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Cap.58
Sommo zelo dimostrato da Alfonso per l'esatta Povertà,
e per la pronta Ubbidienza.
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Non è che fosse Alfonso
di quei tali, che impongono, e non esiggono; ma era rigido esattore delle menome
ordinazioni. Quanto era tardo al risolvere, tanto vedevasi sollecito in estere
ubbidito. Ogni altro difetto era compatito; ma trattandosi di cosa, che offeso
avesse, anche in poco la Povertà, o l'Ubbidienza, vedevasi tutto zelo, e non
aveva riguardo per chicchesia.
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Avendo inteso che nella
Casa d'Iliceto il P. D. Carmine Fiocchi, introdotti aveva i piatti di stagno,
in luogo di quelli di creta, tutto zelo li scrisse, che senza perdita di tempo
tutti si fossero venduti; nè giovarono i motivi, che si addussero in contrario,
cioè quei di creta volentieri si rompono, e che stando la Casa lontana dalle
faenziere si soccombeva ogn'anno a grave interesse. "La povertà, disse,
bada alla qualità; e quello è più a proposito per essa, ch'è più vile, ed
umiliante. Queste ofanità ne anche si veggono nelle Religioni più lasse: chi è
povero, e professa povertà, deve comparir povero in tutte le cose.
Si sa quanto fosse
rigido della santa povertà il P. D. Paolo Cafora, ma non potè evitare, essendo
Rettore in Caposele, la censura di Alfonso. Essendosi portato per la Visita in
quella Casa, ed avendo osservato dei davanzali di pietra nelle finestre, e non
di mattoni, com'ei desiderava, se ne afflisse, come cosa grandiosa, e ne
corresse con ardore il P. Cafora; maggiormente, perchè avanzata la fabbrica,
non erasi in tempo di potersene disfare.
Stando in Iliceto li fu
riferito, ma impropriamente, che il P. Sportelli Rettore in Nocera, aveva
introdotto delle bussole alla porta delle stanze. Sentendo ciò, si spiegò con
grave suo rammarico, che essendo così, egli medesimo con un cortellaccio le
avrebbe ridotte in tante fette. Vi fu, ma non era così. troppo amante era lo
Sportelli della Povertà Evangelica. Altro non vi era che un picciolo dente
dintorno alla fascia che univa le tavole.
Anche questo fu
proibito. Nelle nuove porte volle tolta la fascia per d'avanti, e che le tavole
fermante si fossero di dietro con un rozzo asse a traverso. Così volle, e così esistono
di presente. Ebbe non però molto che sentire il P. Sportelli per un finimento,
che cominciato si vedeva sotto del tetto: e per lo dippiù volle, come si vede,
che rozze pietre avessero dato in fuori, e non altro, come più uniforme alla
povertà religiosa.
Essendosi fatto il
Coro, ed un armario per lo Studio nella Casa di Caposele, essendoci Rettore il
P. D. Gaspare Cajone, il Fratello falegname vi pose delle cornicette nelle
spalliere del Coro, e nei finimenti delle scanzie. Tanto fu il sapere questo
piccolo ornamento, quanto caricare il P. Cajone di una forte riprensione. Volle
che luogo luogo, come già fu fatto, si fossero strappate tutte le cornicette,
così dal Coro, che dallo studio. "Sappiate, li scrisse, che io nè a porte,
nè a Coro, nè a studio voglio cornici. Abbiate pazienza: se ce l'avete poste,
levatele, e fate che ogni cosa sia liscia. La povertà ama semplicità, ed il
necessario, ma non il superfluo.
In Nocera i Comuni,
così portando l'arte, dimostravano una qualche polizia. Dovendosi fare ogni
sedile una portellina innanzi, - 346 -
a motivo di modestia, si chiama il P. D. Domenico Corsano, ch'era Ministro,
e seriamente li disse: "Badate si faccino in modo, che chi le vede, possa
dire: peggiore di queste non si potevano fare. Volle si fossero fatte della
scorza, e non del midollo de' pioppi, per così ossequiare, e maggiormente far
rilucere la santa povertà.
Nella stessa Casa di
Nocera, avendo fatto tirare il medesimo P. Corsano nel piede de' corridori una
fascia, come si usa, con paglia arsa, e calce, Alfonso in vederla si conturbò,
come di cosa da non permettersi; e se non comandò il guasto, fu perchè se li
rappresentò dai Padri, che scopandosi, si sarebbe da se sfigurata. Per un pezzo
si vide pensieroso, come qualche gran cosa offeso avesse la santa povertà.
Era così geloso per
questa virtù, che anche ogni neo li faceva ombra. Vedendo introdotto in taluni
le tabacchiere di cartone verniciato, ed altre di metallo giallo, non mancò
proibirlo, e volle le semplici di legno, come si avevano in uso. Vi fu volta,
che vide qualche cappello rilucere più degli altri, e tanto vi volle per
interdirlo, come scandalo.
