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Cap. 59
Sollecitudine di Alfonso per l'osservanza delle
Regole: sua fortezza coi discoli; e sua condotta in discacciarli di
Congregazione.
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Se la Vigna si stima
rovinata, dissipandosi la siepe: così Alfonso stimava perduta la Congregazione,
mancandoci la Regolare Osservanza; e se fa senso al Vignajolo ogni picciolo
vado, così faceva senso ad Alfonso qualunque mancanza, benchè picciola. Era suo
sentimento, che piuttosto avrebbe voluto dismessa la Congregazione, ancorchè
stabilita con tanti stenti, che veder mancata nelle Case l'osservanza, ed il
buon'ordine.
Richiesto ne' primi
tempi per nuove Fondazioni, costantemente le rifiutò, non per altro, che per
non aver Soggetti sufficienti a poter sostenere la disciplina: "Che
vogliamo fare de' Conventini, soleva dire a chi per questo l'importunava, ove
non ci è famiglia, non vi può esser osservanza; ed a me preme, che in
Congregazione si moltiplichi lo spirito, e non le Case. "Ne s'indusse ad
accettare qualunque nuova fondazione, non avendo soggetti bastanti, che col
loro numero sostener potessero una perfetta osservanza.
Tre punti sopratutto
egli aveva a cuore veder in vigore nelle case, e tra soggetti, cioè, orazione,
vita comune, e carità scambievole. Curioso è quello accadde nella casa di
Nocera.
Avendo osservato, che
taluni la mattina dispensavasi dal intervenire in Coro all'orazione comune, o
perchè la notte poco avevano dormito, o per altro pretesto, egli, stimandolo
rincrescimento, e non preciso bisogno, ordinò all'infermiere, che lor portato
avesse, terminata l'orazione, una ciotola di tè; e replicarcela ogn'ora, con
ìmporgli non levarsi di letto, se non venuto il medico: vale a dire, che dovean
restar digiuni. L'invenzione ebbe l'effetto desiderato. Tutti i mali si viddero
svaniti, e pieno il Coro la mattina prima del tempo.
"Padri, e fratelli
miei, disse, il Sabbato - 350 -
susseguente
facendo alla comunità la solita esortazione, vi dico, che la vita nostra deve
essere una continua orazione; ognuno di noi deve avere gran desiderio di farsi
grande nell'orazione; ed in vece di lasciarla, trattar dee ognuno rubbare
qualche poco di tempo, per fare orazione. Così hanno fatto i santi, e così
faceva il nostro fratello defonto": intendeva il fratello Blasucci.
Parlando un giorno
della necessità del silenzio, ed interiore raccoglimento "questo, disse, è
la regola delle regole: se puntualmente l'osservaremo, ci faremo santi, e
presto. Ma il male si è, che questa regola sembra esser stata esiliata dalla
nostra Congregazione. Vedo che quasi tutti escono dalle stanze senza necessità;
e che tanti parlano senza ritegno, anche ne' luoghi proibiti, come ne'
corridori, nella cucina, e nel refettorio.
Diceva Tommaso de
Kempis, che nel silenzio si avanza l'anima e profitta; nel silenzio capisce i
sensi più oscuri delle scritture; e nel silenzio si compunge, e piange i suoi
mancamenti. Padri, e fratelli miei, non ci lamentiamo, se ci vediamo
imperfetti, aridi, e dissipati. Chiudiamo la bocca cogli uomini, e parliamo con
Dio. Così Iddio muterà condotta con noi, e faremo prefitto nelle santità. Ove
non v'è raccoglimento interiore, soleva anche dire, non v'è spirito di
orazione. Questi tali, se vengono al Coro, vengono al martirio, ogni momento
sembra loro un secolo. Distratti vengono, e dissipati se ne ritornano. Vivono
una vita infelice, non gustano Dio, e sono privi del Mondo.
Avendo dato, come
dissi, un'ora di ricreazione la mattina dopo pranzo, ed un'ora la sera dopo
cena, voleva che si sollevasse il corpo, e non si dissipasse lo spirito.
"Ci deve esser differenza, egli dicea, tra un sollievo religioso, ed un
sollievo secolaresco. "E vero, nol niego, che dobbiamo pigliarci un poco
di ricreazione; ma è vero ancora, che nelle medesime ricreazioni dobbiamo
cercare solo Dio, e solo ricrearci, perchè Dio lo vuole".
