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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.54 Stile popolare ricercato da Alfonso ne' suoi Alunni, e suo sommo rigore co' manchevoli.
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Cap.54

Stile popolare ricercato da Alfonso ne' suoi Alunni, e suo sommo rigore co' manchevoli.

 


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Se il bene delle  Anime dipende dalla predicazione, Alfonso altra cosa non ebbe tanto a cuore, quanto questo disimpegno. Voleva che i suoi, predicando, non predicassero se stessi, ma Cristo Crocefisso.

"Un predicatore, soleva egli dire, che non predica Cristo Crocefisso, ma  se stesso, tradisce il proprio Ministero, e non fa verun bene. Esiggeva uno stile semplice, e  popolare, ma tale, che ogni idiota rozzo che fosse, capisse, e se ne approfittasse."
La parola di  Dio soggiungeva, non stà nell'altezza de' concetti, e nella sublimità del sermone ma nella semplicità, e chiarezza, e che più adattattar si deve il Predicatore al Popolo basso, che al ceto delle persone più culte, perchè il Popolo, e non la gente culta fa il maggior numero delle Missioni. Chiamava Alfonso, come disse, palloni di vento, tutti coloro, che gonfii di se stessi predicano, e non sono capiti neppure da se medesimi; anzi chiamavali traditori della parola di Dio, ed inimici di Cristo Crocefisso.

Il demonio egli diceva, se non può impedire la predicazione del Vangelo, si serve di questi tali, per far che non riesca con frutto. Poveri di essi! Non saranno condannati, per non aver traficati i talenti, ma per averli malamenti traficati, e resi inutili.

 

Esiggeva ragioni, e non parole, ma ragioni chiari, e non menticate. Non voleva similitudini troppo studiate, e peregrine, ma ordinarie e popolari, descrizioni di puro abbellimento. Facevasi forte colle Parabole Evangeliche. Gesù Cristo, diceva, sapeva di rettorica, più di noi, ma non seppe scegliere altro stile, per farli capire dalle turbe, che parabole, e similitudini dozinali, e noi anche alle turbe predichiamo. Se il popolo non capisce, la volontà non si muove, ed inutile si rende ogni nostra fatica. Tal'è il fine della predica: persuadere, e muovere: se il Popolo non è convinto, mai non potrà risolversi, lascierà mai il peccato.

 

Voleva periodi brevi, e chiari, non lunghi e contornati. Odiava in taluni moderni predicatori, certi periodi lunghi, e così intrigati, che per capirli, ei diceva, devesi prendere non una, ma più volte la costruzione. Molto più aveva in orrore i periodi ligati e che finito uno, non si respira, se non si attacca la parola dell'altro. Voleva, che vi fosse anche un certo che di respiro tra periodo, e periodo, maggiormente, tra ragione, e ragione.

Bisogna dar tempo, diceva, che il Popolo capisca, penetri, e per così dire, che rumini agiatamente


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quello che sente. Certe acque precipitose, in senso suo, non inzuppano il terreno, come s'inzuppa dalle piogge minute, e soavemente cadendo.
Dir soleva, che ritrae più frutto il Popolo da una Predica posata, che da cento prediche dette precipitosamente, e non capibili che dal solo Predicatore.

 

 Amava gli alti bassi nel decorso della Predica, e riprovava un tuono unisono, come quello, che ristucca. Voleva a tempo, e luogo delle parlate familiari in tuono basso, e diceva esser questo l'unico mezzo per riconciliar l'attenzione.
Si guardi dal tuono unisono, così scrisse al P. D. Luigi Capuano, dappoi Canonico nella Cattedra della Cava, in quel tempo uno de' nostri. Una volta, ci disse, io feci un Sermone con tuono avanti Monfig. Falcoja, volendo imitare il P. N. ,e ne ebbi una bella ingiuria, e d'allora mi levai il vizio. Anche parlando forte, perchè si ha da parlare con tuono?

 

 Odiava  Alfonso, come tante bestemmie, le parole rancide, astruse. Ciocchè conveniva al Boccaccio, non conviene, diceva, ai Predicatori Evangelici; e tanti e tanti studiano Dante, ed il Boccaccio, per andare a penare in Purgatorio. Non è però, che approvasse Alfonso le parole italiane le più ovvie, e comuni.

Il medesimo stile semplice, chiaro, e popolare esiggeva ancora in ogni qualunque esercizio fuori di Missione, massime se invitati e predicare nella solennità di qualche Santo. Non poteva soffrire il pomposo nome di panegirico. Godeva, che si predicasse da' nostri nelle seste de' Santi; ma voleva discorsi morali, che sminuzzassero le virtù e tali, che anche le feminelle s'invogliassero d'imitarli. Questo è, diceva Alfonso, il predicare Apostolico: così hanno predicato i Padri tutti della Chiesa, Greci, e Latini: così dobbiamo predicare anche noi, se vogliamo glorificare i Santi, e non vogliamo tradire il nostro ministero.

