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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.58 Sommo zelo dimostrato da Alfonso per l'esatta Povertà, e per la pronta Ubbidienza.
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Cap.58

Sommo zelo dimostrato da Alfonso per l'esatta Povertà, e per la pronta Ubbidienza.

 


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Non è che fosse Alfonso di quei tali, che impongono, e non esiggono; ma era rigido esattore delle menome ordinazioni. Quanto era tardo al risolvere, tanto vedevasi sollecito in estere ubbidito. Ogni altro difetto era compatito; ma trattandosi di cosa, che offeso avesse, anche in poco la Povertà, o l'Ubbidienza, vedevasi tutto zelo, e non aveva riguardo per chicchesia.


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Avendo inteso che nella Casa d'Iliceto il P. D. Carmine Fiocchi, introdotti aveva i piatti di stagno, in luogo di quelli di creta, tutto zelo li scrisse, che senza perdita di tempo tutti si fossero venduti; giovarono i motivi, che si addussero in contrario, cioè quei di creta volentieri si rompono, e che stando la Casa lontana dalle faenziere si soccombeva ogn'anno a grave interesse. "La povertà, disse, bada alla qualità; e quello è più a proposito per essa, ch'è più vile, ed umiliante. Queste ofanità ne anche si veggono nelle Religioni più lasse: chi è povero, e professa povertà, deve comparir povero in tutte le cose.

 

Si sa quanto fosse rigido della santa povertà il P. D. Paolo Cafora, ma non potè evitare, essendo Rettore in Caposele, la censura di Alfonso. Essendosi portato per la Visita in quella Casa, ed avendo osservato dei davanzali di pietra nelle finestre, e non di mattoni, com'ei desiderava, se ne afflisse, come cosa grandiosa, e ne corresse con ardore il P. Cafora; maggiormente, perchè avanzata la fabbrica, non erasi in tempo di potersene disfare.

 

Stando in Iliceto li fu riferito, ma impropriamente, che il P. Sportelli Rettore in Nocera, aveva introdotto delle bussole alla porta delle stanze. Sentendo ciò, si spiegò con grave suo rammarico, che essendo così, egli medesimo con un cortellaccio le avrebbe ridotte in tante fette. Vi fu, ma non era così. troppo amante era lo Sportelli della Povertà Evangelica. Altro non vi era che un picciolo dente dintorno alla fascia che univa le tavole.

Anche questo fu proibito. Nelle nuove porte volle tolta la fascia per d'avanti, e che le tavole fermante si fossero di dietro con un rozzo asse a traverso. Così volle, e così esistono di presente. Ebbe non però molto che sentire il P. Sportelli per un finimento, che cominciato si vedeva sotto del tetto: e per lo dippiù volle, come si vede, che rozze pietre avessero dato in fuori, e non altro, come più uniforme alla povertà religiosa.

 

Essendosi fatto il Coro, ed un armario per lo Studio nella Casa di Caposele, essendoci Rettore il P. D. Gaspare Cajone, il Fratello falegname vi pose delle cornicette nelle spalliere del Coro, e nei finimenti delle scanzie. Tanto fu il sapere questo piccolo ornamento, quanto caricare il P. Cajone di una forte riprensione. Volle che luogo luogo, come già fu fatto, si fossero strappate tutte le cornicette, così dal Coro, che dallo studio. "Sappiate, li scrisse, che io a porte, a Coro, a studio voglio cornici. Abbiate pazienza: se ce l'avete poste, levatele, e fate che ogni cosa sia liscia. La povertà ama semplicità, ed il necessario, ma non il superfluo.

 

In Nocera i Comuni, così portando l'arte, dimostravano una qualche polizia. Dovendosi fare ogni sedile una portellina innanzi,


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a motivo di modestia, si chiama il P. D. Domenico Corsano, ch'era Ministro, e seriamente li disse: "Badate si faccino in modo, che chi le vede, possa dire: peggiore di queste non si potevano fare. Volle si fossero fatte della scorza, e non del midollo de' pioppi, per così ossequiare, e maggiormente far rilucere la santa povertà.

 

Nella stessa Casa di Nocera, avendo fatto tirare il medesimo P. Corsano nel piede de' corridori una fascia, come si usa, con paglia arsa, e calce, Alfonso in vederla si conturbò, come di cosa da non permettersi; e se non comandò il guasto, fu perchè se li rappresentò dai Padri, che scopandosi, si sarebbe da se sfigurata. Per un pezzo si vide pensieroso, come qualche gran cosa offeso avesse la santa povertà.