La sera specialmente
doveva passarsi tutta in discorsi di cose sante. Così di fatti pratticavasi in
tutte le case, introducendosi ognuno con quello, che letto aveva il giorno
delle virtù di qualche santo. Invigilava su di questo, e spesso, spesso ammoniva,
e teneva ricordati i Rettori, se sentivali trascurati.
Sollecitava e soggetti,
e Rettori, che ogni mese attrassato non si fosse il giorno di ritiramento; e
nel principio di Ottobre avvertiva, che ognuno avesse fatto i soliti giorni
dieci di esercizj. Informavasi similmente, ed inculcava a tutti il conto di
coscienza. Aveva questo, come dissi, per un gran mezzo, per vedervi armonia
trai soggetti, ed i Rettori. Informavasi ancora, se i fratelli servienti erano
accoditi nello spirito, e dal Prefetto: "raccomando, - 351 -
così
in in una sua Circolare, fuggirsi le
parzialità difettose".
Era per esso una
trafittura al cuore, se sentiva taluno lagnarsi del mangiare: "Dio sa, ei
scrive nella medesima Circolare, che si fa per vivere, e per avere un tozzo di
pane. Non siamo in Congregazione per mangiare; e quello che ci da la regola, ci
basta, e sopravanza. Aveva a gran delitto ne' Rettori qualunque particolarità
nelle biancherie, ed essendo infermi, se, senza dipendere dall'infermiere,
ordinato avessero per se cibi, o medicine. "L'esistenza della vita comune,
ei diceva, dipende dalla Carità de' Superiori; ma va in ruina, se questi col
loro esempio non la garantiscono in se medesimi.
Non solo erangli a
cuore i nostri, ma anche gli esteri. Voleva zelo per l'opera degli Esercizj, e
non interesse per lo mezzo. Avendo inteso qualche lagnanza nel vitto, scrisse
subito a tutte le case: "Sommamente raccomando trattar bene nel vitto gli
Eserciziandi. Sento, che da certo tempo in quà vi è qualche lamento. Non voglio,
che per un poco di risparmio, si metta a rischio questo gran bene degli
Esercizj.
Aveva a scandalo
qualunque complimento, che si ricevasse dai nostri in casa d'altri come dolci,
o altro comestibile, ed inculcava ai Rettori, che non si dassero simili licenze:
maggiormente non era ciò permesso ai Padri Ministri. "Non diano questi a
mangiare a soggetti, così in un altra sua particolare, niuna cosa di casa, se
non fosse qualche frutto, e si ritrovassero ne' poderi della Congregazione.
Attento era che a soggetti
non mancassero le necessarie biancherie. Ordinò, che a tutte le camicie si
mettesse il segno della casa, acciocchè in missione, essendoci soggetti di
altre case, non si confondessero, e voleva, che con carità non si negasse l'uso
agli altri, a quali facesse bisogno. Non voleva cosa di superfluo nelle stanze.
Stabilì, che ogni mese i Rettori, ed appreso l'aveva dalla sua Avvocata S.
Teresa, visitato avessero le stanze de' soggetti; ed essendoci cosa non
propria, o non necessaria all'attuale bisogno, che riportata si fosse al
proprio luogo.
Singolarmente eragli a
cuore tra tutti la carità cristiana. "Ognuno, così si spiegò in
altr'occasione, sopporti con carità il compagno. Tutti abbiamo i proprj
difetti: chi oggi supporterà taluno, dimani sarà supportato anche egli. Niuno
si faccia mastro, e corregga altri, iutendo di quei, che vogliono ostentare
superiorità, e disprezzo. La correzione è atto di carità; ma se non si fà con
carità, nuoce, e non giova. Così niuno s'intrometta nell'officio dell'altro; similmente
che non si prendano a giuoco i difetti naturali, e molto meno con parole
pungenti, ed offensive. "Abbominava i susurroni, e non avevali nelle case
che come tanti demonj visibili. Corretti questi, e non emendati, se non oggi,
dimani vedevansi fuori di Congregazione.
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Così si disbrigava di
certi umori fastidiosi, che non potendo vedere se stessi, insopportabili
rendevansi anch'agli altri.