Sentivala egli amaramente con taluni, che benchè uomini di gran valore, encomiando i Santi si perdono nell'ammasso di frondi, e fiori. Chiamava questi tali non amici, ma inimici de' Santi, e molto più delle anime. Tutto in questi sermoni doveva esser liscio, e evanglico; utile, sostanzioso , e capibile nel tempo istesso, da qualunque idiota.

Ho io assistito, ci disse una volta, essendo secolare a questi panegirici; ne mi ricordo averci fatto un atto buono. Usciva dalla Chiesa, come da una accademia; e posso dire aver ritratto più frutto dal teatro, sentendo un'opera sacra, e non dalla Chiesa, ascoltando i migliori panegiristi.

Essendo stato richiesto il P. D. Bernando Maria Apice da Monsig.e  Nicolai Arcivescovo di Conza, stabilita che fu la nostra Casa in Caposele, per un sermone in onore di S. Erberto; e perchè era la prima volta, che i nostri predicar dovevano


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avanti l'Arcivescovo, scrisse ad Alfonso, se avvaler si poteva di uno stile non tanto semplice. Laconica fu la risposta, ed è questa: ora siate più chiaro del solito.

 

I racconti ridicoli ne' Catechismi, e le facezie non proprie anche erangli in abbominio.
Che voglia dirsi qualche lepidezza, che naturalmente nasca da qualche Apologo, che di per se istruisca, lo concedo, diceva Alfonso; ma ridurre il Catechismo ad una scena di commedia, per far rider l'uditorio, come fanno taluni, io non so, come convenga alla riverenza dovuta alla Chiesa, ed  al decoro del Pulpito. L'Istruttore, così facendo, fa l'officio di commediante, non di Ministro di Gesù Cristo. Si manderà allegro l'uditorio, ma non computo, e solo si rivolgerà nella mente il fatto ridicolo, e non la moralità, che se ne dovrebbe ricavare".

Chiamava egli, non Catechisti; ma ciarlatani questi tali; credeva, diceva, che gli uomini assennati l'approvino. Il popolo dai Catechismi de' Santi, replicava spesso, se n'è sempre uscito, confuso, e capochino, non così dai Catechismi ridicoli, ed infilsati di ciarle.

 

Questa, e non altra era la condotta, che Alfonso esiggeva predicandosi dai suoi Missonari.
Occorrendo, non mancava punire i tralignanti; anzi, per dir così, fulminava scomuniche per le Case, ove sentiva, o temevane un qualche abuso. Io maledico, disse un giorno facendo un sermone ai nostri, tutt'i soggetti, che predicando, non si fanno capire dalla maggior parte del Popolo. Dovete predicare, ei diceva, con tal semplicità, e chiarezza, che chi non è a tempo, e viene ne mezzo della Predica, capisca subito, e si faccia carico della Predica, che si sta facendo.

Specialmente invigilava sopra i giovani. Ancor'io, così mi scrive di Benevento il P. D. Casparo Caione, quando era studente fui costituito genuflesso ad audiendum verbum, e non fu scarsa la correzione, per una Predica fatta un poco a stile.

 

Aveva in questo così a male qualunque alterazione, che non mancava rigidamente castigarla; vi era eccezione di persona, scuse, che si ammettessero, o motivi che prevalessero in contrario.

In un giorno di sabbato, essendo egli arrivato da Napoli in Nocera, passato mezzo giorno, il Rettore non destinò altro Padre per lo sermone di Maria Santissima, essendo solito predicarci egli per il voto che aveva. Sorpreso Alfonso dalla febbre, fu detto al P. D. Alessandro di Meo, allora giovinetto, che supplisse. Non essendoli apparecchiato, si diffondeva in cose non popolari, ma erudite sull'onore che Maria Santissima, anche tempo innanzi al suo nascimento, esiggè dalle Sibille, e dagli Argonauti. Credeva che Alfonso non ci fosse; ma ancorchè febricitante assisteva in coro. In sentire Alfonso Argonauti e Sibille e con istile elevato, non ebbe più pace.

 "Come! così qui si predica, disse rivolgendosi agli altri.


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Io che li stava di fianco, e quanti stavamo in coro, vedendolo agitato, non sapevamo che ci dire. Perturbato si alza dalla gelosia, e va a sedere; ma come il Padre D. Alessandro si avanzava nella predica, così le doglie si avanzavano ad Alfonso. Impaziente ritorna a ginocchiarsi, ripetendo fra di se: or ora lo farai calare; e non potendolo più soffrire va, e ditegli, disse al fratello Gaspare Corvino, che in punto se ne cali. Spezzando la parola il P. D. Alessandro, s'intonò subito il Tantum ergo, con ammirazione di tutti, e con ispavento di quanti eravamo in coro.

