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Cap.55
Savia condotta, che voleva Alfonso ne' nostri
Confessori, e gastico di Dio in uno di questi.
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Prudenza somma, e
sofficiente dottrina esiggeva Alfonso ne' nostri Confessori. Animando i nostri
giovani allo studio delle cose morali, "voi, diceva, sarete giudici, che
dovete decretare su due piedi, e i vostri decreti non ammetteranno appellazione
ad altro giudice superiore. Sua unica sollecitudine era esaminar i meriti, ed
invigilare sulla condotta di ciascuno. Quest'istesso inculcava a respettivi
Rettori; di questo incaricavane i Superiori delle Missioni; nè mancava
informarsi, e darvi del riparo, ove vi conoscesse del bisogno.
Ascesi i Soggetti al
Sacerdozio, lo che non succedeva che terminati gli studj, per ordinario egli
soleva dare anche la confessione. Se vedeva in taluno prurito di esser Confessore,
e mettersi in aria, non avendo lo spirito, che ricerca l'impiego, arretravalo,
e non vi capiva mediatore.
Più circospetto egli
era per la confessione delle donne. Non permettevala, se non si avevano gli
anni trenta, ed a soggetti di sperimentata virtù; ma per le Monache esiggeva
anni quaranta, e non accordavala, se non vi concorreva un merito tutto
particolare. Siccome arretrava gli spiriti presuntuosi, così animava gli umili,
che diffidando di se medesimi, spaventati restavano per un tale impiego.
Inculcava come unica
cosa a Confessori, somma carità, e dolcezza somma co' peccatori.
"Lo spirito aspro, ed amaro, ei dicea, è proprio de' novatori, ed oggi
giorno assecondato si vede dai già detti Tuzioristi. Questi col Giansenismo
adottato, non è tanto il bene, quanto il male, che fanno. Di certo non fu
questo lo Spirito di Gesù-Cristo, e di tanti Uomini Apostolici, che noi
veneriamo sopra gli Altari. Bisogna dimostrar ribrezzo pel peccato, ma umanità,
e somma carità col peccatore. Qualche parola autorevole tante volte è
necessaria, per fargli conoscere la gravezza del peccato, ma autorevole, e non
disgustante, e nell'ultimo è anche più che necessario addolcirlo con parole
amorevoli; cosicchè il penitente nel tempo istesso apprender possa odio al peccato,
e confidenza nel Confessore, per esporgli le proprie piaghe.
In altra occasione ci
disse: "Se talvolta in Missione state coi flati, alzatevi dal
confessionile, perchè colla vostra mala grazia saranno più i sacrilegj che
farete fare, che non sono i penitenti, che sbrigate. Dite al Superiore, che
state poco bene, e ritiratevi in casa. Questo non è bugia, perchè l'ipocondria
è peggiore di qualunque malatia.
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Voleva, ascoltandosi le
confessioni, serietà, e compostezza, ma sempre non disgiunta dall'affabilità
cristiana.
Colle donne, anzichè
avvenenza inculcava maggiore sostenutezza. "Questa razza, dir soleva,
attacca come pece; e se non si sta guardigno, volentieri dallo spirito, si fa
passaggio alla carne. Aveva a delitto, specialmente nel confessionale, il bacio
dell'abito, e maggiormente della mano; ma data l'assoluzione voleva si
mandassero per li fatti loro: Mi fa più specie, disse un giorno, un'ombra di
femina, che cento mila diavoli".
Nel confessionale avea
a scandalo qualunque eccezione di persone.
Carità, replicava, ma non particolarità. Avanti a Dio
tutti erano uguali per Alfonso. "Le Gentildonne, dicea, si fanno strada da
per esse, ma non si deve dar luogo dal Missionario. Noi dobbiamo ugualmente
esser esposti per tutti, e ricever tutti con amore". Molto meno permetteva, ed avevalo a maggior
scandalo, il levarsi da sedere, ed andare a sentirle in altro confessionale.
Così, confessandosi
uomini, non approvava si insinuasse cedersi il luogo a qualche Galantuomo.