Esposero taluni, che il
panno ordinario per zimare, e cappotti, perchè di meno durata, non favoriva, ma
offendeva la povertà, e che era di maggior utile alle Case un panno di qualità
migliore. Credevasi, che Alfonso con questa palpabile evidenza, avesse mutato
sistema. Non fu così: "il voto di povertà, disse, si è fatto da noi, e non
dalle Case; e noi, e non già le Case soffrir dobbiamo gli effetti di questo
voto. Il panno ordinario umilia, ed abbassa: questo è quello, che edifica la
povertà, e non già una comparsa nobile e signorile.
Più volte li fu
proposto dal P. D. Geronimo Ferrara, che portavano meno spesa i candelieri di
ottone, o di ferro stagnato, che quei di creta, perchè facili a potersi
rompere, e rovesciavano dell'oglio. Qualunque fossero state le ragioni, non si
smosse Alfonso; ed altro motivo non apportava che l'ottone aveva del grandioso,
e che la creta era più confacente colla povertà evangelica
.
Viaggiandosi in
Missione a cavallo, ed in tempo d'Inverno, se colti da neve, o acqua, non si
arrivava che colle gambe intirizzite e rovinate. Pregato a voler permettere gli
stivali, li fece orrore. Convinto del bisogno, li negò di cuoio, e non li
permise che di pannaccio.
A stento permise ancora
al P. Economo, che si facesse uso in Missione dell'oriuolo di sacca. Esponendo
i Padri la necessità di regolarsi le ore, e che ne' paesetti tampoco ad
imprestito si poteva avere, portarono in conferma, che il P. Vincenzo Carafa,
ancorchè tenace della S. Povertà, avevalo permesso a suoi Missionarii. "Sì, disse Alfonso, ma nell'Indie, e noi non siamo nell'Indie,
ma nell'Italia. Considerata la necessità, accordollo, ma con cassa di
ottone, e non di argento.
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Meno rigido non fu
Alfonso nell'esigere pronta, e cieca ubbidienza. Tanto era resistere alle sue
determinazioni, quanto il vedersi fuori di Congregazione. Aveva proibito al P.
D. Pietro Genovese di portarsi da Gragnano a Scala; e perchè questo si ci era
compromesso con quelle Monache, vi fu alla sfuggita e di soppiatto. Avendolo
saputo Alfonso, non li diede tempo di far ritorno in Casa; ma in Scala medesima
si vide ripreso, ed escluso di Congregazione.
Avendo destinato di
stanza nella Casa d'Iliceto il P. D. Gerardo Grassi, che si ritrovava in quella
de' Ciorani, ripugnò a partire: ma erano diametralmente opposti i motivi di chi
comandava, e di chi non voleva ubbidire.
Il P. Grassi con poca
edificazione voleva coadjuvare il proprio Fratello, che studiava in Salerno; ed
Alfonso per lo medesimo motivo lo voleva di lontano. Vedendo la resistenza,
così scrisse al P. Rossi, che era Rettore. "Giacchè il P. Grassi ha
ripugnato di andare in Iliceto, per questa ripugnanza di ubbidienza subito
scriveteli che io lo licenzio, e lo dichiaro escluso dalla Congregazione.
Preghiamo Dio, che questi simili soggetti, se più ve ne sono, che presto se ne
vadino. Se si perde la perfetta rassegnazione all'ubbidienza, è finita la
Congregazione". In Salerno di fatti fu licenziato.
Questa medesima casa
d'Iliceto, fu anche di tracollo ad un altro Sacerdote. Non senza motivo ve lo
destinò Alfonso. Vi ripugnò l'infelice; ed Alfonso li fe sentire che se non li
piaceva l'aria d'Iliceto, segno era che gradiva quella di casa sua. Fu fuori di
Congregazione; e troppo traggico fu il fine che fece, ma a me non conviene
individuarlo.
Uscendosi per
incombenza fuori di Casa, determinava i giorni, ed era delitto il mancarci. Non
ritrovandosi ritornati nella giornata prefissa il Padre Picardi, ed altri, si
vide aggitato per questa mancanza, e determinato aveva mortificarvi. La
passarono franca, avendo rappresentato la necessità, che stretti gli aveva. In
questa occasione si pose a rilevare i preggi dell'ubbidienza, ed il male, che
avviene ai poco ubbidienti.
Maggior rispetto, e
sommissione esiggeva come più volte ho detto in persona di qualunque Superiore.
"Che si ubbidisca a me, ripeteva spesso non mi fa meraviglia: Io voglio
che si ubbidisca, e si abbia sommmissione anche ad una mazza, che presiede, ed
è Superiore: mancando questo, mancarebbe tutto, perchè non vi sarebbe ordine,
ma confusione nelle Case.