 

Era così geloso per questa virtù, che anche ogni neo li faceva ombra. Vedendo introdotto in taluni le tabacchiere di cartone verniciato, ed altre di metallo giallo, non mancò proibirlo, e volle le semplici di legno, come si avevano in uso. Vi fu volta, che vide qualche cappello rilucere più degli altri, e tanto vi volle per interdirlo, come scandalo.

 

Esposero taluni, che il panno ordinario per zimare, e cappotti, perchè di meno durata, non favoriva, ma offendeva la povertà, e che era di maggior utile alle Case un panno di qualità migliore. Credevasi, che Alfonso con questa palpabile evidenza, avesse mutato sistema. Non fu così: "il voto di povertà, disse, si è fatto da noi, e non dalle Case; e noi, e non già le Case soffrir dobbiamo gli effetti di questo voto. Il panno ordinario umilia, ed abbassa: questo è quello, che edifica la povertà, e non già una comparsa nobile e signorile.

 

Più volte li fu proposto dal P. D. Geronimo Ferrara, che portavano meno spesa i candelieri di ottone, o di ferro stagnato, che quei di creta, perchè facili a potersi rompere, e rovesciavano dell'oglio. Qualunque fossero state le ragioni, non si smosse Alfonso; ed altro motivo non apportava che l'ottone aveva del grandioso, e che la creta era più confacente colla povertà evangelica

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Viaggiandosi in Missione a cavallo, ed in tempo d'Inverno, se colti da neve, o acqua, non si arrivava che colle gambe intirizzite e rovinate. Pregato a voler permettere gli stivali, li fece orrore. Convinto del bisogno, li negò di cuoio, e non li permise che di pannaccio.

A stento permise ancora al P. Economo, che si facesse uso in Missione dell'oriuolo di sacca. Esponendo i Padri la necessità di regolarsi le ore, e che ne' paesetti tampoco ad imprestito si poteva avere, portarono in conferma, che il P. Vincenzo Carafa, ancorchè tenace della S. Povertà, avevalo permesso a suoi Missionarii. "Sì, disse Alfonso, ma nell'Indie, e noi non siamo nell'Indie, ma nell'Italia. Considerata la necessità, accordollo, ma con cassa di ottone, e non di argento.


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Meno rigido non fu Alfonso nell'esigere pronta, e cieca ubbidienza. Tanto era resistere alle sue determinazioni, quanto il vedersi fuori di Congregazione. Aveva proibito al P. D. Pietro Genovese di portarsi da Gragnano a Scala; e perchè questo si ci era compromesso con quelle Monache, vi fu alla sfuggita e di soppiatto. Avendolo saputo Alfonso, non li diede tempo di far ritorno in Casa; ma in Scala medesima si vide ripreso, ed escluso di Congregazione.

 

Avendo destinato di stanza nella Casa d'Iliceto il P. D. Gerardo Grassi, che si ritrovava in quella de' Ciorani, ripugnò a partire: ma erano diametralmente opposti i motivi di chi comandava, e di chi non voleva ubbidire.

Il P. Grassi con poca edificazione voleva coadjuvare il proprio Fratello, che studiava in Salerno; ed Alfonso per lo medesimo motivo lo voleva di lontano. Vedendo la resistenza, così scrisse al P. Rossi, che era Rettore. "Giacchè il P. Grassi ha ripugnato di andare in Iliceto, per questa ripugnanza di ubbidienza subito scriveteli che io lo licenzio, e lo dichiaro escluso dalla Congregazione. Preghiamo Dio, che questi simili soggetti, se più ve ne sono, che presto se ne vadino. Se si perde la perfetta rassegnazione all'ubbidienza, è finita la Congregazione". In Salerno di fatti fu licenziato.

Questa medesima casa d'Iliceto, fu anche di tracollo ad un altro Sacerdote. Non senza motivo ve lo destinò Alfonso. Vi ripugnò l'infelice; ed Alfonso li fe sentire che se non li piaceva l'aria d'Iliceto, segno era che gradiva quella di casa sua. Fu fuori di Congregazione; e troppo traggico fu il fine che fece, ma a me non conviene individuarlo.

 

Uscendosi per incombenza fuori di Casa, determinava i giorni, ed era delitto il mancarci. Non ritrovandosi ritornati nella giornata prefissa il Padre Picardi, ed altri, si vide aggitato per questa mancanza, e determinato aveva mortificarvi. La passarono franca, avendo rappresentato la necessità, che stretti gli aveva. In questa occasione si pose a rilevare i preggi dell'ubbidienza, ed il male, che avviene ai poco ubbidienti.

 

Maggior rispetto, e sommissione esiggeva come più volte ho detto in persona di qualunque Superiore. "Che si ubbidisca a me, ripeteva spesso non mi fa meraviglia: Io voglio che si ubbidisca, e si abbia sommmissione anche ad una mazza, che presiede, ed è Superiore: mancando questo, mancarebbe tutto, perchè non vi sarebbe ordine, ma confusione nelle Case.