Solo, richiesto da qualche Sacerdote, come dissi, voleva si andasse a sentirlo,
ma in luogo proprio, e meno esposto.
Andandosi per
confessare donne inferme in propria casa, impose, come dissi, che almeno si
portasse un qualche Sacerdote per compagno; e non finiva d'inculcare cautela, e
modestia. Avvertiva sentirle con un santo contegno, colla porta aperta, e col
compagno a veduta. "Sono troppo noti, ripeteva, i funesti accidenti; ne vi
è cautela, che basti trattandosi colle donne.
Se ricercava in tutti,
confessandosi persone di diverso sesso, serietà, e contegno, maggiormente
esiggevalo ne' giovani Confessori. Non soffriva in questi ombra di avvenenza,
massime colle giovinette. In casa, se vedeva taluno troppo accerchiato da
queste nella nostra Chiesa, cambiavalo subito di stanza. Era sua massima, che
nei giovani quello che sembra zelo, e carità, col tempo si scuopre passione, e
marciume.
Erasi egli molto
adoprato, per situare un giovinetto in Congregazione, non avendo il patrimonio.
Lo amava Alfonso, perchè ricco di talenti. Fatto Confessore, il concorso di
zitelle, e la di lui avvenenza nol sodisfaceva. Prevedendo di peggio, lo
destinò di stanza in altra Casa. Fu restio il giovine, ma fu in pronto il
dilemma: o che ubbidisca, o che se ne vada. Non vi fu pietà, e fu fuori di
Congregazione.
Minor circospezione non
inculcava, sentendosi le confessioni de' figliuoli. Non altrove ordinò si
sentissero, che in Chiesa, o in luogo aperto, e pubblico. Proibì per questi
ogni carezza, o allettamento. Sono Angioletti, soleva dire, ma nelle date
occasioni possono diventar demonj.
Avvertiva starsi
attenti alle dimande, e non esser troppo scrupolosi in materia turpe, potendosi
imparar loro, ciò che non sanno, - 331 -
e questo specialmente confessandosi zitelle. "Non và bene, diceva
Alfonso, a chi non ne sa, farne saper di più, perchè in tal materia dal sapere
al fare non vi è molta distanza: meglio è che si lascino semplici, ed ignoranti
nella cognizione imperfetta, che addottrinarli di vantaggio, e solo in generale
farli concepir stima della castità, ed abbominio al peccato opposto.
Cautela, e sommo
ritegno inculcava, ritrovandosi abituati, o recidivi.
"Con questi tali badate, ei diceva, ad alzar la mano. Il loro pianto, se
si veggono piangere, è anche ingannevole. Piangono non per odio al peccato; ma
piangono per strappar l'assoluzione, e per cominciar da capo. Voleva bensì, che
non si spaventassero, o si licenziassero di mala grazia. Io stento più, ci
disse un giorno, a mandarne uno senz'assoluzione, che assolvere dieci ben
compunti.
Se si spaventano, diceva, e si fanno vedere indegni delle divine misericordie,
invece di emendarsi, disperati s'imperverseranno nel mal fare". Inculcava
doversi abbracciare questi disgraziati, commisserarli, e far loro conoscere lo
stato infelice in cui sono: che si animassero alla confidenza; e far vedere,
che si può superare il mal abito colla grazia di Dio, e di Maria Santissima.
Se non si trattano
così, ripeteva, e questi non si fanno carichi del loro stato, mal volentieri si
vedranno disserita l'assoluzione, ne si risolveranno a mutar vita.
Esecrava il costume di
taluni, che sentendo un peccato grave nell'apertura della Confessione, subito
inarcano le ciglia, ed anzichè affezzionarsi il Penitente, lo dissanimano. Non
approvava sul principio veruna correzione, ma che dimostrato si fosse
affabilità, e dolcezza, animando il Penitente a vomitare le sue colpe; e che
fatta la Confessione, si fosse ripreso, e fatto carico del suo stato: sempre
bensì in ispirito di dolcezza, per così far accettare con piacere la giusta
penitenza.