Generalmente invigilava
Alfonso sopra tutta la Regola. "La Regola, perchè si chiama regola, ripeteva
spesso ai suoi, si chiama regola perchè regolar dee le nostre azioni. Ogni
azione che si discosta dalla regola, ancorchè buona, esser dee per necessità
sconcia, e non a proposito. Padri miei, noi l'abbiamo volontariamente
professata, e promesso a Dio volerla osservare, non è una specie di spergiuro
ogni volontaria mancanza? Se noi custodiamo la regola, la regola custodisce
anche noi. Quest'è quell'antemurale, che guarda l'anima nostra, e ci rende
sicuri dalle insidie del demonio. Il demonio, per ottenere il più contro la
santa legge di Gesù Cristo, prima ci tenta a non far conto della regola. Tanti
non sarebbero fuori di Congregazione, e forse non sarebbero carichi di peccati,
se trascurati non fossero stati in osservare la regola.
Qualunque novità li dava
nell'occhio. Avendo ordinato che i berrettini di giorno fossero rotondi, e
taluni avendoli introdotti acuminati, subito che se n'avvide, ne proibì l'uso,
e corresse il fratello sartore, che avevali fatti. Essendoli riferito, che
senza precisa necessità, eransi i nostri servito del calesso in una Missione,
corresse con calore il Superiore, che tolerato l'aveva. Introdotto avevano
alcuni giovanetti nella Casa de' Ciorani delle fascette di ottone
nell'estremità del Crocefisso, che in Missione portasi al peto. Nell'istante
che se n'avvide, non mancò riprenderli, come di cosa, che indicava vanità.
Volle che subito strappate si fossero, e proibì in seguito qualunque ornamento.
Stabilì per eccitare i
soggetti all'osservanza della regola, ed alla pratica delle virtù, che ogni
Sabbato si facesse dal Rettore, o da altri un sermone familiare sull'esattezza
della Regola, e sulla virtù prescritta in quel mese, sminuzzandosi la pratica;
e che terminata l'esortazione, ognuno dar si dovesse in colpa delle proprie
mancanze.
Similmente stabilì, che
in ogni Casa zelasse da per tutto un Padre, specialmente in tempo degli atti
comuni, l'adempimento de' comuni doveri; e che terminata la mensa il Lunedì
mattina, stando tutti in piedi in mezzo al refettorio, rilevate si fossero dal
medesimo le rispettive mancanze, ed ognuno venendo avvisato era nell'obligo
ginocchiarsi, e ricevere con umiltà dal Rettore la dovuta correzione.
"Nessuno si scusi, così in altra circolare, quando è corretto, ed avvisato
dal zelatore; e chi si scusa, che lasci le frutta per una volta, o di mattina,
o di sera.
Incombensava ancora per
le Case, non contento di questo, altri de' più ferventi, che secretamente ogni
mese avvisar lo dovevano di qualunque inconveniente. Egli stimava tanti traditori
della Congregazione, tutti coloro, che avvisando il Superiore, potevano evitare
qualche sconcerto; - 353 -
e
nol facevano. "Non è carità, diceva Alfonso, ma iniquità. "Corretto a
tempo, e non sposandosi il soggetto con qualche passione, volentieri si può
emendare: non corretto, ci fa l'abito, ed è rovinato". Volle ancora,
affinchè non si concetturasse chi de' Padri lo riscontrava, che tutti ogni mese
dovessero scrivergli, ancorchè non fosse la lettera che carta bianca. Così
destinava li zelatori secreti anche in Missione.
Capitando dalle Case
qualunque soggetto, anche un qualche laico, sospendeva Alfonso ogni
applicazione, ed informavasi, se in Casa vi era disordine, o nò. Sopratutto se
vi era armonia tra soggetti, e soggetti, e tra soggetti, ed il Rettore: così se
il Rettore commetteva o nel vitto, o nel vestito parzialità con se medesimo; e
se precedeva a tutti, specialmente nell'orazione della mattina.
Non volendo esentati i
medesimi Rettori Locali da chi loro invigilasse sulla propria condotta, volle,
che vi fosse in ogni Casa un soggetto col grado di Ammonitore, che per officio
invigilar dovesse su li di lui portamenti; cioè se zelasse in ognuno
l'osservanza, e se fosse il primo a praticarla coll'esempio. Essendo
manchevole, voleva, che con fortezza si ammonisse, e si facesse carico della
propria obligazione; ma essendoci cosa di momento, e non approfittandosi il
Rettore, fosse in obligo l'Ammonitore darne parte al Superiore Maggiore.
Tal' era la sollecitudine di Alfonso; e con questa non
eravi mancanza, che non riparasse, o che impunita restasse.
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