti. In Amalfi, (come stando in Napoli comparve in Nocera),
confessando in casa, con istupore di molti, predicar si vide in Chiesa.
Questi doni, e così stupendi ben noti nel publico,
mettevano in maggior credito
la di lui persona, e non vi era popolazione,
ove egli capitasse, che nol ricevesse
come
un inviato del Cielo, e che ossequiosa non si dimostrasse a' suoi cenni,
operando quanto Alfonso ricercava per il profitto di ognuno.
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