Non finì qui la faccenda. Alfonso avendogli rimproverato l'improprietà della predica, non sodisfatto dell'umiliazione, per tre giorni lo pose in silenzio, proibendoli ancora di poter dir Messa. Credo, che appreso avesse un tal rigore dal glorioso S. Filippo Neri, che anche in Roma non uno, ma più de' suoi fece calare dalla Cattedra, che spacciavano anche materie non ordinarie. Scottato il P. D. Alessandro mutò stile, e materie, e riuscì in seguito, com'è noto, quel miracolo degli uomini veramente apostolici.

 

Consolavasi per l'opposto, e vedevasi tutto lieto, quando in questo assecondato vedeva le sue brame.

Una Domenica, e fu otto giorni dopo l'accaduto al P. Meo, affaciandosi in coro, e sentendo predicare un altro de nostri con istile piano, e semplice, talmente restò sodisfatto, che disse, così si predica, rivolgendosi ad un Padre, e voglio anche ringraziarlo. Di fatti stringevasi al cuore tutti coloro, che spezzando il pane della divina parola, non facevano cadere a terra ne anche una mica.

 

Voleva per sua maggior soddisfazione, specialmente ne' primi tempi, che ognuno de giovani, prima d'esser destinato  per le Missioni, disteso avesse alla lettera le sue prediche, ed egli medesimo voleva esserne revisore. Similmente facevale menar a memoria; e per addestrarli a porgerle familiarmente, faceva fare l'atto pratico in refettorio, modificando egli i tuoni, le pause, e gli altibassi. Queste prediche in Missione, per i primi tempi porger dovevansi alla lettera; ne lasciava alcuno in libertà se non quando adottato aveva uno stile chiaro, e tutto apostolico.

 

Non approvava Alfonso, anzi esecrava l'improvisate di taluni, o per dir meglio, la loro temerità di salire in pulpito, senza prima ruminarsi la predica. In senso suo, questi azzardi erano proprj de' Cantabanchi. Iddio, diceva, non è obbligato a far miracoli; anzi per lo più confonde la temerità del predicatore, con nessun profitto del Popolo, perchè farà un predicar mendicato, e senz'ordine.

Queste, improvisate, disse altre volte, avviliscono la parola di Dio, ed il Popolo anzi che


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invogliarsi di concorrere alla Chiesa, sentendo un predicar mendicato, e senz'ordine se ne disgusta; e rendesi svogliato.

 

Credevano taluni, ma non se 'l credettero di poi, che col predicarsi così piano, Alfonso non amasse, e non ricercasse a perfezione ne suoi l'arte oratoria.
Credevasi così, come se si ricercasse meno rettorica nelle prediche semplici, e popolari, che in quelle a stile, ed eloquenti. Altra differenza non vi passa, che in quelle a stile l'eloquenza si smaschera, e fa pompa di se; e nelle popolari si nasconde, e non fa spaccio di semedesima: con questo divario, che in quelle a stile il Popolo non si compunge, ne si risolve: ove colle popolari si compunge, e risolve in meglio i suoi portamenti. Rettamente giudicando arte, e maggior eloquenza si richiede nelle prediche popolari, e semplici, che in quelle a stile, ed eloquenti.
"Quanto meno si sa di rettorica, diceva Alfonso, tanto meno si fa adattare allo stile semplice, ed apostolico. I PP. Greci, e Latini, perchè maestri in quest'arte, si adattavano a tutti, e nelle occasioni sapevano maneggiarla. Se manca l'arte, ei replicava, non risulta che un predicar insidioso, e disordinato; ed anziche capacitare, e muovere il Popolo, quello si ristucca, e non fa conto del Predicatore. Egli voleva, che in questo studio di eloquenza si attendesse di proposito da ognuno, e se ne possedesse tutta l'arte.

 

Giovinetto esercitandomi io con gli altri Chierici sull'eloquenza pratica compiacevami

di stendere le mie cosarelle a stile, e con tutt'eleganza.
Il P. D. Bernardo Maria Apice, Chierico anch'egli con me, e che fu poi vero uomo apostolico, mosso da zelo, non approvando il mio fare, mel rimproverava di continuo. Ritrovandoci per le ferie ne' Ciorani, mi attaccò di fronte con Alfonso, come degenerante io fossi dal nostro fine. E' un Segneri disse, tant'è armonioso, e limitato.
Ognuno mi ebbe per penitenziato, ed io me l'introitava; ma non fu così. Non se ne offese Alfonso, che anzi se ne consolò. "Ora che si fanno gli studj, ei disse, bisogna distender le cose con tutta l'arte: a salire ci vuol molto, ma nello scendere si vuol poco. Godo, che si faccino con proprietà, e secondo l'arte gli esercizj rettorici, e poi a suo tempo si adatterà ognuno al nostro stile, sempre bensì come l'arte lo ricerca, e col decoro, che esigge la parola di Dio.




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