Similmente non poteva
soffrire il fare di taluni, che, prevedendo una coscienza imbrogliata,
l'evitano, e non s'inducono a sentire con mendicati pretesti taluno di questi.
Alfonso stimavala la massima iniquità. Voleva si sentisse ognuno scellerato che
fosse, e non meritando l'assoluzione, se li dassero i mezzi per riaversi, e
caritativamente si licenziasse. Sopratutto insinuava animarsi questi tali a far
ritorno da esso medesimo, ed accoglierli, ritornando, con tutta amorevolezza.
Vedevasegli nel volto il compiacimento, quando vedeva specialmente i nostri
giovani andar in cerca di anime imbrogliate, offerirsi, ed esser impegnati in
ajutarli.
Non approvava che
s'imponessero penitenze di lunga durata. "Queste volentieri
s'intermettono, ei diceva, e mancandosi, i penitenti anche volentieri si danno
di nuovo al mal fare. Voleva penitenze brevi, e salutari, come visitare il
Sacramento, e qualche imagine di Maria Santissima; - 332 -
sentir la Messa, e nel tempo istesso legger, o
pensare a qualche massima eterna, specialmente sulla Passione di Gesù Cristo;
recitare il Santissimo Rosario, e simili.
Consigliava qualche
cosa afflittiva, ma discreta. Sopratutto però, che fra tanti giorni si fosse di
nuovo ai piedi del Confessore. Con questo stimava, che il penitente è per
ricevere nuova grazia, volentieri sente il Confessore, e per lo stesso motivo
vive lontano dal peccato.
Estremamente eragli a
cuore, come più volte ho rilevato, che si promovesse nel Popolo la frequenza
della santa Comunione, e si facessero carichi i penitenti di quella
disposizione necessaria, che i Santi Padri, la santa Chiesa, ed il Concilio di
Trento han sempre ricercato.
"Si sa, disse un
giorno, che altro impegno non hanno i moderni regolatori delle anime, che
allontanare i fedeli dall'uso de' Sacramenti, come se altra strada non ci fosse
per andare a Dio, che allontanarli da Dio. Vorrei, disse altra volta quasi
piangendo, che quella disposizione, che taluni Confessori esiggono ne' penitenti,
essi l'avessero per metà per celebrare degnamente". Inculcava, che si
andasse incontro a quest'empietà, così egli la chiamava, e si facessero vedere
i vantaggi, che l'anima riceve dalla frequente comunione. "Rotti i canali
delle acque, diceva Alfonso, Betulia era in punto di arrendersi: così mancata
la frequenza de' Sacramenti, che sono il canale delle grazie, le anime vanno a
cadere, arrendendosi alle passioni, ed al demonio, che la tenta.
Ciocchè interessavalo,
e che sopratutto tenevalo occupato, era la sufficiente scienza, e quelle giuste
massime, che ogni Confessore deve avere per disimpegnare senza taccia il suo
ministero.
Non voleva nè lassezza,
nè indiscreta rigidezza. Il troppo lasso, ei diceva, ed il troppo rigore
ugualmente sono di rovina alle anime. Questi due estremi ne' suoi, ei voleva
evitati, come due vizi capitali. In qualunque di questi si fosse declinato,
mancava subito nel soggetto il giusto requisito per esser Confessore.
Sapendo taluno indulgente più che non conveniva, perdevaci il sonno, nè trovava
pace: così se in altri odorato avesse dello spirito rigido, e non conforme alle
massime del Vangelo. "Dal lassismo, e dal tuziorismo, ripeteva Alfonso, ne
nasce per molte anime il totale rilasciamento. Così scrisse anche in Palermo al
P. Nicola Savio prete dell'Oratorio.
Benchè in materia
morale non stabilì sistema tra i suoi, ma lasciò ognuno nella libertà di
appigliarsi ove volesse, non approvava bensì che si seguitasse alla cieca
qualunque opinione, ancorchè sostenuta da gravi autori. Più che l'autorità
voleva, che signoreggiato avesse la ragione, ove la legge non fosse chiara.