Un Padre de' più
riguardevoli, mosso più da un estro ipocontriaco, che da altro, perchè infermo,
rintuzzò al Rettore certe disposizioni per una Missione, che poco li gradivano.
Seppelo Alfonso; e benchè lo compatisse, perchè infermo, non mancò bensì
scriverli in questi termini: "Mi son consolato in sentire, che siasi
ristabilita, ma mi sono afflitto in sentire qualche risposta un pò risentita
fatta al Superiore. - 348 -
Molte
Cose, che paiono storte, sono diritte per noi, quando vengono dettate
dall'ubbidienza. Se ogni Soggetto volesse fare ciocchè li pare migliore,
sarebbe perduta l'ubbidienza. Prego, quando le pare, che certe cose non vanno a
dovere, dopo aver rappresentato il suo parere, lasci correre, e si riservi
scrivere a me quello, che le pare inconveniente.
Molto più non soffriva,
e rendevasi inesorabile, se sentiva unione di persone, e di sentimenti contro
la volontà di chi fosse Superiore.
"Le mormorazioni
pubbliche contro l'ubbidienza, scrisse in Iliceto, essendo io Rettore, al P.
Vice Rettore D. Geronimo Ferrara, sono difetti, che non si possono perdonare;
ma meritano castigo, e castigo lungo.
Eransi risentiti i
Fratelli Laici, essendoseli proibito in tempo d'Inverno il riposo meridiano.
Perchè fu pubblico il riferimento, pubblica dovettero farne la penitenza. A
due, che furono i capi li tolse la sottana per lungo tempo: volle, che avessero
mangiato ginocchioni, e privati o della carne, o delle frutta, e non si fossero
abilitati alla Santa Communione, che al più ogni otto giorni. Vi fu chi
s'interpose; ma non vi fu grazia.
Era così geloso
dell'ubbidienza, che non ammetteva consiglio in contrario; ma voleva che
questa, come Regola certa non fosse posposta, ma preferita al sentimento di
qualunque.
"Mi ha dato gran
pena, scrisse al P.D. Diodato Criscuoli, il sentire che V. R. ha fatto tanta
ripugnanza in esercitare l'officio di Ministro; e quel che più mi ha ferito, si
è aver inteso, che si è consigliata, ed esserle stato detto che non era tenuto
ad ubbidire. Solo in materia di peccato non è tenuto ad ubbidire chi ha fatto
voto di ubbidienza. Mi rallegro che nella Congregazione ci sono questi belli
consultori! Io non voglio obbligarla; ma vi prego per amore della Madonna ad
accettare quest'officio. Mi dia questo gusto; e vi prego fare un poco di
orazione avanti il Sacramento, che certamente Gesù Cristo le farà mutar
pensiere.
Esiggeva Alfonso con
tal perfezione questa Virtù, che voleva adorati i pensieri. Ho un caso in me
medesimo.
Essendo io Giovanetto,
mi rincresceva, perchè infermiccio, il Magistero de' Novizi. Avendolo
interrotto, e non avendomi Alfonso tolto d'impiego, ritornato in Nocera,
avrebbe voluto che di per me mi fossi ritirato nel Noviziato. Importunato a
farlo da chi vi era sostituito, me ne scansava, perchè non comandato in suo
nome. Anche il P. Ferrara, con cui mi consigliai, non approvò che di per me mi
fossi offerto. Alfonso mi chiama, ed acremente mi riprende, che conoscendo il
suo volere, non erami ritirato nel Noviziato. Dissi, che ne anche il P. Ferrara
me l'aveva approvato. Sentendo ciò si arrese; ma non finì qui la facenda.
Avendosi chiamato il P. Ferrara, con maggior enfasi lo riprese del consiglio a
me dato, sapendo non avermi tolto d'impiego, e conoscendo esser quella la
volontà sua.
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Soleva dire Alfonso,
che l'ubbidienza fa miracoli, quando si fa con prontezza di volontà, e con
sommissione d'intelletto; e che si sgarra quando il Soggetto giudica da se, e
si allontana dal volere de' Superiori.
Avendo destinato il P. de Robertis per gli Esercizj al
Pubblico di Coverchia, questi si schermiva, che non aveva pronte le materie.
Volle Alfonso, che in ogni conto ci fosse andato, e che l'ubbidienza avrebbe
supplito a tutto. Riuscirono gli Esercizj con frutto, e con sodisfazione di
quel Pubblico. Avendone Alfonso ricevuto lettera di ringraziamento dal Parroco
D. Agnello Fiore, leggendo la lettera disse al P. de Robertis, che gli Esercizj
non dovevano riuscire, e non capiva come Iddio avevali benedetti, mentre egli
aveva ripugnato, e non aveva prontamente ubbidito.
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