Un Padre de' più riguardevoli, mosso più da un estro ipocontriaco, che da altro, perchè infermo, rintuzzò al Rettore certe disposizioni per una Missione, che poco li gradivano. Seppelo Alfonso; e benchè lo compatisse, perchè infermo, non mancò bensì scriverli in questi termini: "Mi son consolato in sentire, che siasi ristabilita, ma mi sono afflitto in sentire qualche risposta un risentita fatta al Superiore.


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Molte Cose, che paiono storte, sono diritte per noi, quando vengono dettate dall'ubbidienza. Se ogni Soggetto volesse fare ciocchè li pare migliore, sarebbe perduta l'ubbidienza. Prego, quando le pare, che certe cose non vanno a dovere, dopo aver rappresentato il suo parere, lasci correre, e si riservi scrivere a me quello, che le pare inconveniente.

 

Molto più non soffriva, e rendevasi inesorabile, se sentiva unione di persone, e di sentimenti contro la volontà di chi fosse Superiore.

"Le mormorazioni pubbliche contro l'ubbidienza, scrisse in Iliceto, essendo io Rettore, al P. Vice Rettore D. Geronimo Ferrara, sono difetti, che non si possono perdonare; ma meritano castigo, e castigo lungo.

Eransi risentiti i Fratelli Laici, essendoseli proibito in tempo d'Inverno il riposo meridiano. Perchè fu pubblico il riferimento, pubblica dovettero farne la penitenza. A due, che furono i capi li tolse la sottana per lungo tempo: volle, che avessero mangiato ginocchioni, e privati o della carne, o delle frutta, e non si fossero abilitati alla Santa Communione, che al più ogni otto giorni. Vi fu chi s'interpose; ma non vi fu grazia.

 

Era così geloso dell'ubbidienza, che non ammetteva consiglio in contrario; ma voleva che questa, come Regola certa non fosse posposta, ma preferita al sentimento di qualunque.

"Mi ha dato gran pena, scrisse al P.D. Diodato Criscuoli, il sentire che V. R. ha fatto tanta ripugnanza in esercitare l'officio di Ministro; e quel che più mi ha ferito, si è aver inteso, che si è consigliata, ed esserle stato detto che non era tenuto ad ubbidire. Solo in materia di peccato non è tenuto ad ubbidire chi ha fatto voto di ubbidienza. Mi rallegro che nella Congregazione ci sono questi belli consultori! Io non voglio obbligarla; ma vi prego per amore della Madonna ad accettare quest'officio. Mi dia questo gusto; e vi prego fare un poco di orazione avanti il Sacramento, che certamente Gesù Cristo le farà mutar pensiere.

 

Esiggeva Alfonso con tal perfezione questa Virtù, che voleva adorati i pensieri. Ho un caso in me medesimo.

Essendo io Giovanetto, mi rincresceva, perchè infermiccio, il Magistero de' Novizi. Avendolo interrotto, e non avendomi Alfonso tolto d'impiego, ritornato in Nocera, avrebbe voluto che di per me mi fossi ritirato nel Noviziato. Importunato a farlo da chi vi era sostituito, me ne scansava, perchè non comandato in suo nome. Anche il P. Ferrara, con cui mi consigliai, non approvò che di per me mi fossi offerto. Alfonso mi chiama, ed acremente mi riprende, che conoscendo il suo volere, non erami ritirato nel Noviziato. Dissi, che ne anche il P. Ferrara me l'aveva approvato. Sentendo ciò si arrese; ma non finì qui la facenda. Avendosi chiamato il P. Ferrara, con maggior enfasi lo riprese del consiglio a me dato, sapendo non avermi tolto d'impiego, e conoscendo esser quella la volontà sua.


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Soleva dire Alfonso, che l'ubbidienza fa miracoli, quando si fa con prontezza di volontà, e con sommissione d'intelletto; e che si sgarra quando il Soggetto giudica da se, e si allontana dal volere de' Superiori.

Avendo destinato il P. de Robertis per gli Esercizj al Pubblico di Coverchia, questi si schermiva, che non aveva pronte le materie. Volle Alfonso, che in ogni conto ci fosse andato, e che l'ubbidienza avrebbe supplito a tutto. Riuscirono gli Esercizj con frutto, e con sodisfazione di quel Pubblico. Avendone Alfonso ricevuto lettera di ringraziamento dal Parroco D. Agnello Fiore, leggendo la lettera disse al P. de Robertis, che gli Esercizj non dovevano riuscire, e non capiva come Iddio avevali benedetti, mentre egli aveva ripugnato, e non aveva prontamente ubbidito.




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