Esiggeva per le materie
morali uno studio profondo, e continuato. "Questo ci fa conoscere la
nostra ingoranza, e non ci fa essere stravaganti. I novelli tuzioristi, diceva,
per lo più - 333 -
non ne
sanno di morale, e perciò sono così strampi, e storti. Vogliono esser tenuti
per Maestri, quando non furono mai discepoli". Per due anni voleva si
fossero esercitati i giovani nello studio passivo.
"Se non siete
dotti in dommatica, ci ripeteva, meno male: quì non siamo grazia a Dio, tra
eretici, o confinanti con essi; ma se non sapete di morale, rovinate voi
stessi, e mandate all'inferno i vostri penitenti". Oltre lo studio
passivo, esiggeva, ed inculcavalo anche ai vecchi, lo studio camerale.
"Questo studio, ripeteva, non finisce che colla vita.
Scrupoloso, anzi rigido
era Alfonso nell'esame de' nostri Confessori. Quest'atto non rimettevalo ad
altri, ma era tutto di sua ispezione. Talvolta consumava in esaminare un
soggetto i dieci, e dodeci giorni. Trattato per trattato esiggeva conto, e
troppo stretto, anche delle cose ovvie. Se in coscienza nol conosceva atto a
rettamente giudicare, dilatavalo ad altro tempo.
In ogni casa voleva tra
Padri, ogni otto giorni, l'accademia delle dottrine morali. Sopratutto, (lo che
era un esame continuato), insisteva, che fatte si fossero le confessioni
pratiche tra il Confessore, ed il penitente.
"Taluni, diceva,
sono ottimi nella speculativa, ma pessimi nella pratica. Esaminati,
aggiustatamente rispondono, e sembrano dottori; posti a confessare, non sanno
che si dire, si confondono, ed angustiano i penitenti".
Di fatti, benchè taluni
fossero capaci nella teorica, posti al crivello pratico, li sospese per molto
tempo, proibendo loro un tale impiego. Queste confessioni così fatte,
riuscivano di gran profitto non meno ai giovani, che ai vecchi.
In uno de' nostri, che
appartato lo vide dalle giuste sue massime, abbiamo un caso, ma troppo funesto.
Benchè educato in Congregazione, non ebbe ribrezzo, essendo Lettore di morale,
perchè giovane di gran talento, impugnare le di lui massime, condannare gli
autori più cordati, e parlarne con disprezzo. Volendo fare il tuziorista,
formato si aveva un sistema troppo strambo. Confessando faceva un macello delle
anime, e dogmatizzando rovinava anche i giovani.
Non lasciò mezzo Alfonso per rimetterlo nel giusto. Non profittando, levollo da
Lettore, destinollo altrove di stanza, propibendogli la Confessione. L'ebbe a
male il miserabile; e non avendo lo spirito di soffrire nè l'una, nè l'altra
mortificazione, altiero chiese essergli rilasciato il giuramento di
perseveranza.
Non mancò Alfonso, volendolo disingannare, adoprarvi
altri de' nostri, ma tutto si rese in utile.
Persistendo nella sua ostinazione, figlio,
li disse, voi lasciate la Congregazione,
e volete esser così ostinato, temete, che non vi mancherà un fine molto
infelice. Partì; ma non fu lento Iddio in castigarlo.
Molto tempo non passò, che sorpreso si vide da un canchero estremamente
orribile nella faccia. Non trovando sollievo, - 334 -
usciva ad urlare come un cane in pubblica strada.
Conoscendo il suo errore, confuso, e pentito chiama i nostri, si disdice, e
cerca scusa ad Alfonso. Vedendosi all'estremo, supplicò, e pianse, che se non
si voleva vederlo morto disperato, e dannato, se gli accordassero i voti de'
Congregati, e seppellito si fosse tra i nostri.
"Se non ci ho voluto star vivo,
almeno, disse, ci voglio star morto". Considerandosi il di lui stato, ed
avendosi riguardo all'eterno, ottenne quanto chiese dal P. Villani, che essendo
Alfonso già Vescovo, sosteneva da Vicario le sue veci.
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